…può essere molto impegnativo. Lo svizzero si racconta a Jon Wertheim in una lunga intervista. Parla dei cambiamenti nella sua vita, della passione per i social network, dell’influenza della cultura svizzera e molto altro.
TennisBest – 21 agosto 2014
Un incrocio tra un fuoriclasse della penna e uno della racchetta non poteva che produrre qualcosa di interessante. Jon Wertheim ha incontrato Roger Federer a Toronto, prima del suo esordio. Lo svizzero ha raccontato molto di sè, prima di fare un tuffo in piscina con Charlene Riva e Myla Rose, le due figlie di cinque anni. L’intervista è stata pubblicata sul numero di Sports Illustrated uscito lo scorso 18 agosto e reperibile per intero a QUESTO INDIRIZZO. Noi vi riproponiamo lunghi stralci. Per capire come sia possibile essere ancora così forti a 33 anni. I suoi fans possono stare tranquilli: “Non voglio pensare troppo a cosa farò dopo il ritiro. Se lo facessi, vorrebbe dire che sarebbe vicino”.
Com’è essere Roger Federer in questo momento?
Prima di tutto non posso credere a quanti anni ho. Nel tour, il tempo passa troppo velocemente. Non posso credere che sia già agosto. Sembra che il tempo sia in modalità fast-forward. Mi trovo in una situazione fantastica, molto migliore rispetto all’anno scorso. Con la famiglia ho un rapporto fantastico.
Quando lasci casa…
E’ sempre un test. Stare a casa o andare ancora in giro? Sono stato molto contento di tornare on the road per preparare lo Us Open. Amo la Svizzera, ci trascorro sempre bei momenti, con amici e parenti. Ma io e mia moglie amiamo fare le valige e ripartire. Vediamo sempre le cose positive. La cosa più dura è l’organizzazione.
I giocatori hanno un diverso rapporto con il loro sport. Agassi a volte lo amava, a volte lo odiava. Hai mai perso l’amore per il tennis?
Ho faticato a inizio carriera. Non volevo allenarmi o giocare per 45 minuti, mi sentivo piatto e non mi divertivo. "Perchè sto facendo questo? Posso farlo domani?" Pensavo a queste cose. In un certo senso, sono felice di aver vissuto questa fase molto presto, tra i 16 e i 21 anni. Dovevo essere in campo alle 9 del mattino per allenarmi. C’era l’altro ragazzo, il professionista, che saltellava, sudato. Io mi ero appena rotolato fuori dal letto. Il coach mi aveva detto di allernarmi alle 9 del mattino. Eccomi. Ma dopo un’ora ero sotto 6-1 4-1. Era finita, non ne valeva la pena. Che sto facendo? Ho vissuto parecchi momenti come questo, poi finalmente ho detto: “Non voglio più sprecare gli allenamenti, non mi comporterò più così, voglio diventare un professionista". Con quel processo, ho iniziato ad apprezzare il tutto. Oggi amo allenarmi. Preferisco quando non mi guarda nessuno, sento di poter essere un clown o come sono veramente. Quando c’è il pubblico, sento di essere osservato. La gente scatta foto, riprende, analizza. Così sono concentrato, provo a fare un buon allenamento e lavorare su quello che voglio fare. Mi piace anche così, perchè le persone sono felici di vedermi e io posso fare quello che amo.
La maggior parte di chi ha figli, sa di dover ricalibrare la giornata. Come è andata per te?
E’ stato un grosso impatto nella mia vita. Ci pensi 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. So cosa stanno facendo i miei figli. In un’ora ci sono diverse situazioni: forse devono cenare, poi li dobbiamo mettere a letto e magari torno indietro per raccontare le favole della buonanotte. L’allenamento procede allo stesso modo. Mi manca la famiglia quando non sono con loro. Allo stesso tempo, so che non è sempre possibile. Ma va bene. Sono contento che non mi abbiano allontanato dal tennis. Era la mia prima preoccupazione cinque anni fa. Pensavo che non avrei potuto allenarmi quanto ne avrei avuto bisogno. Poi ho pensato che avrei dovuto ridurre la mia programmazione del 30%. Ma non è successo. Gioco al 100% e riesco a gestire la situazione. Per me è stata una sorpresa.
Una volta avevi detto che non ti piace stare da solo. Qualcosa è cambiato?
Mi piace avere le persone attorno. Mi piace avere gli spazi aperti in hotel o dove abito. Le persone possono sempre arrivare. Mi sono sentito molto strano quando sono andato a Shanghai da solo, o quest’anno a Monte Carlo. Andavo nella mia stanza e non c’era nessuno, così ho subito dato le chiavi al mio allenatore e al mio fisioterapista.
Qual è stato il cambiamento più grande tra i 23 e i 33 anni?
Il gioco è evoluto. La tecnologia delle racchette e soprattutto delle corde ha avuto un grosso impatto. Sempre più tennisti giocano da fondo. Ho dovuto adattarmi. Andando indietro, c’era il 30% dei giocatori che faceva serve and volley, il 30% giocava aggressivo e il 30% in difesa. Ora giocano più o meno tutti allo stesso modo. Tutti hanno un buon servizio, dritto, rovescio. Difficilmente giocano bene a rete. Così resti più spesso bloccato nel palleggio. E’ la situazione più prevedibile, più facile. Ma forse non è divertente come quando giocavi un giorno con un difensore, un giorno con un attaccante. Un altro cambiamento è stata la gestione dell’esperienza. L’esperienza può essere un’ottima cosa, ma a volte anche un ostacolo. Non giochi libero, giochi troppo di percentuale. Diventa tutto troppo studiato a tavolino. Mi piace giocare libero, a volte devo ricordare a me stesso di giocare come un junior. Tu cosa diresti?
Probabilmente i social network.
I social network, giusto!
Sembra che ti abbiano preso.
Si, mi ci è voluto un po’. Lentamente ho iniziato con Facebook, poi Twitter lo scorso anno a Parigi. Mi ci è voluto molto convincimento. Non capisco bene l’idea. Tutti usano i social in modo diverso. Alcuno lo usano per informarsi su di te, altri sono aperti e dicono che in quel momento si stanno bevendo un espresso. Allora mi sono detto: “Se lo faccio, devo essere me stesso”. La mia idea era di dare alla gente qualcosa di inedito. Dare quello che non sapevano. Alla gente piace quello che sto dicendo, penso sia bello.
Io non leggo i commenti, è come vedere il declino della civiltà in tempo reale.
Si. E’ quello che ho pensato entrando nei social network. Ma non è così male, ho un eccellente supporto.
Federer è così efficiente, svizzero, puntuale, presivo. Senti che la tua eredità svizzera si senta nel tuo gioco? Pensi che la cultura svizzera sia parte della tua personalità?
La Svizzera è un paese interessante perchè si parlano quattro lingue. Ho vissuto in diversi posti, ognuno è differente. L’accento cambia ogni mezz’ora di guida. Non voglio dire che le persone siano diverse, ma ci sono posti diversi. Allora penso: "chi è il vero svizzero?" Domanda difficile. Ma è un bel posto dove crescere. Mi ha dato la libertà di cui avevo bisogno. In quel senso, sono stato molto fortunato. La Svizzera mi ha sempre sostenuto molto, la gente non perde fiducia. Quando fai qualcosa di grande, ti tengono sempre con i piedi per terra. Tutti sono visti come uguali. E’ una cosa che amo molto del mio paese. Allo stesso tempo, puoi pensare: "perchè a volte non siamo più euforici? Perchè non possiamo fare pazzie?" Lo facciamo, ma molto raramente. Torniamo subito a quello che siamo realmente. Da quel punto di vista, è un posto molto comodo dove vivere.
Si sente che sei molto artistico. Che tipo di arte ti ha ispirato?
Quando ero piccolo, non capivo come si potesse essere ispirati dalle cose. Poi ho incontrato alcune persone, ho visitato gallerie d’arte, ascoltato un certo tipo di musica. Ti abbandoni un po’. Mi è successo soprattutto di recente, forse perchè sento di aver bisogno di più motivazione ed ispirazione per giocare bene. All’inizio sei esaltato, come in un negozio di caramelle: ‘Sto giocando contro qualcuno che ho visto in TV?’. Non hai bisogno di altre ispirazioni quando sei giovane.
Cosa ti piace?
Amo l’arte moderna. E' stato importante avere una mentalità aperta, non pensare solo al tennis. E’ stata una delle cose che ho fatto bene nel corso degli anni. Quando finisco l’allenamento, spengo la mente quando salgo in macchina.
Quali sono le due cose che non hanno nulla a che fare con il tennis e con la famiglia che ti piace fare?
Uscire con gli amici, prendere un caffè. Quando sono in vacanza, andare in spiaggia, ascoltare le onde. In quei momenti apprezzo la tranquillità, perchè la mia vita è piuttosto frenetica.
Cosa non vedi l’ora di fare quando non sarai più un tennista?
Ho dovuto mettere da parte gli altri sport perchè avevo troppa paura di infortunarmi. Di solito giocavo a squash, badminton, basket, calcio e andavo a sciare. Adesso, chiaramente, la famiglia ha preso quella parte della mia vita.
Quando ti sarai ritirato, ci sarà una parte di te che dirà: ‘Ho fatto cose magiche sul campo, ma adesso cosa farò nella prossima tappa che incombe’?
Non la vedo in questo modo. Per me il tennis è isolato. E’ stato questo incredibile viaggio. Certo, mi ha dato l’opportunità di viaggiare e di fare cose incredibili, non ho mai pensato che sarebbe stato così. Ho pensato che avrei dovuto dedicarmi un po’ alla stampa, un po’ agli sponsor. E’ stato molto di più. Forse faremo un’intervista tra 20 anni e dirò: ‘Ho fatto la cosa più incredibile al di fuori del tennis'. Poi c’è la mia fondazione. Avrò più tempo per viaggiare, fare progetti, raccogliere fondi. Non so dove mi porterà. In questo momento non voglio guardare troppo in là. Più penso alla vita dopo il tennis, più sarò vicino alla fine. Ma non voglio esserci. Potrò capirlo una volta che tutto sarà stato detto e fatto.
Abbiamo parlato della "federerizzazione" del tennis. Hai un grosso impatto su tutta la cultura. Quanto è stato intenzionale che la tua etica influenzasse le cose?
Avevo solo bisogno di tenere sotto controllo le sconfitte. Dovevo trovare un modo di perdere, non con stile, ma tenendo le cose insieme. Di solito, da giovane, mi mettevo a piangere. A un certo punto sarebbe diventato imbarazzante. Il problema è che quando sei sotto i riflettori, hai vinto grandi tornei, sei stato numero 1, si pensa che tu sia sempre stato bravo e umile.
Vorresti qualche attrito in più?
Mi piacciono i ragazzi un po' arroganti e sicuri di sè. Penso che sia importante esserlo. Non è stupidità, ma il credere in se stessi. Da giovane, il mio idolo era Stefan Edberg, molto umile. Anche Michael Jordan mi sembrava così. Non so quale percezione avesse, ma io l'ho sempre visto come un giocatore elegante sia nelle vittorie che nelle sconfitte. Avrei voluto essere come lui…ma poi le tendenze sono andate in direzione opposta. Quando un atleta vince si rotola per terra, corre verso la gente. A volte preferirei che non fosse così, e magari tornare a quando si stringeva la mano saltando la rete. Capisco come vanno le cose, ma mi piacerebbe che il tennis fosse rappresentato nel modo giusto. Secondo me è uno sport elegante. Per me è importante restare umili perchè nessuno di noi è più grande del gioco. I tennisti vanno e vengono, il gioco resta.
E’ una vita diversa rispetto a quella di 10 anni fa.
Totalmente.
A volte sei meno soddisfatto di com’eri 10 anni fa?
Meno soddisfatto? Credo di poter divertirmi molto di più fuori dal campo. In campo, probabilmente, mi divertivo di più quando vinceva da 5 a 10 tornei l’anno. Mi manca andare a ogni torneo e vincerlo, portandomi a casa il trofeo. Devo dire che è stata una sensazione incredibile. Ma nella vita personale, al di là di tutto, mi sono molto più felice. Non mi sento così stressato perchè non ho il bisogno di dimostrare niente a me stesso e agli altri. Andare in giro, essere invitato ai servizi fotografici, agli shooting…tutto mi spaventava, è stato scomodo. Ho avuto bisogno di un po’ di tempo per abituarmi a queste cose. Però è stata un’esperienza incredibile, difendere un titolo, il desiderio di avere successo. Tutto questo fa dimenticare le altre cose.
Di recente ho scritto: Sarebbe davvero bello essere Roger Federer, ma a volte può essere impegnativo.
Si. Voglio dire, al contrario mi sarei fermato. Avrei potuto dire: “Ne ho abbastanza”.
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