L’Australian Open si definisce lo Slam della zona “Asia-Pacifico”, ma la Cina sembra pronta per organizzare uno Slam per conto suo. E’ davvero possibile? Quali sarebbero gli ostacoli? 
Novak Djokovic ha vinto le ultime edizioni del torneo di Pechino

Di Riccardo Bisti – 20 novembre 2013

 
E' stato pubblicato il primo atto ufficiale del 2014: le entry list dei primi tornei dell’anno. Gli uomini si spalmeranno tra Doha, Chennai e Brisbane, mentre il circuito WTA scatterà da Brisbane, Auckland e Shenzen. Il primo grande evento sarà l’Australian Open, al via il 13 gennaio. Tennis Australia, la federtennis dei canguri, sta cercando di capitalizzare l’interesse nel continente asiatico, in particolare della Cina. Dal 2003, l’Australian Open viene “venduto” come lo Slam dell’area Asia-Pacifico. L’obiettivo era chiaro: aumentare la popolarità del torneo in tutta l’Asia e trarne vantaggi economici. Tuttavia, la crescita economica della Cina è diventata così grande da minacciare lo stesso Australian Open. E allora ci si domanda: è davvero impensabile che la Cina possa ospitare uno Slam? “So che l’Australian Open si è dato questa definizione, ma sinceramente non capisco cosa c’entri l’Asia – dice Miguel Luevano, direttore del Masters 1000 di Shanghai – l’Australia non è in Asia. E’ un’entità a parte”. Dal punto di vista commerciale, gli australiani hanno ragione. Il 55% del pubblico TV arriva dall’Asia, così come gli incassi mediatici. Il pubblico asiatico in loco si è attestato sul 15% del totale, ma è più che raddoppiato negli ultimi anni. Lo scorso ottobre, hanno fatto fare un tour asiatico al Norman Brookes Trophy, trofeo riservato al vincitore del torneo maschile. Ha toccato sette città asiatiche, tra cui Seul e Singapore. Uno degli ambasciatori era l’ex numero 1 di doppio Todd Woodbridge: “Ovviamente vorremmo che vincesse un australiano, ma riconosciamo quanto sia importante l’Asia per la crescita del torneo. E allora ci impegniamo per favorire la maggior partecipazione possibile degli asiatici. Dovrebbe tradursi in maggiori possibilità di vittoria”.
 
Il tennis è un baluardo della tradizione occidentale, ma le cose sono cambiate. Anche il nostro sport, emblema del capitalismo, aveva la sua cortina di ferro. Dopo la caduta del muro, è cresciuto nelle repubbliche ex sovietiche. Adesso è un’ossessione della Cina, sia a livello professionistico che amatoriale. La crescita era vivace, ma è diventata inarrestabile quando Na Li si è aggiudicata il Roland Garros 2011. “Avere un campione di casa cambia radicalmente le cose – ha detto Woodbridge – la Li ha portato il tennis a livelli stratosferici, mai toccati nemmeno da Chang". In questo momento, il tennis è il settimo sport più praticato, ma è il primo tra quelli più “desiderati”. E’ lo sport ideale per la fiorente borghesia cinese, sempre più numerosa. La sua lunga tradizione, il profilo globale di alcune star, e i guadagni impressionanti hanno alimentato la fama di sport d’elite. “Se devono scegliere uno sport da praticare, i giovani professionisti si lanciano sul tennis” dice Luevano. In fondo, la Cina è già leader negli altri sport con la racchetta, tennis tavolo e il badminton. Il tennis è il passaggio successivo, anche se oggi non ci sono tennisti uomini di buon livello. Ma è solo questione di tempo. Il tennis è anche lo sport preferito del governo. Tutti i politici lo praticano: una passione tradotta nelle centinaia di milioni di investimenti pubblici in strutture e programmi di sviluppo. Curiosamente, la federtennis cinese non svela i suoi numeri. Tuttavia, la WTA (che sulla Cina punta tantissimo, con cinque tornei WTA e tre WTA 125) ha stimato la presenza di circa 30.000 campi, quasi tutti costruiti negli ultimi dieci anni. Quasi tutti i centri abitativi di recente costruzione comprendono campi da tennis, impensabile da qualsiasi altra parte del mondo. In TV, è il terzo sport più seguito dopo il calcio e il basket di Yao Ming.
 
Il tennis è entrato ufficialmente nel programma scolastico un paio d’anni fa. Un chiaro tentativo di aumentare il numero dei praticanti. Tuttavia, la priorità riguarda il professionismo. Gli investimenti sono stati impressionanti. Quando si sono aggiudicati le ATP Finals (ospitate dal 2005 al 2008), volevano costruire il miglior impianto del mondo. Il Qi Zhong Stadium è costato 300 milioni di dollari, ed anche il National Tennis Center di Pechino si è attestato su quelle cifre. E’ un impianto eccezionale, con 11 campi e un centrale da 15.000 posti con un tetto retrattile e un sistema di raffreddamento ad aria. Nel 2006, è stato il primo torneo non statunitense ad ospitare la tecnologia “Hawk Eye”. Il montepremi complessivo tocca i 7,5 milioni di dollari, e quest’anno ha ospitato 270.464 spettatori. Ok, l’Australian Open si attesta su 685.000, ma ha una storia secolare. Pechino si gioca da appena dieci anni. Non stupisce che i tornei cinesi siano molto apprezzati dai giocatori: Shanghai è stato votato come miglior Masters 1000 per quattro anni di fila. “Abbiamo trasferito nel tennis la mentalità cinese di essere ospitali come un albergo. Vogliamo che i giocatori abbiano tutto il possibile. Ci siamo riusciti”. Non c’è dubbio che la Cina stia facendo di tutto per diventare il cuore pulsante del tennis asiatico. Per riuscirci, ha iniziato a cannibalizzare i tornei. Per esempio, si è assicurata i diritti dello storico Pan Pacific Open di Tokyo, declassato per lasciare spazio a Wuhan (città natale di Na Li). Più la Cina cresce, più è possibile che un giorno possa rivendicare il suo ruolo nel concetto di Slam “Asia-Pacifico”. Già nel 2008, Na Li dichiarò che l’Australian Open avrebbe dovuto spostarsi a Shanghai perchè c’è un clima favorevole. “Non penso che succeda – ha frenato Woodbridge – il Governo del Victoria ha investito pesantemente nello sport in modo da mantenere il torneo in Australia. Saremo il primo Slam ad avere tre campi coperti. Tuttavia, credo che l’Asia possa iniziare a metterci pressione dal 2030”.
 
C’è però un’altra possibilità: se difficilmente, almeno per ora, l’Australian Open si trasferirà in Asia, i cinesi spingono affinchè possa nascere un quinto Slam. “Non si può comprare la tradizione, e nemmeno Wimbledon – ha detto Luevano – ma penso che la Cina possa ospitare un quinto Slam. Non c’è dubbio. Shanghai sta spingendo in quella direzione". La pensa così anche Alfred Zhang, direttore del China Open, parlando del suo torneo. “E’ un obiettivo irreale nel breve termine, ma è la direzione in cui dobbiamo andare” ha detto. Non c’è dubbio che uno Slam in Cina potrebbe accrescere l’interesse nello sport, dando una mano indiretta all’Australian Open. Tuttavia, è legittimo chiedersi se la comunità del tennis e il bacino imprenditoriale della zona siano in grado di sopportare due Slam. La Cina potrebbe scippare qualche sponsor all’Australian Open, e alla lunga potrebbero indebolirsi a vicenda. Prevedere il futuro è impossibile. Forse un marketing intelligente potrebbe far convivere i due eventuali Slam, ma la tradizione è un grosso nemico di questa idea. Una cosa è certa: mentre Cina e Australia cercano di trovare nuovi campioni sul campo, hanno già rivoluzionato la geo-politica del tennis. In tempi di crisi, c'era bisogno di un bacino da cui attingere. E chissenefrega della tradizione.