Di David Foster WallaceIl giudice di sedia ha decretato l’inizio del gioco e Sampras si predispone a servire sollevando la punta del piede anteriore mentre lancia alta la palla in quel modo tutto suo. Non ero mai riuscito a vedere Sampras giocare dal vivo, ed è un atleta molto più bello di quanto sembri in tv. Non è particolarmente alto né muscoloso, ma ha un servizio dall’effetto quasi wagneriano e da distanza così ravvicinata si vede che è perché Sampras ha un misto magico di flessibilità e tempismo che gli permette di riversare tutto il peso della schiena e del busto nel servizio – l’intero corpo scatta come di norma solo un polso sa fare – e che dipende dalla posizione curva e raggomitolata da cui avvia i movimenti del servizio, sollevando solo la punta del piede anteriore e prendendo la mira da sopra la racchetta come se avesse una balestra, una serie di movimenti che in tv sembrano tic eccentrici ma che dal vivo danno l’impressione che il corpo sia un unico grosso muscolo, una specie di anguilla arrabbiata pronta al guizzo. Philippoussis, che tra un punto e l’altro ama fare un piccolo balletto sul posto, aspetta il servizio senza tradire la minima espressione. La fascia che ha in testa si abbina alla maglietta a strisce tipo caramella. I display dei tabelloni segnapunti ora sono programmati per tenere il punteggio anziché lampeggiare pubblicità. Il nome di Philippoussis si ritaglia una bella fetta orizzontale di ogni tabellone. La parete tra lo Stadium e il Grandstand (a E rispetto a noi) è sormontata dalla tribuna stampa che la percorre per intero e fondamentalmente sembra la più grande casa mobile del mondo, gli scuri alle finestre calati contro il sole pomeridiano. Tre punti hanno dato come risultato un ace, una risposta vincente e un lungo scambio che si conclude quando Philippoussis scende a rete invitato da una palla non esattamente indirizzata sul rovescio e Sampras cerca l’angolino alla destra del rettangolo di servizio caricando incredibilmente il colpo. La ferocia del rovescio di Sampras è un’altra delle cose che la tv non comunica bene, il suo controllo sull’ovale della racchetta fa pensare più a quei colossi da terra battuta con gli avambracci come cosce di bue, il topspin così caricato da distorcere la forma della palla mentre il passante cade giù a piombo.Il malvagio ma cyborghiano Philippoussis finora non ha tradito niente che somigli a una vera espressione facciale. Si direbbe che nemmeno sudi. Due tipi attempati nella fila subito dietro la mia esortano Sampras sottovoce, chiamandolo «Petey», e mi viene spontaneo pensare che siano amici o parenti. E appollaiata sopra la tribuna stampa – cioè più o meno all’altezza dell’antenna di una stazione radio – c’è una pubblicità che gli US Open 1995 fanno a se stessi. È l’enorme stampa puntinista nei colori pastello di un pubblico dello Stadium Ntc intorno a un campo smisurato, la prospettiva stranamente scorciata e il famoso skyline di Manhattan immediatamente sullo sfondo come decisamente non si staglia nel vero Flushing Meadows del Queens; e sopra e oltre il cartellone la grossa zucchina del dirigibile della Fuji Inc. galleggia lenta contro il ceruleo del cielo estivo di gran lunga più bello che abbia mai visto a New York City. Non solo l’aria del weekend del Labor Day agli Open 1995 è priva di umidità e intorno ai ventisei gradi, il sole cocente, il vento leggero e il cielo dell’azzurro troppo vivido di un film colorato, ma l’aria del cielo è limpida, l’aria ha il profumo buono, intenso e dolce dei panni stesi ad asciugare, risultato non solo di un mese senza pioggia ma anche di un assurdo fronte di alta pressione che questo weekend è frullato fuori dallo spazio aereo sopra la Nuova Scozia spazzando gli ossidi e le puzze che NYC si merita e spedendoli sul New Jersey. L’aria nella conca dello Stadium si fa più fina e pungente man mano che sali lungo gli spalti, finché, se monti sopra il frigo portatile Michelob che qualcuno ha introdotto clandestinamente nell’ultima fila di gradinate, sbirci da sopra la parete che dà a E oltre il bordo della tribuna stampa e guardi giù oltre il grosso cartello che dice:Puoi leggere il resto dell'articolo su TENNISBEST Magazine di Settembre-Ottobre
Di David Foster Wallace
Il giudice di sedia ha decretato l’inizio del gioco e Sampras si predispone a servire sollevando la punta del piede anteriore mentre lancia alta la palla in quel modo tutto suo. Non ero mai riuscito a vedere Sampras giocare dal vivo, ed è un atleta molto più bello di quanto sembri in tv. Non è particolarmente alto né muscoloso, ma ha un servizio dall’effetto quasi wagneriano e da distanza così ravvicinata si vede che è perché Sampras ha un misto magico di flessibilità e tempismo che gli permette di riversare tutto il peso della schiena e del busto nel servizio – l’intero corpo scatta come di norma solo un polso sa fare – e che dipende dalla posizione curva e raggomitolata da cui avvia i movimenti del servizio, sollevando solo la punta del piede anteriore e prendendo la mira da sopra la racchetta come se avesse una balestra, una serie di movimenti che in tv sembrano tic eccentrici ma che dal vivo danno l’impressione che il corpo sia un unico grosso muscolo, una specie di anguilla arrabbiata pronta al guizzo. Philippoussis, che tra un punto e l’altro ama fare un piccolo balletto sul posto, aspetta il servizio senza tradire la minima espressione. La fascia che ha in testa si abbina alla maglietta a strisce tipo caramella. I display dei tabelloni segnapunti ora sono programmati per tenere il punteggio anziché lampeggiare pubblicità. Il nome di Philippoussis si ritaglia una bella fetta orizzontale di ogni tabellone. La parete tra lo Stadium e il Grandstand (a E rispetto a noi) è sormontata dalla tribuna stampa che la percorre per intero e fondamentalmente sembra la più grande casa mobile del mondo, gli scuri alle finestre calati contro il sole pomeridiano. Tre punti hanno dato come risultato un ace, una risposta vincente e un lungo scambio che si conclude quando Philippoussis scende a rete invitato da una palla non esattamente indirizzata sul rovescio e Sampras cerca l’angolino alla destra del rettangolo di servizio caricando incredibilmente il colpo. La ferocia del rovescio di Sampras è un’altra delle cose che la tv non comunica bene, il suo controllo sull’ovale della racchetta fa pensare più a quei colossi da terra battuta con gli avambracci come cosce di bue, il topspin così caricato da distorcere la forma della palla mentre il passante cade giù a piombo.
Il malvagio ma cyborghiano Philippoussis finora non ha tradito niente che somigli a una vera espressione facciale. Si direbbe che nemmeno sudi. Due tipi attempati nella fila subito dietro la mia esortano Sampras sottovoce, chiamandolo «Petey», e mi viene spontaneo pensare che siano amici o parenti. E appollaiata sopra la tribuna stampa – cioè più o meno all’altezza dell’antenna di una stazione radio – c’è una pubblicità che gli US Open 1995 fanno a se stessi. È l’enorme stampa puntinista nei colori pastello di un pubblico dello Stadium Ntc intorno a un campo smisurato, la prospettiva stranamente scorciata e il famoso skyline di Manhattan immediatamente sullo sfondo come decisamente non si staglia nel vero Flushing Meadows del Queens; e sopra e oltre il cartellone la grossa zucchina del dirigibile della Fuji Inc. galleggia lenta contro il ceruleo del cielo estivo di gran lunga più bello che abbia mai visto a New York City. Non solo l’aria del weekend del Labor Day agli Open 1995 è priva di umidità e intorno ai ventisei gradi, il sole cocente, il vento leggero e il cielo dell’azzurro troppo vivido di un film colorato, ma l’aria del cielo è limpida, l’aria ha il profumo buono, intenso e dolce dei panni stesi ad asciugare, risultato non solo di un mese senza pioggia ma anche di un assurdo fronte di alta pressione che questo weekend è frullato fuori dallo spazio aereo sopra la Nuova Scozia spazzando gli ossidi e le puzze che NYC si merita e spedendoli sul New Jersey. L’aria nella conca dello Stadium si fa più fina e pungente man mano che sali lungo gli spalti, finché, se monti sopra il frigo portatile Michelob che qualcuno ha introdotto clandestinamente nell’ultima fila di gradinate, sbirci da sopra la parete che dà a E oltre il bordo della tribuna stampa e guardi giù oltre il grosso cartello che dice:
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