L’INTERVISTA – Parla Fabrizio Fanucci, storico coach di Filippo Volandri. Il suo team, le tante difficoltà, la FIT del passato e del presente, Rianna, il Settore Tecnico, Rinaldini… 
Alessandro Giannessi e Potito Starace si sono aggregati al team di Fabrizio Fanucci

Di Riccardo Bisti – 11 settembre 2013

 
Al mondo ci sono due tipi di intervistati: quelli che parlano e quelli che fanno finta di farlo. Fabrizio Fanucci fa parte della prima categoria. Va dritto al punto, non si nasconde e non ha paura di esprimere le proprie idee. Il grande pubblico lo conosce per i 15 anni al fianco di Filippo Volandri, ma “Fenuch” è anche altro: segue anche Starace, Giannessi, Giorgini e Virgili e  ha ricoperto un ruolo importante, anche se datato, nel Settore Tecnico FIT. Oggi dice la sua e lancia un messaggio forte e chiaro: l’Italia ha bisogno di formare nuovi coach d livello.
 
Fabrizio Fanucci, si dice che tutti la cerchino quando sono in difficoltà…attualmente com’è organizzato il suo team?
Un anno e mezzo fa abbiamo chiuso l’accademia a Firenze dopo dodici anni. I motivi sono tanti, a partire dalla crisi e dalla difficoltà a tenere in piedi un posto del genere in Italia. I costi di manutenzione e personale sono mostruosi. Allora sono tornato all’antico, con un piccolo team presso un bel circolo alle porte di Firenze, lo Sporting Club Ugolino, dove i ragazzi si sono trovati abbastanza bene. C’erano campi coperti, la palestra e anche gli appartamenti. Quando eravamo a Firenze, Starace e Giannessi si sono sistemati lì. Ma c’è una novità: sono tornato ad essere il direttore tecnico del Circolo Tennis Firenze. Il club mi ha dato l’opportunità di entrare insieme ai giocatori. Abbiamo trovato un compromesso, adesso andiamo avanti e vediamo come si sviluppa il discorso. Il team è composto da Filippo Volandri, Potito Starace, Alessandro Giannessi e Daniele Giorgini. Nell’orbita c’è anche Adelchi Virgili, ma non si è ancora capito bene che intenzioni abbia. In realtà c’è un altro giocatore che mi ha chiesto di essere seguito, ma è ancora presto per rivelare il nome. Nell’attività sarò supportato da mio figlio Pietro. La nostra nuova base, ad ogni modo, è il Circolo Tennis Firenze.
 
Panoramica sui giocatori. Partiamo da Filippo Volandri, che ha appena compiuto 32 anni. Che obiettivi può ancora porsi?
L’obiettivo primario è restare tra i primi 100 ATP, se possibile migliorare la classifica attuale. Non è facile: giocando sempre sulla terra rossa, basta sbagliare qualche settimana per trovarsi subito a rincorrere. Quest’anno ha fatto benino: bene nei challenger, un po’ meno negli ATP, dove ha perso qualche partita che forse si poteva vincere. Magari ha giocato bene, ma il risultato negativo ti resta per tutto l’anno. Penso a Simon a Roma, Ramos a Vina del Mar…però il suo lo fa sempre. Riesce ad essere un buon professionista, fisicamente è quasi sempre a posto, ha una buona visione di gioco, capisce bene le situazioni e grazie all’esperienza riesce a vincere partite non semplici.
 
Potito Starace è un cavallo di ritorno nel team Fanucci…
E’ arrivato alla fine di marzo. Era messo male soprattutto sul profilo mentale: non è facile, per un giocatore di alto livello come lui, trovarsi al numero 400 ATP. Poi ci sono i problemi fisici che non ha ancora risolto del tutto. In virtù di questo è difficile fare una buona programmazione, non solo di tornei ma anche di allenamento. Abbiamo dovuto fare una scelta: rincorrere la classifica o puntare sull’allenamento? In accordo, abbiamo scelto la prima opzione. L’obiettivo è chiudere almeno nei primi 200 in modo da preparare il 2014 con il dovuto allenamento. E' andato discretamente: certo, poteva andare meglio, ma se fisicamente non è a posto diventa un po’ vulnerabile in difesa. Però a Caltanissetta stava per battere Haase, ha vinto Napoli, ha battuto Stepanek…non posso pretendere di più perchè la parte fisica non è stata curata a dovere per la scelta di cui sopra.
 
E poi ci sono due classe 1990. Partiamo da Giannessi. E’ stato lui a cercarla?
Si, anche perchè io non mi permetterei mai contattare giocatori per allenarli. Aveva parlato con Filippo, dicendogli che aveva dei problemi con la gestione precedente. Allora ha pensato di venire a Firenze per una prova, anche se sapeva già come lavoriamo in virtù dell’ottimo rapporto con Filippo. Anche lui era messo abbastanza male, soprattutto mentalmente, e poi si portava dietro i problemi di salute dell’anno passato: i polmoni e gli infortuni muscolari. A proposito di questo, mi duole dire che sono situazioni ricorrenti nei ragazzi che provengono da Tirrenia. Ho notato delle analogie inquietanti nei giocatori, soprattutto a livello fisico. Bene o male stiamo andando avanti, anche se onestamente mi aspettavo qualcosa di più. Facciamo fatica a trovare continuità, sia nell’allenamento che nei match. Ci sono giorni in cui gioca bene, altri in cui gioca male. Spero che si tranquillizzi e non abbia fretta di tornare a ridosso dei primi 100 in poco tempo. Non è semplice: il tennis è uno sport molto complicato, e così facendo è ancora più dura. Il tennis va semplificato. Un nuovo Giannessi? Se ne parla per il 2014, perchè ha bisogno di lavorare a livello fisico e mentale. Deve rigenerarsi, perchè è stato un anno molto duro in cui ha giocato tutte le settimane per tutelare la classifica. A 16 anni si può pensare allo sviluppo senza guardare la classifica, a 23 è un po’ diverso.
 
Adelchi Virgili: una storia affascinante….
Molto. Mi ha sempre incuriosito, anche perchè lui è fiorentino, lo conosco da anni e me ne hanno sempre parlato come un ragazzo super talentuoso. Difficile dire dove arriverà, anche perchè non ha mai vissuto da professionista. E’ abituato a gestirsi da solo e fare un po’ come vuole. Se imparerà la disciplina del professionista, la sua qualità non è in discussione. Quando aveva 14 anni, gli ho visto fare delle cose incredibili.
 
In 15 anni con Filippo Volandri, qual’è stato l’errore più grande che avete commesso?
Penso di non essere stato capace di impormi a sufficienza quando era il momento di fare certe scelte. Ovviamente alludo al servizio, che per qualche anno è stato “una questione di stato”. Filippo ha sempre avuto le sue idee: volendo giocare soprattutto sulla terra battuta, era convinto che il servizio andasse bene così com’era. Avrei dovuto spingerlo di più. Ma su questo argomento si è detto così tanto…Però mi prendo un piccolo merito: sono stato il primo a capire che quel ragazzo avrebbe potuto sfondare. Da adolescente, non era considerato granchè.
 
Dal servizio di Volandri…al rovescio di Giannessi. Immagino che ci stiate lavorando.
Poco, ancora poco. Come dicevo prima, abbiamo privilegiato l’attività agonistica per mantenere una buona classifica. Volenti o no, bisogna sempre fare i conti con la classifica. Certamente è un colpo che deve essere migliorato, ma adesso lui ha bisogno di recuperare tranquillità. Adesso dobbiamo lavorare con quello che abbiamo. Una delle mie doti principali è la pazienza. Aspettare, aspettare…vedere come va. E’ una qualità che dovrebbero avere anche i ragazzi, ma capisco che alla loro età sia meno semplice.
 
Quando Starace ha ripreso ad allenarsi con lei, è tornata alla mente la vecchia storia di Umberto Rianna. Anni fa, Potito si allenava nel vostro team, poi andò via con Rianna…come andò?
Col ragazzo non ci fu alcun problema. Con i giocatori lavoro senza contratto, il rapporto è di fiducia: se un giocatore non sta bene, è giusto che vada via, per il bene di tutti. All’epoca, Umberto Rianna lavorava con me all’accademia. Al momento di rinnovare il contratto, mi comunicò che avrebbe dovuto andare in America, per una serie di ragioni personali e professionali. Io provai a rilanciare perchè Umberto è un ottimo allenatore, il miglior direttore che avevo avuto in Accademia, avevamo lavorato insieme anche al Centro FIT di Cesenatico. Quando vidi che non c’era possibilità ci salutammo con una stretta di mano. Il problema è che una settimana dopo vidi che aveva aperto un’accademia ad Arezzo. Poichè i contratti avevano delle clausole ben precise, aspettammo un po’ e poi ci fu una causa che è andata avanti per le lunghe, fino a quando non è stato raggiunto un accordo soddisfacente per entrambe le parti. Da allenatore, devo dire che quando Starace si è rivolto di nuovo a me è stata una bella soddisfazione.
 
Lei ha lavorato al Centro Tecnico di Cesenatico. Come valuta quell’esperienza a distanza di 15 anni?
Cesenatico iniziò grazie a Tomas Smid, ex grande campione e mio coetaneo. Era il direttore tecnico, ci ritrovammo a Firenze grazie a un amico comune e mi chiese di collaborare con lui. In quel periodo stavo facendo il DT al Circolo Tennis Firenze: accettai, anche perchè avevo determinate ambizioni e Firenze iniziava a starmi stretta. E' stata una delle scelte più felici della mia carriera. Con Tomas abbiamo avuto un rapporto straordinario: magari qualcuno lo critica, forse perchè non parlava molto, ma era davvero in grado di farti capire come funziona il tennis di alto livello. Io entrai come responsabile degli Over 18. Fu una grande novità, mai fatta prima. Mi affidarono Giorgio Galimberti, affiancandogli Massimo Calvelli (che oggi è il numero 1 della Nike!), Elia Grossi, Daniele Ceraudo e Daniele Bracciali, anche se era più piccolo. Gli facemmo giocare il primo satellite in Israele, ad appena 16 anni, e giunse in semifinale partendo dalle qualificazioni. Dopo un po’ iniziarono i problemi perchè io non riuscivo a gestirli tutti. Fu eliminato qualche ragazzo, io ripresi a seguire qualche Under 18 fino a tirare su qualche nome interessante come Florian Allgauer (vincitore al Bonfiglio), Dario Sciortino (vincitore all’Orange Bowl Under 16), il povero Federico Luzzi e lo stesso Bracciali. A livello personale fu un periodo ottimo. In generale, c’erano i consueti problemi della federazione. La FIT non riesce mai a svolgere i programmi come si dovrebbe. Spesso capita di fare delle gare che non contano granchè, se non per la bacheca. In linea di massima, tuttavia, sono riuscito a fare quello che volevo.
 
Come finì il rapporto con la FIT?
Finì che arrivarono le dimissioni (forzate, ndr) di Paolo Galgani, allora presidente FIT. Arrivò un commissario e Cesenatico fu chiuso. Tuttavia, nell’anno di commissariamento, io e Tomas Smid andammo avanti a Roma. Stavamo all’Acqua Acetosa e ci allenavamo al vecchio Centro di Riano. Facemmo inverno 1997 e primavera 1998 a Riano. C’era un nuovo gruppo, con i ragazzi del 1981 e del 1982. Tra loro c’era Filippo Volandri. Gli altri erano Diego De Vecchis, Francesco Aldi, Giunior Ghedina, Francesco Piccari. In quel periodo ho avuto la fortuna di conoscere una persona veramente in gamba, che mi fece riprovare le stesse sensazioni dei tempi di Mario Belardinelli: Pino Carnovale. Pino mi ha insegnato tante cose: come si prepara un giocatore, come si organizza e struttura un allenamento. Gli devo dire grazie, anche se lui non lo sa. Magari lo saprà leggendo questa intervista. Il gruppo stava andando molto bene, ma a fine 1998 finì il rapporto perchè alla direzione tecnica subentrò Adriano Panatta che aprì le porte a Corrado Barazzutti e Tonino Zugarelli. Così io mi ritrovai da solo, nel settembre 1998, senza un lavoro, dovendo ripartire daccapo. Filippo scelse di restare con me e trovai il supporto del proprietario del Matchball Firenze, Roberto Casamonti. Da lì nacque l’idea di creare un’accademia….è durata 12 anni e ci ho messo davvero l’anima.
 
Ha citato gli Over 18. Parlando con Renzo Furlan, era emerso che a Tirrenia si ottengono ottimi risultati fino ai 18 anni, poi però non esiste un programma specifico per gli anni successivi. Può essere questa una delle carenze di Tirrenia?
In generale è così, ma il problema non è Tirrenia. Il grosso deficit che abbiamo in Italia è la carenza di allenatori. Non c’è nessun organo che formi allenatori per l’alto livello. Di maestri ce ne sono tanti, capita di vederli in giro anche ai tornei internazionali, ma la sostanza vera e propria non esiste. E secondo me, al di là di quello che dicono, non esiste neanche in Federazione. Continuano a fare gli stessi errori: prendono un giovane coach che deve fare esperienza, lo mettono a Tirrenia con i migliori giovani…ma poi non si capisce chi è che deve crescere: l’allenatore o i giocatori? E’ un cane che si morde la coda. Passano gli anni, il giovane coach diventa un discreto allenatore, ma i giocatori sono diventati vecchi e nessuno ha detto loro cosa devono fare. Attenzione: non è un problema solo di oggi: le varie gestioni federali che si sono susseguite negli anni hanno tutte commesso lo stesso errore.
 
Facciamo un gioco: Fabrizio Fanucci è il nuovo Direttore Tecnico di Tirrenia. Quali sono le prime due iniziative?
Prima cosa: contatto tutti i ragazzi che reputo buoni allenatori e chiedo se sono interessati all’attività di coach. Come federazione investo su di loro e li faccio crescere, magari mandandoli al seguito di coach già formati come Sartori, Piatti, ecc…pago io lo stipendio e li faccio crescere. Ritengo che questo sia l’intervento più urgente. Penso che sia inutile parlare di campi veloci, coperti, ecc…se non hai chi porta avanti questi ragazzi. Con il massimo rispetto per chi sta a Tirrenia, credo che sia quello il problema. Mi creda, in Italia i giocatori ci sono. Quest’anno, in giro per i tornei, li ho visti tutti. E sono davvero bravi. Ma c’è un problema: non sanno cosa fare. Non-sanno-cosa-fare. Un giorno fanno un future, il giorno dopo fanno un open, poi magari vanno in India…ovviamente li perdi perchè non ce la fanno con i soldi e alla fine smettono. Seconda cosa: bisogna decentrare. Non mi pare giusto che ci sia un solo centro responsabile di tutto. Pensi a chi sta in Sicilia o nel nord-est: non è buono che debba per forza andare a Tirrenia per allenarsi con i pari livello. Qualche settimana fa ho visto il circolo di Cordenons. E’ una cattedrale nel deserto, bellissima. Perchè non usarla come centro di riferimento per il nord-est? Perchè non metterci un allenatore bravo, coadiuvato da uno staff di qualità, e farci crescere i ragazzi della zona?
 
In verità, la FIT sta lavorando in questo senso. Esistono dei Centri Perifici sparsi per il territorio. Lei pensa che non siano sufficienti?
In Francia ci sono 20 centri di questo livello, equivalenti alla nostra Tirrenia. Non dico che dobbiamo fare come loro, ma dobbiamo sfruttare le strutture che ci sono. In Emilia Romagna, per esempio, ci sono posti super ma poco utilizzati. A volte mi sembra che si pensi un po’ troppo al consenso e un po’ poco alla sostanza. Spesso si mettono in vetrina i risultati, dalla Fed Cup in giù, ma poi dietro cosa c’è? Tirrenia da quanto tempo è operativa?
 
Nove anni.
Ho letto la vostra intervista con Furlan. Lui ha detto che Tirrenia non è un fallimento. Non voglio dire che lo sia, ma penso che non abbia prodotto come avrebbe dovuto un Centro con quelle strutture e quelle capacità, anche a livello economico, perchè la nostra è una federazione ricca. Francamente non mi sembra buono che il nostro miglior giovane vada ad allenarsi all’estero, e che venga imitato anche dal secondo (Fanucci allude a Filippo Baldi, che dopo aver esaurito il rapporto con Stefano Dolce, pare che sia in procinto di trasferirsi, ndr). Ma allora gli allenatori italiani sono tutti scarsi? Oppure ho ragione io quando dicono che non ci sono coach di livello?
 
Ai tempi di Cesenatico, lei ha lavorato con Gianluca Rinaldini. Avrà seguito la vicenda dello scorso anno che lo ha riguardato. Dopo 12 mesi, pare che ci sia una bella notizia…
Sul “Caso Rinaldini” penso che la verità stia nel mezzo. Lui ha fatto delle cose, la federazione ne ha fatte altre…ma non è il caso di tornarci, anche perchè c’è una bella novità: il CONI gli ha trovato un lavoro nell’ambito delle strutture dell’Emilia Romagna. Adesso sta bene, ha uno stipendio ed è tranquillo. Bisogna ringraziare Marco Alciati, direttore del Circolo Canottieri Aniene, che si è interessato e ha trovato una soluzione. Questo inverno, con alcuni amici, ci eravamo adoperati per dargli una mano. Per un po’ lo abbiamo fatto, ma non era semplice. Per fortuna, grazie ad alcuni amici, non ultimo il Presidente del CONI, siamo arrivati al lieto fine.
 
Fabrizio Fanucci non nasconde di avere idee politiche di un certo tipo. Come si muove un personaggio di sinistra nel mondo patinato del tennis professionistico? C’è qualcosa che vorrebbe cambiare?
Non direi che il tennis sia da cambiare. Mi danno noia i ruffiani. Purtroppo, capita spesso che non venga quasi mai premiato chi ha fatto qualcosa di buono. Più in generale, faccio mia una proposta che aveva fatto Gianluca Naso tempo fa, mi pare proprio in un’intervista con voi: abolire il montepremi dai tornei futures, ma in cambio aumentare il numero di punti ATP e garantire l’ospitalità. Credo che sarebbe un’ottima cosa. Per un giovane, oggi è difficile arrivare ad essere un giocatore di medio livello. Il tennis ha dei costi paurosi. E i costi partono subito, sin da piccoli. Devi avere una famiglia alla spalle o una federazione che creda in te. Altrimenti è dura. Prendi Gianluigi Quinzi: ha un’ottima famiglia e si può permettere cose che altri non possono. Ovviamente ha delle capacità mostruose a livello umano e tecnico, ma di certo ha potuto avere una crescita ideale.
 
Per chiudere: la più grande gioia e la peggiore delusione nella sua carriera di coach.
La più grande soddisfazione è aver portato Filippo a quel livello. Ha battuto tutti i più forti al mondo, e per me è una soddisfazione eccezionale. Lo vedono giocare e dicono: ‘ok, bravo’. Però quando fai l’elenco dei giocatori che ha battuto, si mettono sull’attenti. Dicono che ha fatto i miracoli. Forse si. Qualcuno dice che poteva andare più in alto. Non so. Forse poteva restare più in basso. Per fortuna ho avute molte soddisfazioni, anche più personali: ad esempio, ricordo con grande piacere di aver portato una ragazza di nome Giulia Soresina a diventare B3. Penso che fosse il massimo che potesse raggiungere, e per me fu davvero piacevole riuscirci. Delusione? Che Filippo abbia smesso troppo presto di giocare in Coppa Davis, nel senso che non è stato più convocato anche quando lo avrebbe meritato. Per me è stato un peccato, credo anche per lui. Ne soffriamo molto ancora oggi. Non nego che se lo convocassero ancora una volta, sarebbe una grossa soddisfazione. Purtroppo è una cosa che ci manca: per dire, lo scorso anno ci fu il match a Napoli contro il Cile e secondo me meritava la convocazione, invece non fu neanche considerato.