Si pensava che l'abolizione dei punti ATP nei primi turni avesse debellato il fenomeno della compravendita delle wild card. Dalla Spagna, invece, dicono che non è così. Migliaia di euro per giocare challenger e futures…e magari aggiustare le partite. 

Le wild card sono gli inviti a disposizione dei tornei per integrare il campo di partecipazione. Spesso vengono destinate a giocatori del posto, giovani promesse o magari a qualche nome di prestigio. Tuttavia, è capitato in più di un'occasione che certi inviti fossero “sospetti”. Soprattutto nei tornei challenger, venivano assegnate wild card a giocatori senza la minima possibilità. Ma non di vincere una partita, addirittura di vincere un game. Si era diffusa la voce che i tornei le “vendessero” al miglior offerente, in un concetto di compravendita facile facile. “Tu mi paghi, io ti faccio giocare”. In tornei senza budget straordinari, era un modo come un altro per ammortizzare le spese. Fino a qualche anno fa, le wild card erano una scorciatoia per entrare nel ranking mondiale. Una sconfitta al primo turno, infatti, offriva 1 punto ATP. In questo modo si infilava il proprio nome nel cervellone ATP e la classifica consentiva di giocare con più agio nei tornei futures. Senza vere qualità non serviva a molto, salvo la libidine di vedere il proprio nome nel ranking ATP. Una decina d'anni fa fece molto discutere il caso di un tennista croato che, senza motivi apparenti, ottenne diverse wild card nei challenger italiani. Non entrò mai nei primi 1.000 e non gioca più da cinque anni. Ma ci furono altri casi. E' possibile che l'ATP sia stata avvisata, tanto che ha cambiato le regole e oggi le sconfitte al primo turno concedono zero punti. L'ammissione in un main draw non dà diritto a punti, a meno che non si passi dalle qualificazioni, come è giusto e sacrosanto (ma solo negli ATP e nei Challenger, mentre nei Futures bisogna passare anche un turno in tabellone). Per questo, una wild card nei tornei minori, oggi, è meno…”sexy” rispetto al passato. Certo, c'è il montepremi, ma poche centinaia di dollari non fanno così tanta differenza.


ANCHE 3.000 EURO PER UNA WILD CARD

Tuttavia, secondo una testimonianza raccolta dal sito spagnolo “Punto de Break”, il fenomeno della compravendita delle wild card è ancora molto frequente. A parlare è stato un coach catalano, nonché organizzatore di eventi, che ha preferito mantenere l'anonimato. A suo dire, si va avanti da molti anni. “Le organizzazioni vogliono ridurre al minimo le spese o magari guadagnare qualcosa. Vendere le wild card può essere una buona soluzione, anche per le qualificazioni. I prezzi delle wild card, in alcune occasioni, sono esorbitanti. Ho sentito parlare di alcuni tornei nell'Europa dell'Est dove sono stati pagati anche 3.000 euro. E' una follia, ma certe cifre spesso non arrivano neanche dagli sponsor principali. In Spagna, il massimo che ho visto è stato di 1.500 euro”. Non esiste un vero e proprio listino prezzi. Il costo per una wild card oscilla tra i 500 e i 1.000 euro, ma si può salire a seconda delle circostanze e delle nazionalità. Secondo l'anonimo intervistato, a un russo erano stati chiesti 1.500 euro. Ovviamente non succede in tutti i tornei: esiste ancora una buona fetta di tornei che distribuiscono le wild card secondo meriti sportivi o quantomeno logici, che poi è lo spirito che dovrebbe animare la distribuzione delle wild card.

LE SCOMMESSE E IL TURISTA
Ma perchè si lotta così tanto per una wild card, se non garantisce neanche un punto ATP? Facile: per aggiustare i risultati delle partite e farci parecchi soldi con le scommesse. I casi di match sospetti, ormai, non si contano più. Al recente challenger di Dallas, il match tra Molchanov e Velotti ha avuto un andamento di quote quantomeno particolare. “Le scommesse e la vendita delle wild card vanno di pari passo – ha detto la gola profonda – molte volte si comprano insieme wild card e partita di primo turno”. In quel caso non è la gloria sportiva a interessare, bensì l'immediato obiettivo di guadagno. Alla luce di questo, le WC comprate solo per entrare in classifica assumono un valore quasi “romantico”, d'altri tempi. In fondo, la necessità di dover passare almeno un turno non cancella il sogno di vedere il proprio nome nel ranking ATP. L'intervistato chiude la testimonianza con un aneddoto simpatico: “Lo scorso anno eravamo in un resort in Grecia per un future: un turista che si trovava lì in vacanza ha comprato una wild card per le qualificazioni. Ha pagato l'IPIN (*) ed è sceso in campo. E' stato incredibile: non metteva la palla in campo, rideva con la famiglia. Pensavo che fosse uno scherzo, invece era tutto vero…”.

(*) IPIN, acronimo di International Player Identification Number è un codice unico per tutt i giocatori che partecipano ai tornei ITF. Lanciato nel 2004, è una specie di "passaporto" attraverso il quale i giocatori pagano le iscrizioni e ricevono le eventuali sanzioni. L'IPIN va rinnovato ogni anno e costa 55 dollari.