Quello tra Andy e Jamie Murray è un diverso rispetto a quello di altri fratelli: in questo caso è il maggiore ad aver fallito. I due hanno giocato il doppio a Monte Carlo.
Andy e Jamie Murray a Monte Carlo

Di Federico Ferrero – 21 aprile 2012


Stretto tra Ivan Lendl, in tuta XL e occhialini da ipermetrope – ha compiuto 52 anni a marzo: è la vi(s)ta – Dani Vallverdu e il preparatore Matt Little, mi cibavo di buon tennis sul campo dei Principi: Andy e Jamie Murray di qua, i gemelli Bryan di là. E mi chiedevo: quant'è difficile essere Jamie? «Sai che Claudio Panatta venne a ringraziarmi – il mio pensiero ad alta voce era stato intercettato dall'amico Vincenzo Martucci, che di stagioni del tennis ne ha viste a manciate – la prima volta in cui non lo chiamai Panattino ma per nome?».
È complicato entrare col piede giusto nella faccenda: essere svezzati in una casa abitata da un campione può anche costituire un vantaggio mica da poco, per un fratello o una sorella (1). Non per Jamie Murray: più anziano di 15 mesi, la sua versione non è proponibile nei termini della saga dei Panattas' o della genìa McEnroe. Qui è il fratello maggiore, se vogliamo metterla giù brutalmente, ad aver fallito essendo peraltro partito con le stesse possibilità del secondo.
 

A giocare da titolare, semmai, è stata la lacuna di esperienza dei Murray. «Jamie è forte, ha talento e deve riuscire», diceva Andy anni fa, quando ancora si sbottonava parlando dell'anello debole della famiglia. «È che quelli della Lta lo hanno rovinato». Dietro quella frase, mai smentita (i Murray sono troppo influenti, i cattivi rapporti con Andy costarono in buona parte il posto all'ex capitano British John Lloyd (2) ) si cela una vicenda terminata come non avrebbe dovuto. Tra i migliori juniores della nazione, infatti, c'era proprio il Murray maggiore; messo sotto copertura dalla federazione britannica, se lo presero dalla Scozia e lo portarono a Cambridge in un centro federale. «Quell'esperienza gli ha fatto perdere un sacco di tempo e di terreno. È colpa loro». Vero è pure che il ranking Itf si calcola mescolando singolare e doppio, e già ai tempi Jamie era sensibilmente più forte nel secondo che nel primo.
 
Che quei sette mesi in casa Lta abbiano effettivamente rovinato Jamie è una tesi difficile da accettare, così, tout court. Così come è plausibile ritenere che Andy sarebbe diventato Andy Murray anche senza il periodo trascorso nell'accademia di Sanchez e Casal a Barcellona. Fu piuttosto quel campionato under 16 giocato ad Andorra che lo spinse a tornare a casa e a chiedere ai genitori di allenarsi in Spagna perché il suo esecutore in finale, un certo Nadal di Maiorca, «Sta in campo quattro ore e mezza al giorno sotto il sole. Io, se va bene, quattro ore alla settimana».
 
Visti da vicino, stessa divisa, stesso taglio a zero, Jamie incarna una sorta di gemello rinsecchito di Andy. Ha le spallucce dell'impiegato. È mancino, tocca la palla con grazia e un'incordatura dalla pittura indecifrabile: difficile che lo sponsor possa ricoprirlo di soldi per l'endorsement. Ma i due si vogliono bene, c'è armonia e lo si percepisce. Anche quando salgono le scalette della sala stampa passandosi battutacce sottovoce e coprendosi la bocca col badge: ecco, forse è Andy ad aver assunto il comando come il fratello maggiore. Il cui compito è quello di proteggere l'altro, di non farlo sentire il figlio incapace. Non fargli pesare la sua carriera da star, lui sul centrale contro Federer, Jamie sul campo 9 contro Kas e Peya, spettatori l'arbitro e due che non hanno il biglietto per sedersi altrove (3).


[1] Se ne era parlato qualche tempo fa, qui: http://www.tennisbest.com/wildcard/?p=804
[2] Che ha reso la sua 'vendetta' uno stillicidio: iniziò a dire che non fosse giusto svincolarsi dalla Davis (risposta di Murray: perché non te la prendi anche con Federer e Nadal  quando fanno la stessa cosa?), che l'atteggiamento di Murray in campo (2011, marzo) assomigliava a quello di chi sta per andare dal dentista. L'impressione dello scrivente è che dopo le sconfitte di Murray a Wimbledon («Deve succedere a Fred Perry, è maturo per farlo», disse JL lo scorso anno ai Championships, con un tono da imperativo categorico) e al Roland Garros l'ex capitano non si sia fatto prendere dalla disperazione. Anzi.
[3] Vi è venuta voglia di essere suoi fan, vero? Cominciate da qui: http://www.jamiemurray.org/shop/products/1/1