di Enzo Anderloni – foto Getty Images
*intervista uscita sul numero di Febbraio 2013 de "Il Tennis Italiano"
L’azzurro, 26 anni, nonostante un 2012 travagliato per un serio infortunio al piede sinistro, adesso è pronto per il balzo che tutti si aspettano da un grande talento come lui. Guidato da Josè Perlas, già coach dei numeri 1 Ferrero e Moya, deve solo sbloccarsi. “Sto lavorando con le persone giuste e facendo le cose giuste: adesso sta a me entrare in campo e trasformare quel lavoro in rendimento in partita”
Fabio, alla fine del 2011 hai cominciato a lavorare con Josè Perlas, uno che in passato ha seguito numeri 1 del mondo. Come giudichi il primo anno sotto la sua guida?
“Lo giudico buono. Non ho potuto giocare per tre mesi eppure ho chiuso la stagione allo stesso livello dell’anno precedente”.
Tre mesi di stop dovuti a un infortunio piuttosto serio. Di che cosa si è trattato esattamente?
“Era un distacco della fascia plantare dall’osso. Un infortunio serio e doloroso”
Quando è successo?
“Il primo dolore l’ho avuto a Montreal nel 2011, a fine agosto, al piede destro. Poi mi è venuto al piede sinistro. A fine stagione ho passato un mese a Barcellona per fare tutte le terapie. Mi sono potuto allenare al 50% e all’inizio della nuova stagione, dopo gli Open d’Australia, ho definitivamente alzato bandiera bianca”.
A quel punto i medici che cosa ti avevano detto?
“Ognuno diceva la sua”.
E qual è stata la soluzione?
“Ho fatto un po’ di laser, tecarterapia, e poi ‘fattore di accrescimento’. Ho seguito queste cure a Milano. Il tesssuto era sfilacciato, una delle tre fasce era rotta. Mi hanno iniettato direttamente del tessuto nel tallone. Non ho risolto del tutto, ho impiegato tanto tempo per recuperare. Ogni tanto sento ancora male. Se schiaccio nel punto dove ho avuto la lesione sento ancora dolore adesso. Però da un punto di vista clinico l’infortunio è risolto. Dopo la pausa sono riuscito a rientrare con il Challenger di Barletta, poi a Casablanca”.
Lì ti sentivi bene?
“Sì, meglio. Avevo tutta una procedura da seguire, scritta, con una serie di esercizi da fare. Come scaldare il piede prima, come trattarlo dopo la partita. Cose che faccio ancora oggi, sei mesi dopo”.
Cominciare con un nuovo allenatore in una situazione così difficile, come è stato?
“E’ stata dura perché non potevo andare in campo. Ho fatto quello che mi era possibile fare. Poi ho giocato la partita con Falla al primo turno di Melbourne e al quarto set mi sono inchiodato. Abbiamo fatto di tutto. Quattro o cinque risonanze magnetiche. Onde d’urto in Australia. Laser. Alla fine Josè ha visto che non potevo proprio andare avanti. Siamo stati insieme poi lui è andato a Barcellona, io a Milano con il fisioterapista perché mi seguiva il medico dell’Inter, Franco Combi”.
Come mai il medico dell’Inter?
“Conoscevo il fisioterapista dell’Inter che ha casa ad Arma di Taggia. Tramite lui sono riuscito a mettermi in contatto con Combi. Io tra l’altro sono interista… Per questo ho fatto gran parte del lavoro di riabilitazione a Milano. Mi hanno fatto due iniezioni. Dopo 20 giorni ho ricominciato piano piano a giocare. E’ stata una faccenda lunga e dolorosa. Adesso sono guarito ma devo stare attento e devo sempre gestire questi problemi in termini di prevenzione. Dopo gli Us Open ho avuto problemi all’altro piede, il destro. Un edema osseo nella parte destra del piede. Le motivazioni non sono chiare: ho fatto risonanze, radiografie… Penso che un problema grosso siano state le scarpe: infatti quest’anno prima della preparazione sono andato in Germania dall’Adidas che mi ha fatto praticamente la scarpa su misura, più rialzata”.
La faccenda però ora è risolta, dunque la preparazione per il 2013 è stata svolta senza problemi…
“Sì, ho fatto tutto quello che dovevo”.
Ora siamo pronti al “decollo” verso le alte sfere del ranking?
“Speriamo”.
Nel 2012 hai raggiunto due finali: a Bucarest e San Pietroburgo. Che significato hanno avuto per te?
“Bucarest è stata una finale insapettata. Ero andato lì con tutta la calma, la tranquillità, la pazienza di questo mondo. Entrando al torneo, partita dopo partita, mi sono trovato a esprimere un tennis incredibile. Ho battuto Seppi nei quarti, dopo una partita in cui ci siamo ‘ammazzati’ per 3 ore e mezza. Poi mi si è aperto il tabellone in semi, ho avuto fortuna. In finale con Gilles Simon, anche se ho perso, ho giocato bene. Quel torneo mi ha dato molta fiducia e molta spinta”.
Per Andreas quella sconfitta è stata determinante: pur perdendo ha sentito di aver raggiunto un livello di gioco sufficientemente alto per poter competere al top… Quali sono stati i momenti più belli e importanti per te?
“Da quando ho ripreso ho dovuto giocare molto e senza pause. Avevo perso tempo e tornei, 8/10 tornei. Ho giocato bene praticamente su tutte le superfici. Stavo giocando molto bene sull’erba dove ho battuto Llodra: poi mi è toccato Federer. A New York secondo me ho espresso un buon tennis e passato due turni. Poi fortunatamente ho deciso di andare in Russia, nonostante la difficoltà e un programma che prevedeva di non giocare dopo la Davis. Io mi sentivo bene e sentivo che quel torneo aveva il suo perché. Ci sono andato e sono arrivato in finale. Poi purtroppo da lì ho iniziato ad avere difficoltà, mi sono messo forse un pochettino di pressione addosso, un’agitazione in più di cui non avevo bisogno. Così le ultime cinque partite dell’anno sono state un po’ negative”.
Perché?
“Capivo che stavo giocando bene: avevo fatto una finale indoor. Avevo voglia di far risultato. Quattro dei cinque tornei che avevo davanti erano grandi e mi sarebbe bastato un buon risultato per entrare tra i primi quaranta e quindi chiudere la stagione addirittura meglio dello scorso anno nonostante l’infortunio. Sono finito un po’ in confusione e ho finito l’anno non al meglio”.
Visto da fuori sembravi bloccato. Troppe attese?
“La colpa era mia. Avevo voglia di giocare, mi sentivo bene eppure… Forse la troppa voglia di fare qualcosa in più mi ha frenato. Lo stesso Josè continuava a dirmi di non andare di fretta, di prendermi tempo. In allenamento lo facevo benissimo. Prima di Shanghai in allenamento ho dato 6-2 a Youzhny, 6-3 a Isner. In allenamento giocavo bene, affrontavo i più forti e vincevo. In partita non riuscivo a mettere la stessa calma. Volevo sempre fare qualcosa in più. Questo mi ha frenato e mi ha fatto giocare male”.
Parliamo del 2013: non mi dire come fanno tutti che pensi solo a giocare il tuo miglior tennis ecc. Usciamo da queste logiche di prudenza e diplomazia: che obiettivi ti sei posto? Ci sono dei tornei per i quali hai attese particolari?
“Prima di tutto mi aspetto di avere un po’ di… salute. Vorrei fare un anno intero come si deve. Star bene è il primo obiettivo. Sappiamo che il livello di gioco non è un problema: quello c’è. L’ho dimostrato battendo gente molto sopra di me in classifica. L’obiettivo è trovare continuità a quel livello. Negli ultimi tre anni mi è mancato proprio questo: la continuità”.
Conoscendoti e conoscendo il circuito dove pensi di poterti esprimere meglio?
“I tornei principali per me sono sempre quelli sulla terra battuta. Però nell’ultimo anno penso di aver dimostrato di poter giocare bene anche indoor e sul duro, vedi gli ultimi Us Open. Se devo essere sincero, io di solito faccio fatica a iniziare l’anno. Sono lento a carburare. I primi tre mesi sono difficili per me e in Australia non gioco mai bene, anche se lo Slam è sempre una cosa a parte, cinque set, hai più tempo per entrare in partita, per gestire le situazioni”.
Preferisci la lunga distanza?
“E’ un tennis diverso, puoi prendertela con più calma, puoi pensare di più. Questo mi ha sempre aiutato”.
Come è stato questo primo anno con Josè Perlas, un allenatore che ha guidato dei Numeri uno?
“Sono dell’opinione che l’allenatore deve essere un po’ tutto per il suo giocatore: allenatore, papà, amico, compagno d’avventura. Deve saperti fare il cazziatone al momento giusto che poi, usciti dal campo, si cerca di dimenticare. Sotto questo aspetto ritengo che Josè sia davvero molto molto bravo. Non devo certo essere io a dirlo, visto la gente che ha portato in alto, a livelli assoluti. Per lui parlano i risultati. Però posso dire che se avessimo tanti allenatori così in Italia, con questa testa, con questi metodi, si verrebbe a creare una scuola migliore, si otterrebbero più risultati. Noi giocatori italiani nei top 100 siamo pochi ma oggi ci sarebbe tanta gente che gioca bene. Con la mentalità dei Perlas, di questi professionisti spagnoli, anche altri potrebbero esprimersi bene, potrebbero fare la differenza”.
Josè crede molto nelle tue possibilità, ti ha preferito a giocatori molto meglio piazzati in classifica. Ha dichiarato che vede qualcosa di speciale in te…
“Questo ovviamente è una bella cosa. Per lavorare insieme bisogna essere in sintonia, essere d’accordo sul lavoro e gli obiettivi da impostare. Oggi ti posso dire che se avessi la possibilità di rimanere con lui per tutta la mia carriera, firmerei subito”.
Se arriverai tra i primi cinque del mondo, secondo me resterà al tuo fianco…
(ride) “Beh , penso che lo farebbe anche se arrivassi nei primi dieci. O nei primi venti”.
Primi venti: Seppi c’è arrivato e tu a Bucarest l’hai battuto. Dunque il livello è quello…
“Andreas ha fatto un percorso diverso. Max Sartori, il suo allenatore, lo conosce da quando aveva 12 anni…”.
Vuoi dire che c’è qualcosa che Andreas può fare e tu no?
“No, assolutamente no. Tennisticamente per fortuna non ho molto da invidiare a lui e ad altri. Però ci sono determinati momenti, determinate situazioni che devi vivere perché ti fanno capire alcune cose di te, ti fanno crescere. Lui c’è passato ed è un giocatore sempre migliore. Io devo solo aspettare il Momento. Credo di stare lavorando nella direzione giusta, con le persone più che giuste. Adesso sta a me entrare in campo e trasformare il lavoro che si sta facendo in rendimento continuo in partita, sperando che porti i frutti che tutti ci aspettiamo”.