Provocazione di Stacey Allaster, gran capo WTA. “Le donne sono pronte a giocare al meglio dei 5 set. Basta chiedere”. Il problema è un altro, ma una soluzione ibrida sarebbe auspicabile.
La finale del Masters WTA 1998, ultimo match femminile giocato al meglio dei cinque set

Di Riccardo Bisti – 25 settembre 2013

 
Vigorosa spallata all’eterna diatriba sulla parità di montepremi tra uomini e donne. La botta arriva da Stacey Allaster, numero 1 WTA dal luglio 2009 e personaggio energico, attento, presente. La Allaster, canadese con due lauree che risiede in Florida, non ha buttato via l’eredità di Larry Scott anche se la WTA è rimasta senza title-sponsor. E possiede un orgoglio, il suo essere donna, che il suo predecessore non avrebbe mai potuto avere. In troppi hanno dato la loro opinione sul montepremi…e lei si è stufata. Ecco la fiammata, già raccolta dalle agenzie di tutto il mondo: “Il tennis femminile è pronto, disposto e in grado a giocare al meglio dei cinque set. Basta che ce lo chiedano e noi lo faremo”. Boom. La Allaster non ha girato attorno al problema. Lo ha preso per il collo, pur di non sentire più le solite filastrocche. La più frequente è: “Non è giusto che le donne guadagnino quanto gli uomini, perchè giocano al meglio dei tre set”. Una frase fine a se stessa, senza risposte. Ecco la replica, dura perchè diretta. E che mette spalle al muro l’ITF (l’ente preposto a eventuali modifiche regolamentari), che infatti non ha ancora replicato. La WTA c’è. Volete che Danilidou e Torro Flor spallettino per quattro ore sotto il sole australiano? Non c’è problema. Non sappiamo se sia giusto che uomini e donne guadagnino la stessa cifra. Noi crediamo che il problema economico del tennis sia altrove, nella vergognosa disparità di trattamento tra l’elite e i tornei minori, dove ci sono tennisti (uomini e donne) che fanno fatica ad andare in pari con le spese. E’ lì che bisognerebbe intervenire.
 
Ma l’uscita della Allaster è sacrosanta, perfetta nei modi e nei tempi. L’ultimo a toccare l’argomento era stato Andy Murray (che proprio ieri si è operato alla schiena: auguri!). “Non credo che gli uomini si lamentino dei guadagni delle donne. Ma noi facciamo più fatica: sarebbe più corretto se gli uomini giocassero al meglio dei tre set o le donne al meglio dei cinque”. “Secondo noi, il format 2 su 3 è perfetto – ha spiegato la Allaster – ma abbiamo sempre detto che siamo pronte a giocare 3 su 5 se soltanto gli Slam ce lo chiedessero”. Il teorema è smontato, adesso dipende solo da chi comanda. In quel caso, i maschilisti dovrebbero prendersela soltanto con l’ITF. Lo scorso anno, Gilles Simon si era espresso contro il proliferare dei tornei combined. A suo dire, le donne intasavano il programma, occupavano i campi di allenamento e più in generale rendevano la vita difficile agli uomini. “E noi meritiamo un compenso maggiore perchè offriamo un maggiore intrattenimento”. Puntualmente, arrivò la risposta di Maria Sharapova. “Credo che i miei match abbiano 2-3 spettatori in più rispetto a quelli di Simon”. Uno dei più attivi è Sergiy Stakhovsky, il “Number One” dei sindacalisti. L’ucraino è convinto che il torneo maschile abbia più appeal e che le donne si attacchino al carrozzone degli uomini per trarne un guadagno. Sono due approcci troppo diversi per trovare un punto d’incontro, anche perchè il “valore” di un evento non è sempre quantificabile. La durata di un match, invece, si. Su questo, la WTA è pronta a fare il grande passo. Ovviamente si tratta di una provocazione, perchè i match al meglio dei cinque set renderebbero complicatissima la programmazione degli Slam. Le nottate (ricordate le 4.30 del mattino di un vecchio Hewitt-Baghdatis?) diventerebbero la norma, e i tornei non ne avrebbero alcun beneficio. Giocare 254 partite al meglio dei cinque set in due settimane è una follia (sarebbero ancora di più a Wimbledon, dove il doppio maschile si gioca sulla lunga distanza sin dal primo turno). Difficilmente accadrà.
 
Il tennis è tra gli sport dove le donne vengono trattate meglio. Ci sono tante discipline in cui il problema non si pone nemmeno. Calciatrici, cestiste e tante alte atlete non si sognano nemmeno di guadagnare quanto i colleghi. Certi risultati non sarebbero stati possibili senza Billie Jean King, la donna che più di ogni altro si è battuta per dare dignità al circuito WTA. Oggi le hanno intitolato la sede dello Us Open e le sue eredi hanno battagliato fino al 2007, quando Roland Garros e Wimbledon, ultimi baluardi delle differenze, hanno uniformato i montepremi. L’impressione è che le parole della Allaster non avranno troppo seguito, perchè un eventuale varo del 3 su 5 in campo femminile comporterebbe tanti problemi e nessun vantaggio. Ci rimetterebbero giocatrici (costrette a giocare di più), le sessioni di gioco diventerebbero eterne, gli sponsor non avrebbero alcun guadagno supplementare, e gli stessi uomini vedrebbero ancora più ingolfati gli order of play. La polemica scatta pochi giorni dopo il 40esimo anniversario della storia “Battaglia dei Sessi” tra Bobby Riggs e la stessa King. Qualche settimana fa sono piovuti sospetti su una possibile combine (Riggs, che è morto e non si può più difendere, si sarebbe venduto la partita). Ma il match dell’Astrodome fu una bandiera per il femminismo. E si giocò al meglio dei cinque set. Al di là di ogni considerazione sulla parità, le donne sarebbero in grado di giocare sulla lunga distanza? La risposta è affermativa. In ben 16 edizioni (dal 1984 al 1998, con due tornei nel 1986), la finale del Masters femminile si è giocata al meglio dei cinque set. Spesso sono state belle partite, alcune addirittura leggendarie. Di 16 finali, tre si sono concluse in cinque set (Seles-Sabatini del 1990, Graf-Huber del 1995 e Graf-Hingis del 1996), sei in quattro set e sette in “straight set”. Nessuna giocatrice si è sentita male, nessuna si è infortunata e non ci sono stati ritiri. Certo, si parlava delle più forti al mondo. Portando il “Best of Five” negli Slam, c’è il rischio di vedere un mucchio di match noiosi, assistere a tanti ritiri e a crolli fisici. Per questa ragione, l’iniziativa non è auspicabile. Al contrario, sarebbe opportuno portare al meglio dei cinque set semifinali e finale. La Grand Slam Cup, evento-cult degli anni 90, aveva adottato questa formula e funzionava benissimo. Rino Tommasi non sarebbe d’accordo (“Se un torneo inizia con una formula, deve finire con la stessa"), ma capita spesso che le ultime giornate degli Slam femminili siano brevi e poco appassionanti. In questo modo, nei giorni interamente dedicati alle donne, ci sarebbe più tennis, gli sponsor sarebbero contenti e il tennis femminile potrebbe reclamare una presenza ancora più “potente”. Fossimo nell’ITF, ci penseremmo su. Per i soldi, lasciando perdere le noiose polemiche sulla parità di montepremi, ci focalizzeremmo su altro, magari dopo aver fatto un salto in qualche sperduto torneo minore. E dopo aver cercato di capire perchè Claudia Coppola, 18enne numero 869 WTA, ha ceduto alla tentazione di truccare una o più partite.