ROLAND GARROS. Ripubblichiamo la chiacchierata tra Sara Errani e il nostro direttore, pubblicata qualche settimana fa su Sport Week.
E' un momento d'oro per Sara Errani. Vincendo a Budapest, la romagnola ha colto il quinto successo WTA in carriera e ha portato a 15 match la striscia vincente sulla terra battuta. Battendo in finale Elena Vesnina ha ottenuto il terzo titolo in stagione, eguagliando il primato di Roberta Vinci (fino ad oggi, unica a italiana a vincere tre tornei in una singola stagione). Il nostro direttore Lorenzo Cazzaniga ha firmato l'intervista alla Errani apparsa sull'ultimo numero di Sport Week, il magazine settimanale allegato alla Gazzetta dello Sport. Eccola.
Nel tennis, come in altre circostanze, le misure non contano. Lo dimostra Sara Errani, alla faccia dei presunti esperti che avevano già offerto la loro sentenza: “Troppo piccola, troppo leggera. Corre tanto ma il tennis non è la maratona. Senza potenza non si vince più”. E invece, a dispetto dei suoi 163 centimetri e 60 chilogrammi, la Errani è riuscita a inserirsi nel tennis che conta. E, caso più unicoche raro nel tennis italiano, non tanto grazie al talento divino ma al lavoro, alla costanza, allo spirito di sacrificio che ha imparato lontano da mammà, trovando rifugio in quella Spagna dove pare che anche un brocco si trasformi in fenomeno, se imbraccia una racchetta.
E così, con Pennetta e Schiavone che sembrano aver imboccato il loro sunset boulevard, le speranze di un roseo futuro per il tennis azzurro sono riposte nelle mani di questa espatriata di Massa Lombarda.
Da riserva di Fed Cup a giocatrice azzurra che ha conquistato il maggior numero di punti nel 2012: un bel salto di qualità.
"E un premio al lavoro svolto in questi anni e al coraggio di aver lasciato l'Italia da ragazzina per trovare la strada giusta"
A questo punto cambiano anche gli obiettivi?
"Per me conta migliorare sempre. È la regola che da sempre segue anche il mio coach, Pablo Lozano: il nostro rapporto funziona proprio perché entrambi cerchiamo di progredire costantemente e di trasmettere all'altro le nostre conoscenze".
Cosa ti ha permesso di crescere così tanto negli ultimi mesi?
"Può sembrare incredibile ma è stato il cambio di racchetta. Per il resto ho svolto la stessa preparazione, con gli stessi carichi, la stessa routine. Ma ho preso 'sta Pure Drive dalla sacca di un'amica e mi riesce tutto un filo meglio di prima. E con le vittorie cresce anche la fiducia in se stessi, un aspetto fondamentale nello sport moderno".
Vedere la Schiavone vincere e fare finale a Roland Garros ti ha convinto che non sono traguardi impossibili?
"Mah, da una parte ti stimola. Francesca è un'amica e seguirla da vicino te la fa sentire meno irraggiungibile. Ti dici che se ce l'ha fatta lei, puoi farcela anche tu. Ma si tratta di imprese storiche: io di certo non comincio Roland Garros puntando a vincere il torneo. Però intanto in Australia ho cominciato a far quarti di finale… Sai, prima mi ponevo l'obiettivo di stare nelle prime 32 del mondo per essere testa di serie negli Slam. Poi ho capito che fissare un obiettivo vuol anche dire porsi dei limiti”.
Ma quando da ragazzina si è trasferita in Spagna, avresti firmato per raggiungere i risultati che hai conquistato fino adesso?
“A 16 anni sicuramente. Io sono testarda e ho sempre lavorato tanto per arrivare fin qui, ma non è sempre facile crederci. Ci sono momenti duri dove il traguardo ti sembra lontanissimo. Ora ho vinto tre tornei e sto crescendo nel ranking ma non voglio fermarmi. E ancora non mi rendo perfettamente conto di quello che sto combinando”.
Ma perché in Spagna si riesce a emergere a livello pro con cosi tanta costanza?
"Nemmeno loro hanno la bacchetta magica, ma hanno fame, voglia di lavorare e anche una certa ambizione. Pablo, per esempio, ha sempre avuto l'obiettivo di farmi diventare forte e non importava quanti sacrifici avremmo dovuto fare. Diciamo che in Spagna non si accontentano mai del livello raggiunto, puntano sempre più in alto. E poi è pieno di accademie specifiche per chi vuole cercare la via del professionismo. Nei nostri classici circoli è più complicato se cominci a rubare le ore ai soci…”
Ma quanto è importante trovare un ottimo coach?
“Per me è fondamentale. Io senza Pablo non mi ci vedo e non credo proprio che sarei mai arrivata fin qui. Mi ha indicato la strada giusta mentre tante altre magari avevano un gran talento ma si sono perse”.
Ma a livello pratico, come lavorano questi coach spagnoli?
“Rispetto agli italiani, curano molto d più l’aspetto tattico, l’opposto di quel che succede nel calcio. Non che la tecnica non sia considerata importante, ma lo è molto meno che in Italia. Lui mi diceva: devi mettere 100 palle di fila qui, non importa come, ma devi metterne 100 qui. Mi ha insegnato a giocare con ordine, così in campo mi sento più sicura su quello che devo fare, anche se un giorno un colpo non funziona. E poi studia tantissimo le mie avversarie, anche su YouTube se serve. Arrivo sempre molto preparata”.
In Italia, fino adesso hai vissuto all’ombra di Schiavone e Pennetta e sei stata un po’ trascurata: ma com’è l’ambiente in Nazionale?
“Mi hanno sempre trattato bene, non facendomi mai sentire una riserva. E’ successo con Francesca, con Flavia ma anche con Corrado Barazzutti, un capitano capace di tirarti fuori il meglio. Ha molti meriti nei nostri successi di squadra”.
Pennetta e Schiavone hanno superato i 30 anni e sembrano in fase calante: sale la pressione di essere la loro erede naturale?
“Per adesso no perché… non ci ho mai pensato! Ho tanti anni davanti per migliorare, e non sono convinta che Francesca e Flavia si ritireranno così presto”.
L’Italia di Fed Cup ha perso in semifinale: dica la verità, ma l’ambiente nel team è sempre così perfetto come viene descritto?
“Siamo molto unite, ognuna col suo carattere. La Schiavone ha una personalità spiccata e un carattere un po’ particolare, ma personalmente ci vado molto d’accordo. E Roberta Vinci ormai è come una sorella”.
Con la quale dovrebbe giocare il doppio alle Olimpiadi.
“Un’esperienza nuova e stimolante. Ci sono atleti che lavorano quattro anni e si giocano tutto in pochi istanti. Per noi è diverso e ancora non so cosa aspettarmi. Però la cerimonia di inaugurazione sarà sicuramente da brividi”.
Una volta hai detto: “Se calcolassi quello che hanno speso i miei genitori per farmi diventare una tennista professionista, ancora non sarei in grado di rimborsarli.
“Il tennis pro costa tantissimo e con la crisi attuale, non so quanti genitori sono disposti a investire somme cospicue per far provare ad una figlia una strada durissima, con poche chance di arrivare davvero in alto. Il tennis è una piccola azienda ma quando scendo in campo non penso ai soldi che mi sto giocando, altrimenti chissà che braccino mi verrebbe. Figurati che non ricordo nemmeno quanto ho guadagnato di prize money con i quarti in Australia”.
Quindi proviene da una famiglia ricca?
“Benestante. Mia mamma è una farmacista, mio padre mediatore nei mercati di frutta e verdura. Vivono ancora a Massa e non sono fanatici di tennis. Qualche volta si svegliano anche di notte per vedermi giocare, ma di certo non soffrono davanti al livescore”.
Si parla invece poco di fidanzati: non c’è tempo?
“Mah, il tempo lo si troverebbe anche. E’ solo che manca la materia prima. Con l’attività che svolgo le chance sono minori, non conosci bene tanta gente e nei tornei devi restare molto concentrata sul tuo gioco. E poi, tanto sembro piena di energia in campo, tanto sono pigra fuori. Potrei vincer eun Campionato del Mondo di pigrizia”.
Un video ti ha anche ripreso mentre facevi oltre 200 palleggi col pallone su una spiaggia di Acapulco: mai pensato di darti al calcio?
“In realtà il record è di 208 palleggi. Sai, una ragazza inglese mi aveva superato e io rosicavo… Però ho fatto bene a scegliere il tennis: col calcio femminile dove andavo? Mica ci sono Moratti e Berlusconi!”.
Ma guarda che Gattuso 100 palleggi di fila non riesce a farli!
“No dai, credo ci riesca anche lui, no?”
LA SCHEDA
Sara Errani, 25 anni, è nata a Massa Lombarda, provincia di Ravenna. Per allenarsi, si è trasferita da ragazzina in Spagna, prima a Barcellona, poi a Valencia, nella stessa accademia dove è cresciuto David Ferrer. Destrorsa, rovescio bimane, in carriera ha vinto quattro titoli del circuito WTA (Palermo e Portorose nel 2008, Acapulco e Barcellona nel 2012) e perso tre finali. Ha raggiunto la sua miglior posizione nel ranking mondiale lo scorso 16 arile al numero 28. A gennaio, insieme a Roberta Vinci ha raggiunto la finale all’Australian Open: è stata la prima finale Slam conquistata da una coppia totalmente italiana. Inoltre, i quarti di finale in singolare rappresentano per adesso il suo miglior piazzamento Slam. Ha vinto anche due Fed Cup, seppur non da protagonista principale.
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