“Senti, vuoi fare come il leone dello zoo di Pereira? Tutti sanno che c'è, ma nessuno lo vede. Scappa, si nasconde”. La frase risale a un anno fa ed è stata pronunciata da una psicologa. La psicologa che ha preso in cura Catalina Castano. Ottima giocatrice degli anni 2000, migliore colombiana di tutti i tempi, si era chiusa in se stessa dopo aver scoperto di avere un tumore al seno. Un dramma. Per fortuna, vinto. Non c'è stato il colpo di scena ad effetti speciali, un rientro in grande stile. Con certe cose non si scherza. Da un annetto è capitana del team colombiano di Fed Cup. Con Mariana Duque Marino e Yuliana Lizarazo (che si è allenata a lungo in Italia) ha una discreta squadra, ma nel 2015 non c'è stato niente da fare: secondo posto nel Gruppo I, Zona Americana, alle spalle del Brasile. Neanche lo spareggio per sognare il World Group II, semmai quello per evitare la retrocessione. Tutto ok, contro il Venezuela. Catalina è ben contenta di avere questi problemi dopo aver avuto paura di morire. Il dramma è iniziato nel febbraio 2014. Rimasta senza coach e senza sponsor, doveva fare tutto da sola. Non facile per una 35enne, consumata da 15 anni nel tour. Ha giocato un paio di tornei di doppio, ma sentiva che qualcosa non andava nel seno sinistro. Allora si è sottoposta a un'ecografia. “Non si vede niente, meglio che fai una biopsia” le hanno detto. Così è tornata nella città natale di Pereira, dove ha svolto tutti gli esami del caso. Vista la vicinanza tra lo studio e il luogo di lavoro, i risultati li ha ritirati mamma Maria Eugenia. In quel momento, Catalina si stava allenando presso il Club del Comercio.
“Allora, mamma, ritirati gli esami?”
“No, devo ancora passare”
L'INCUBO DELLA CHEMIOTERAPIA
Non era vero. Stava soltanto decidendo come dirglielo. Sua figlia aveva un cancro al seno. Alla fine gliel'hanno detto tutti insieme, genitori e sorella. Dopo aver versato le prime lacrime, Catalina ha pensato che forse si erano sbagliati. In fondo Pereira è una piccola città, gli errori sono una cosa comune…allora si è spostata a Bogotà per fare altri esami. Ma un giorno, dopo averli verificati tutti, un medico le ha detto dove poteva recuperare una parrucca. La chemioterapia era inevitabile. A dire il vero, all'inizio non voleva. E non voleva neanche la sua famiglia. Sapevano che ci sarebbero stati tanti effetti collaterali. Ma non aveva scelta, anche se la prima seduta è stata molto dolorosa. Il medico le ha dato una dose molto forte, esagerata. “Il giorno dopo ho sentito i crampi prima di alzarmi dal letto. Non li avevo mai avuti in 20 anni di tennis”. Stava male, pensava di morire. Anche perchè, qualche giorno prima, aveva chiamato il suo parrucchiere chiedendogli di rasarla a zero. Mentre tagliava, piangeva. Lei se n'è accorta, ma non ha detto niente. Dopo la rasatura è andato via subito, quasi scappando. Nel frattempo il telefono non smetteva di squillare. Giornalisti. Ormai si era diffusa la voce. “In Colombia molti non hanno sensibilità. Mi chiamavano in tanti perché volevano la notizia in esclusiva. Ma un cancro non può essere un'esclusiva. Ero distrutta. Così ho deciso di pubblicare un comunicato stampa per spiegare la situazione”. Dopo la diagnosi, non sapeva cosa fare, dove andare. E' stata dura per una donna metodica come lei, perfezionista, attenta al dettaglio. Qualche millantatore le ha persino offerto una cura magica. Alla fine, l'unica soluzione era la chemioterapia. Dopo la prima seduta, dolorosa e con terribili effetti sul suo corpo, hanno cercato un'altra struttura. “Lì sono stati degli angeli, mi hanno detto che non sarei morta per questo”. E così ha saputo gestire gli effetti collaterali. Vertigini, nausea, ipersensibilità alla luce, agli odori, ai rumori, mancanza di appetito. “Ho passato periodi in cui guardavo un punto fisso per non avere le allucinazioni”. Non poteva neanche leggere, una delle sue attività preferite, perché le lettere si muovevano.
LA MORTE DELLA BALTACHA ABBATTE IL TABU'
In quel periodo, ha riavvolto il nastro della sua vita. Cercava di capire perché fosse successo proprio a lei. Vita sana, niente vizi, alimentazione da atleta…l'unica spiegazione era lo stress. Uno stress acuito da una turbolenza relazione amorosa con il suo ex coach, finita in malo modo. E poi quel chiedere sempre di più a se stessa. Era arrivata a maledire gli inizi, quando la famiglia non aveva soldi per permettersi una vacanza e così si è ritrovata per caso nel tennis club, dove giocava il padre. Il tennis e il bowling erano l'unica alternativa al nuoto, così prese in mano la racchetta. Qualcuno la notò, la invitò a Cali, vinse un torneo ed è iniziato tutto. Una bella carriera, con una finale WTA (Budapest 2005, persa contro Anna Smashnova), alcune vittorie contro top-20, un ottimo best ranking al numero 35 WTA, settantaquattro match in Fed Cup e tante belle partite a Roma. Al Foro Italico ha passato per due volte le qualificazioni e nel 2005, per poco, non acciuffava i quarti. Perse in tre set contro Vera Zvonareva, allora n. 10. Sotto i pini del Foro ha colto vittorie di livello contro Gisela Dulko, una giovane Errani, Mirjana Lucic, Karin Knapp e Timea Bacsinszky. Tutto cancellato da una grande paura, diventata terrore quando ha scoperto della morte di Elena Baltacha, scomparsa a fine aprile 2014. “Io avevo appena iniziato le cure, avevo contattato la federtennis britannica per avere il suo numero, ma non me l'hanno dato. Dopo la sua morte, ho capito che l'argomento non poteva essere un tabù. Ne dovevo parlare”. Così si è fatta aiutare da una psicologa. Grazie all'esempio del leone di Pereira si è aperta ed è diventata una paladina della lotta contro i tumori. Si è fatta intervistare completamente calva, in barba alla vanità femminile, e ha avuto ragione lei. La chemioterapia ha fatto effetto. Il tumore era grande 1,8 centimetri, quando gliel'hanno asportato hanno faticato a trovarlo. Era passato a 8 millimetri. Però non ha mai pensato di tornare a giocare. Aveva troppa paura di una ricaduta, di stressare nuovamente un corpo usurato. Meglio godersi i capelli che ricrescono. E poi, si sa, il tennis si può amare in tanti modi. Si è concessa un'esibizione di addio, poi c'è stato il commiato, in aprile, al torneo WTA di Bogotà. Adesso è serena, studia i progressi di Duque Marno, Lizarazo e della giovane Maria Fernanda Herazo. Piano piano sta ripagando i debiti accumulati in anni di carriera. Ai tempi del tumore, Coldeportes non le ha dato nessun supporto economico. Supporto che invece è arrivato dalla WTA. “Li ringrazierò a vita”. Non importa nulla se le 6-8 ore di allenamento giornaliere sono diventate un'oretta di pilates. Se la gode proprio.