di Fabio Colangelo – foto Getty Images
Incontrare Stephane Robert a un torneo era sempre piacevole. Ragazzo molto simpatico, intelligente e sempre di buon umore, non era solito fare gruppo a parte coi suoi connazionali, ma cercava spesso di unirsi a colleghi stranieri per una cena, un’uscita in un momento di relax dal torneo o per una semplice chiacchierata.
Una conversazione con lui non era mai scontata e banale, proprio come quella avuta ieri. L’ho contattato per complimentarmi per la sua ottima settimana a Johannesburg (sconfitto in finale da Feliciano Lopez).
Dopo i convenevoli, ho voluto subito provocarlo un po’, riferendogli che Starace dopo averci perso a Melbourne ha dichiarato che “ormai a tennis hanno imparato tutti a giocare”.
Stephane ha replicato che Potito ha perfettamente ragione, il livello medio di tutti i giocatori è altissimo, e chissà cosa può aver pensato Grosjean quando da numero 10 del mondo, fu sconfitto da Starace numero 200 al secondo turno del Roland Garros del 2004.
L’INIZIO, L’ERNIA E L’ABBANDONO
Conosciamo meglio questo Robert. La sua storia tennistica è piuttosto particolare. Nasce nel maggio del 1980, inizia a giocare a otto anni, ma a 18, per via di un’ernia del disco, praticamente abbandona. Tre anni dopo però, decide di riprovarci partendo da un satellite in Centro America nel gennaio 2002. Robert racconta che la sua voglia di divertirsi e il suo essere sempre allegro derivano proprio da quel momento in cui si sentiva più che altro un ragazzo fortunato a poter vivere esperienze di questo genere. E nonostante il tennis per lui negli anni sia diventato un vero e proprio lavoro, non ha mai perso questa filosofia di vita.
IL RITORNO E I PRIMI SUCCESSI
In pochi mesi raccoglie i primi successi a livello Futures e Satellite e raggiunge i primi 400 nel ranking Atp, lasciando capire subito quali siano le sue potenzialità. Curioso è anche il suo approdo al mondo Challenger. Nel settembre 2003 riesce per la prima volta ad entrare di diritto nel tabellone di un 50.000$ + H a Kiev, ma è costretto a chiamare l’ATP per cancellarsi, per via del poco tempo a disposizione (così pensava lui) per ottenere il visto. Dopo quella telefonata, avverte il suo coach (“eterno” come lo chiama lui, visto che lo segue tuttora) Ronan Lafaix che lo informa che ottenere il visto per l’Ucraina non è difficile come per la Russia. A quel punto richiama l’ATP, avverte che avrebbe preso parte al torneo, si procura il visto, gioca, raggiunge la semifinale grazie alla quale ottiene uno Special Exempt per il challenger di Sofia. Che ovviamente vince. Morale? Da 330 si ritrova 220 Atp dopo due tornei che non avrebbe dovuto giocare! Dopodiché continua a giocare abbastanza bene, raggiunge il best ranking (164, nel giugno 2004), ma non “esplode”, e fino a gennaio 2007 naviga nei primi 300 del ranking.
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di Fabio Colangelo – foto Getty Images
L’EPATITE A
Quello forse è il momento più importante della sua carriera, poiché tornando dal Brasile inizia a sentirsi sempre molto debole e stanco. Convinto sia mononucleosi fa le dovute analisi, e scopre di aver contratto l’epatite A. In pochi avrebbero la forza di riprovarci e rimettersi in gioco alla soglia dei 28 anni, ma lui invece confessa di non averci mai pensato, di essersi preso tutto il tempo necessario per guarire appieno, senza cercare di anticipare i tempi come qualcuno gli aveva suggerito. Ed è così che dopo dodici mesi di recupero più tre di ripresa dell’attività fisica, si ripresenta nel circuito a Giugno 2008 “con 0 punti Atp e senza avere idea di cosa aspettare da me stesso”.
DI NUOVO SU
Il suo talento lo porta a vincere subito numerosi match a livello futures, e a finire l’anno al numero 360 nonostante abbia giocato solo cinque mesi. Si allena molto duramente col suo coach soprattutto sul piano fisico, inizia la scorsa stagione con due vittorie in due “15.000$” che gli permettono di giocare subito a livello superiore. Dopo aver vinto il challenger di Kosice in giugno, decide con il suo allenatore di cercare di superare i limiti che lo avevano bloccato nella sua “prima carriera”. Come spesso accade il lavoro non è tecnico o fisico. Gli viene chiesto di porre la massima attenzione in ogni secondo dell’allenamento e di trovare un obiettivo per ogni palla da colpire. Stephane spiega che questo intenso lavoro mentale è il motivo dei suoi grandi progressi. Pensare punto su punto, al presente del match senza farsi “strani sogni in testa sul futuro”, cercare anche di capire come mettere più pressione all’avversario. Comprendere queste cose per lui è stato molto importante per esprimersi al meglio, e poi, come spesso accade, grazie alle vittorie è arrivata la fiducia nei propri mezzi che è fondamentale.
CITTADINO DEL MONDO
Fuori dal campo, come detto, il francese si è sempre reso conto di quanto sia fortunato a condurre questa vita. “Ricordo un giorno nel quale decisi che avrei assolutamente dovuto visitare tutti i luoghi nei quali mi recavo per lavoro. Cerco sempre di studiare le culture dei paesi che visito e di imparare il più possibile. Sono un gran lettore, e per ogni luogo che visito mi piace scoprire qualcosa tramite i libri. Sono un fan della letteratura russa, delle storie ambientate in Africa o Asia, quando si mescolano religione, avventura e amore”. Si impegna molto anche con le lingue, oltre al francese, parla perfettamente inglese e spagnolo e migliora di anno in anno anche l’italiano (ama molto il nostro paese, a differenza di tanti suoi connazionali). “Mi piace poter comunicare con tutti, mi sento più un cittadino del mondo che francese, e sono fiero di questo mio rapporto con gli stranieri”.
IL FUTURO E UNA DEDICA A FEDERICO
Quando smetterà vuole assolutamente rimanere nel mondo del tennis, cercando di insegnare tutto quello che ha imparato in questi anni. Insegnare a giocare a un principiante, o portare qualcuno nel professionismo gli darebbe la stessa soddisfazione. Per concludere quando gli ho chiesto se potevo raccontare di questa nostra chiacchierata, mi ha pregato di poter ricordare Federico Luzzi. “Lo conoscevo dall’under 14, era una bellissima persona, con un gran talento, sempre positivo e sorridente. Amavo passare il tempo con lui e guardare le sue partite mai noiose. Quello che gli è successo è veramente incredibile, e ancora oggi parlando di lui mi commuovo. Non dimenticherò mai il suo sorriso e la sua gioia di vivere”.
Grazie Stephane…
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