Andrea: «Mamma mia come risponde Sara». Sara: «Andrea a rete è un muro». Le parole, gli sguardi, la storia del primo duo tutto azzurro a raggiungere la finale di uno Slam

Foto Ray Giubilo

Gli occhi, bisogna partire da quelli. Le due gocce laser del Vava, i due laghi azzurri di Sarita, la luce, l’energia che si scambiano in campo e fuori, la sostanza umana che illuminano. A Parigi, per le Olimpiadi, era finita in lacrime. Andrea, altissimo, spalle larghe e anima grande, colpito al cuore dalla sconfitta contro la coppia olandese, era come imploso, sprofondando nell’abbraccio da sorella maggiore della Errani. 

A New York, per ora, è solo allegria, fra il gigante che si china stavolta senza crollare, ma solo per accogliere in un abbraccio il genio tascabile della compagna. Sara Errani e Andrea Vavassori volevano stupire il mondo ai Giochi, ci stanno riuscendo nell’ultimo Slam dell’anno. Comunque insieme, come una pila nutrita da due poli, producono qualcosa di inedito: mai una coppia tutta italiana era arrivata in finale nel misto. Nel 1925 Uberto de Morpurgo – sempre lui… – aveva perso quella dei Campionati Usa (gli attuali Us Open) a fianco di Elisabeth Ryan, contro un duo mitologico: Suzanne Lenglen e  Jean Borotra. Nel 1958 Nicola Pietrangeli e l’inglese Shirley Bloomer si erano presi quella del Roland Garros contro i due aussie Howe e Coghlan, nel 1986 la grande Raffi Reggi aveva conquistato Flushing Meadows a fianco di Sergio Casal, contro un’altra coppia da leggenda, Martina Navratilova e Peter Fleming, storica spalla di John McEnroe. 

Ora, il misto può sembrare anche una specialità fossile, quasi arcaica – anche se rilanciata dal fiorire recente di tante gare miste, ad esempio nell’atletica e nel nuoto – un passatempo minore. Ma nelle mani di Sara e Andrea, nei loro gesti, nell’arte di intrecciare traiettorie umane e sportive, nelle parole che sanno distillare dopo un match, va un passo oltre la pura questione tecnica, oltre le planate a rete di Wave, il fosforo delle giocate di Sara. «Le energie nascono dalla passione che abbiamo per questo sport», ha spiegato a SuperTennis la nostra signora del doppio, all’undicesima finale Slam in carriera fra singolare e doppio, cinque delle quali vinte in coppia con Roberta Vinci. «Mi piace, mi diverto anche con le piccole cose in allenamento. L’obiettivo era divertirci, abbiamo esagerato. Siamo in finale, stiamo giocando bene, siamo contenti. Ero arrivato stanca, invece ho deciso di fare singolo, doppio e misto. E’ stato un gran torneo fino ad ora». Il Vava di finali major per ora ne ha giocate due a fianco di Simone Bolelli, perse entrambe quest’anno in Australia e al Roland Garros: «A rete siamo davvero molto forti, e poi come risponde Sara… Sempre in campo. Poi varia, con slice e lob. «Ci divertiamo tanto, anche in allenamento è una sfida continua, in campo si vedono la nostra energia e il nostro divertimento». Andrea che copre la rete aprendo le ‘ali’ come un airone, Sara che nei riflessi, nella destrezza applicata alla geometria ha pochi rivali. «Per me Andrea è il più forte in doppio – dice lei –  serve come un treno e a rete è un muro». In finale si trovano davanti una grande promessa arenata come Donald Young e la sua amica d’infanzia Taylor Townsend, altro talento tormentato, e anche la loro è una storia che andrebbe raccontata, e che nel ‘misto’ trova una sua nascosta quadratura del cerchio fra sport e vita, fra delusione e redenzione. Il pubblico sarà tutto per gli american boys, i nostri però – il ragazzo su cui nessuno puntava e la campionessa che non si stanca di stupire – sono tipi tosti. Che non si fanno scoraggiare, che sanno quello che valgono e si divertono un mondo a dimostrarlo.