C’è una categoria di tennisti che non punta necessariamente alla vittoria, alla quale preferisce il colpo a effetto, quello che ti lascia nei ricordi della gente. Ma sarà davvero così?Ricordo nuvole rosse che si scontravano nel cielo, il giorno in cui giocai il mio primo torneo.

Gli Industry suonavano State of a Nation dal ponte di una portaerei e io avevo dodici anni e giocavo con un certo Buson, un veneto felicemente immigrato in Svizzera, sui quaranta, un accento simpatico e un filo di pancetta. Rimontai da zero a cinque al terzo e, una volta appaiato al tie-break, mio padre si affacciò sul campo. Affannato gli raccontai della rimonta. «Grande, disse lui, hai fatto fin troppo». Fu quello a fregami. Inutile aggiungere che persi quel tie-break zero.

A posteriori posso sicuramente dire che questo episodio, ha ineluttabilmente portato il mio gioco a dirigere verso l’edonismo tennistico, una categoria di tennisti che, ahimè, abbonda non solo tra i Quarta, ma su fino ai Benoit Paire del circuito professionistico. Son quelli che «…è mancato tanto cosi», «…ho giocato bene ma», «…l’altro non lo vedevo neanche, ma mi sono distratto», «…per come giocava, gli mancano due Slam». E così via. Siamo i nichilisti del tennis, la vittoria ci interessa poco, la vediamo come un apostrofo, una questione incidentale, un semplice risultato di traiettorie convergenti. Vincere è questione di pochissimo conto, va contestualizzata, è un cioè, direbbero quelli del 68. Non vale nemmeno la pena di parlarne, dopo tutto la partita ormai è finita, è un discorso che non appartiene più al gioco, è una parentesi di passato. Difendiamo tutto questo a spada tratta e la risposta è inevitabilmente: «Avrò pure perso, ma ho giocato bene, benissimo». Tutt'al più, dopo una sconfitta particolarmente irridente, uno 0-6 1-6 ovviamente non riferito, il mio amico Alberto ha esibito un gran sorriso e mi ha detto: «Mi sono divertito moltissimo».

Ma la domanda chiave di questo discorso, seguitemi, è: la vittoria interessa poco l’edonista perché snobisticamente preferisce il coup de théâtre, il colpo meraviglioso, la ricerca del nirvana attraverso il gioco oppure è una candida scusa, per giustificare incapacità di conquistarla? Conosco giocatori di golf imbattibili nei giri di allenamento, tirano splendidi drive, approcciano a due metri dal green e poi che fanno? Invece di provare il putt decisivo, tirano su la palla, sempre. «Tanto ormai ci sono». Fanno finta di niente, dimenticandosi che quel metro di putt sottintende la capacità di chiudere la buca, gesto che ai profani parrà ridicolo perché non hanno mai provato a far cadere la palla in una scodella di piccolo diametro. Tutto ciò racchiude l’essenza della vittoria e della sconfitta. Come non tirare un calcio di rigore, tanto lo metto comunque. Un po’ come quel tennista sconosciuto, (perché la leggenda cambia sempre il nome) che sul match point, la palla semplice a campo aperto, fermò la palla con la mano: «È troppo facile».
Ed è la stessa filosofia del tennista edonista che ti racconta che ha perso anche se stava sopra 6-3 4-1 e che quelli classificati 3.1 non li battono, ma riescono sempre a farci partita pari. O ancora quelli che per passare in Terza gli mancano sempre pochi punti (ma non si sa mai quanti esattamente), ma non avevano voglia di sbattersi a giocare un altro torneo.

C’è sempre un piccolo passo che manca verso il successo completo, la gloria imperitura, la definizione di traguardo raggiunto. Ma loro scuotono le spalle: «A me va bene cosi», sostengono con fare malinconico. Un mio amico maratoneta mi diceva che la vera difficoltà arriva verso il chilometro 35. Non è tanto, o comunque non solo, una questione di gambe, ma è la testa che comincia a dirti: «Ma dai, piantiamola qui, tanto è come se l'avessi finita. Smetti, smetti, smetti».

Noi edonisti allora, constatato che il traguardo non arriverà mai, dobbiamo appigliarci a un qualcosa che sublimi la vittoria e questo si estrinseca nel cercare un qualcosa di diverso, migliore, indimenticabile: il colpo del giorno. Tale filosofia l'ha spiegata Riccardo, detto Il Principino: «Non me ne frega assolutamente niente di aver battuto Topolino 3.4 a Buguggiate o Ridolini 3.5 a Vedano Olona – sospira, appoggiato alla sua 124 Spider che guida velocemente tra l’acciottolato milanese -. Mi interessa invece che a Buguggiate, gli astanti di turno si ricordino di quel tizio di Milano che giocò un tweener incrociato e vincente. E subito dopo quella volée che tornò nella sua metà campo, con un effetto improbabile. Capisci? È il colpo fascinoso che resta nella memoria della gente, non due coppette di tolla».

Un discorso che ama propinare a chiunque al bar del circolo, specie dopo il secondo Negroni. Per quello che il gioco del Principino consiste essenzialmente nel tirare drop shot, con due varianti: 1. Viene fuori morbida e inarrivabile (ooohhh); 2. Viene fuori male e in questo caso l’avversario lobba, lui torna indietro e prova il tweener vincente (aaahhh, urlo che il più delle volte è dovuto alla racchettata pazzesca che si è tirato sul ginocchio).

Tuttavia, la storia del gioco sottolinea l’esistenza di una categoria di puri edonisti del tennis, quale ad esempio Torben Ullrich, altresì conosciuto come padre di Lars, batterista del gruppo heavy metal Metallica. Torben, fine clarinettista e noto pazzoide, era capace di lasciare a metà un match perché insoddisfatto dal suono delle sue corde o dal gioco dell’avversario: «Troppi lob, basta». Non giocava allo Spectrum di Philadelphia perché sosteneva che acusticamente era inadatto al tennis e preferiva non arrivare sopra 40-0 contro Manolo Orantes «perché lì diventa veramente pericoloso». Ma questo bel tomo, che comunque in carriera assomma un paio di semifinali a Church Road, seppur in doppio misto, vanta innumerevoli tentativi di imitatori. Saranno veri o falsi? Improbabili nichilisti o veri edonisti? Nell’attesa di verificarne l’appartenenza, vi racconto i momenti clou della mia stagione: tweener vincente all’Open di Milago (commento del giudice arbitro: «Senza dubbio, il colpo del torneo»), volata dietro la schiena al torneo sociale (commento del maestro: «ti restituisco i soldi dell’iscrizione»). Ma secondo voi, questi due match, alla fine li ho vinti o persi?