L’ultima notizia in ordine di tempo è che Nick Cavaday dovrebbe essere il nuovo allenatore di Emma Raducanu. Il condizionale però è d’obbligo, per una giocatrice che fa del rapporto con i suoi coach un vero e proprio caso
Il tempo dell’attesa è finito per Emma Raducanu, che inizierà il nuovo anno prendendo parte al torneo di Auckland grazie a una wildcard concessa dal torneo. Si tratta del primo torneo che la giovane tennista britannica disputa a partire dallo scorso aprile, quando annunciò il forfait dal Masters 1000 di Madrid e si sottopose a una triplice operazione. Entrambi i polsi e la caviglia destra, per cercare di risolvere definitivamente i suoi problemi. Il punto di domanda che accompagna l’inizio di questo nuovo corso è: chi siederà nel suo box come allenatore? La risposta, a meno di sorprese, dovrebbe essere Nick Cavaday. Si tratta di un ritorno al passato per Raducanu, i due avevano già collaborato tra il 2011 e il 2014 quando Cavaday era capo allenatore alla LTA’s High Performance Centre a Bromley.
Si utilizza il condizionale perchè quando si parla di Emma Raducanu, nessun allenatore può dormire sonni tranquilli. Il management della campionessa 2021 dello US Open non ha ancora ufficializzato la collaborazione con Cavaday, ma sembrerebbe strano che dopo essersi allenata per settimane con lui si decidesse per un cambio proprio all’alba della nuova stagione. Il 37enne britannico non è un nome di alto profilo, ma possiede una buona esperienza e può vantarsi di aver spinto Aljaz Bedene in top 50. Una collaborazione che però promette di non essere tra le più semplici, dal momento che Raducanu ha cambiato ben 6 allenatori negli ultimi due anni. Semplice capricci di un talento esploso troppo presto, o ci sono ragioni più profonde alla radice?
Il cambio di coach per Raducanu infatti sembra essere una costante, con rapporti che non durano mai più di sei mesi. Il più fortunato è stato Torben Beltz, che ha seguito la tennista britannica dal novembre 2021 fino all’aprile del 2022, prima di essere licenziato e sostituito da Dimitry Tursunov, durato non più di tre mesi da luglio a ottobre dello stesso anno. Il primo a subire l’infausto destino fu Nigel Sears nel luglio del 2021, prima che il fenomeno Raducanu esplodesse a livello globale. Fu sostituito da Andrew Richardson, il quale contribuì all’incredibile vittoria allo US Open partendo dalle qualificazioni e senza perdere un set. Per questo l’annuncio del divorzio, arrivato a novembre dello stesso anno, sorprese tutti quanti. A quel tempo Raducanu dichiarò che preferiva un coach di maggiore esperienza, dal momento che dopo la vittoria dello Slam americano le sue prospettive erano sensibilmente cambiate.
Tornando alla girandola di allenatori, dopo la separazione con Tursunov il prescelto fu Jez Green. La scelta sembrava quella giusta, Green aveva contribuito alla consacrazione di Andy Murray e puntava a fare lo stesso con Raducanu. Peccato che non ne ebbe il tempo, chiamato a ottobre del 2022 fu lasciato a casa solamente dopo due mesi. Un rapporto probabilmente nato sotto una cattiva stella, se si pensa che in quel periodo Raducanu era anche infortunata e quindi non poteva avere riscontri sui risultati del lavoro svolto con l’ex coach di Murray. L’ultimo in ordine di tempo è stato Sebastian Sachs, subentrato a Green e con il rapporto che si è concluso poco dopo la triplice operazione della tennista britannica a maggio. Un periodo – quello lontano dal campo – che poteva rappresentare una vera e propria occasione, quella di costruire un team forte e strutturato che potesse poi seguire Raducanu una volta tornata alle competizioni. Questo non è avvenuto, ma entrando ancora più nelle profondità di questo difficile rapporto si capisce che forse non avverrà mai.
Max Eisenbud, manager di Raducanu, durante l’estate è stato ospite di The Tennis Podcast e ha parlato proprio del difficile rapporto con i coach. “Si tratta di una filosofia che portano avanti – lei insieme al padre, figura onnipresente – sin da quando sono junior. Non hanno mai avuto un tecnico per un lungo periodo. Quando le cose sono normali, si limitano a periodi di cinque mesi. In tutta onestà c’è molto del padre nelle scelte, anche durante i match. Mi rendo conto che da fuori può sembrare strano, ma loro hanno sempre fatto cosi. E credo che andranno avanti per tutta la sua carriera”. Dichiarazioni chiare e che lasciano poco spazio all’interpretazione, e che molto spiegano dei pochi progressi compiuti sul piano tecnico e mentale dalla tennista britannica negli ultimi anni.
La stessa Raducanu a ottobre ha rilasciato delle dichiarazioni in merito alla radio della BBC, chiarendo la sua posizione al riguardo. “Mio padre mi ha sempre invogliato a pensare, a fare domande. Approcciare in modo diverso l’allenamento e certe decisioni mi dà un vantaggio considerevole. Faccio un sacco di domande ai miei allenatori. In certe occasioni, non sono riusciti a stare al passo, e probabilmente è finita per quello. Non puoi semplicemente dirmi cosa fare: devi dirmi perché lo faccio, e poi lo faccio”. C’è anche da considerare che oltre ai già citati allenatori, diverse sono state le prove che non sono poi andate a buon fine. La più illustre quella con Riccardo Piatti, che poteva portare a Raducanu disciplina e una cultura diversa del lavoro, ma non ha potuto neanche cominciare.
Chissà se Nick Cavaday si è documentato in merito prima di iniziare a collaborare con la 21enne britannica, consapevole del difficile compito che lo attende. Quel che è certo invece è che a quanto pare il rapporto di Emma Raducanu con i suoi innumerevoli allenatori sembra destinato a non cambiare, chiamata il prossimo anno a decidere cosa fare della propria carriera e risalire dall’attuale posizione numero 299 del ranking.