Prima o poi doveva succedere. 18 anni dopo, Argentina e Cile si affronteranno di nuovo in Coppa Davis. Non importa se si giocherà su due giorni, con partite al meglio dei tre set, secondo le nuove – brutte – regole della Coppa Davis. Argentina-Cile non sarà mai una partita come le altre, soprattutto dopo i fatti del 7 aprile 2000, a Santiago, presso il “cupolone” del Parque O'Higgins. Non si era mai visto niente di simile, per fortuna non si è mai più visto. Venerdì e sabato, l'Argentina di Diego Schwartzman sfiderà il Cile di Nicolas Jarry per un match della Zona Americana. Chi vince, giocherà lo spareggio di settembre per l'ammissione al World Group 2019. Si giocherà sulla terra battuta indoor dello Stadio “Aldo Cantoni” di San Juan, su un campo in terra battuta costruito a tempo di record (curiosamente, il fondo è arrivato dalla Spagna in nave). Sarà un match interessante, poiché l'assenza di Del Potro e il grande stato di forma di Jarry potrebbero dare più di una speranza al Cile. Ma la memoria, inevitabilmente, torna al 2000. “Siete avversari, non nemici” è stato lo striscione che ha accolto i cileni nel loro hotel a San Juan, come ad azzerare la possibile tensione. Da parte loro, i cileni hanno collaborato al disgelo, evitando di portare in Argentina il vicecapitano Marcelo Rios, personaggio discusso e reduce da più di una disavventura. Per evitare il minimo accenno di tensione, lo hanno lasciato a casa. Insomma, il clima è ben diverso rispetto a quello del 2000, quando le squadre avevano lo stesso obiettivo di oggi: centrare gli spareggi per il Gruppo Mondiale. Forti di Marcelo Rios (top-10 ATP) e del giovane Nicolas Massu, i cileni scelsero di giocare sul cemento indoor. La federtennis locale, fiutando l'affare, optò per il palazzetto dello sport dell'immenso Parque O'Higgins. I lavori erano iniziati negli anni 50, non erano mai terminati e nel 2000 il palazzetto era reduce da 15 anni di incuria e abbandono. Tuttavia, la grande capienza dell'impianto (oltre 12.000 spettatori) convinse a fare qualche lavoretto a tempo di record per renderlo agibile. Mentre le squadre si allenavano, al suono delle palline si accompagnava quello di picconi e trapani. Ma non ci fu il tempo per sistemare i seggiolini sulle gradinate. Per ovviare al problema, portarono dentro all'impianto migliaia di sedie di plastica, verdi, di marca Welco. Il capitano di quell'Argentina era Franco Davin, attuale coach di Fabio Fognini. Un malore del padre, tuttavia, lo obbligò a scappare a Miami e lasciare spazio ad Alejandro Gattiker, il “colorado”. L'obiettivo dell'Argentina era arrivare sul 2-2 e giocarsi l'ultimo singolare contro l'inesperto Massu (n.90 ATP). Per questo convocarono Hernan Gumy, ormai in fase calante ma che vantava un netto 6-0 negli scontri diretti con Massu. A completare la squadra, Mariano Zabaleta e i doppisti Mariano Hood e Sebastian Prieto.
CLIMA DA GUERRIGLIA
Il clima era infernale. I cileni erano infuriati per la recente scoppola incassata dalla nazionale di calcio (al Monumental di Buenos Aires, l'Argentina si impose 4-1 e ci furono scene di irrisione verso i cileni) e furono ulteriormente "caricati" dall'alcol: tra gli sponsor dell'evento, infatti, c'era una nota marca di birra che distribuì migliaia di litri al pubblico. Rios vinse il primo singolare senza grossi problemi. Nel secondo, Massu e Zabaleta misero in scena una battaglia. Quando l'argentino si aggiudicò il tie-break del terzo, portandosi avanti due set a uno, il pubblico perse il controllo. Un penalty point a Massu sul 3-1 fece deflagrare la situazione: in campo piovve di tutto: bottigliette, accendini, un'arancia, persino una bottiglia di whisky. Mariano Zabaleta se la prese con un raccattapalle, tirandogli il maglione perché aveva fatto sparire un oggetto che era volato in campo. Secondo la leggenda, si trattava di un proiettile. Il gesto mandò in bestia il pubblico: Zabaleta fu costretto a scappare via, e con lui tutta la squadra argentina. Protetti dalla polizia in tenuta anti-sommossa, gli argentini si diressero negli spogliatoi. Al momento di imboccare il tunnel, tuttavia, si scatenò l'inferno. Lanciarono di tutto, comprese le sedie. Una pioggia di sedie, da cui il soprannome di quella storica giornata: “El dia de los sillazos”. Qualche minuto dopo, le telecamere ripresero un infuriato Zabaleta che cercava di tornare nell'arena per fare a botte con chissà chi. Aveva appena visto il padre ferito, con una ventina di punti di sutura alla testa. Il giudice arbitro era il portoricano Toni Hernandez: secondo tutti i protagonisti dell'epoca, fu totalmente inadeguato per gestire una situazione così delicata. L'ITF decise che la serie sarebbe proseguita a porte chiuse, ma gli argentini rifiutarono di giocare un solo punto. “Scendere di nuovo in campo sarebbe stato come accettare tutto quello che era successo fino ad allora” racconta oggi Sebastian Prieto, attuale coach di Juan Martin Del Potro. Con una decisione unanime, gli argentini pretesero la scorta per andare in aeroporto e tornare a Buenos Aires. Pensavano che sarebbe stata disposta una ripetizione del match, in campo neutro, invece l'ITF ci andò giù dura: 5-0 a tavolino per il Cile e multa di 25.700 dollari per gli argentini.
LA DISTENSIONE DI OGGI
Ma la batosta più grande fu per i padroni di casa: nonostante la vittoria a tavolino, furono cancellati da quell'edizione (niente spareggio promozione contro il Marocco), incassarono una multa di 47.800 dollari e si videro squalificare il campo per tre anni. La sanzione fu poi ridotta (peraltro con il parere favorevole della federtennis argentina), ma per i cileni fu un duro colpo. “In Sudamerica, molte federazioni sopravvivono grazie agli introiti dei match casalinghi di Coppa Davis – racconta Mariano Zabaleta – quella squalifica, dunque, fu molto pesante per loro”. Quell'anno, l'albiceleste fu costretta a lottare per evitare la Serie C: persero contro il Canada con un team di esordienti, ma si salvarono in extremis contro la Colombia. L'anno dopo sarebbe arrivata una promozione che avrebbe lanciato l'epopea della Legiòn, sublimata dal successo del 2016. Il Cile avrebbe scoperto un altro campione come Fernando Gonzalez, ma non sarebbe mai andato oltre due piazzamenti nei quarti, peraltro quando Rios si era già ritirato, nel 2006 e nel 2010. Oggi arrivano segnali di distensione da entrambe le squadre, e la serie del 2018 dovrebbe svolgersi in tutta tranquillità. Dando un'occhiata alle immagini che arrivano da San Juan, i seggiolini sembrano ben piantati sulle gradinate. E il pubblico sembra più interessato a recuperare qualche foto o autografo dei protagonisti. Un clima molto diverso rispetto a quello creato dal pubblico tipicamente calcistico che aveva invaso Parque O'Higgins il 7 aprile 2000. “Non dico fossero degl infiltrati di una barra brava, ma quasi” ha confidato Sebastian Prieto. Quel giorno è ormai storia da declinare al passato e – tutto sommato – ha lasciato in eredità un palazzetto fantastico. Oggi l'impianto di Santiago si chiama Movistar Arena, ospita 18.000 spettatori ed è un gioiellino. Non c'è neanche una sedia svolazzante.