POCHISSIME ALTERNATIVE
L’unica alternativa sarebbe quella di ripiegare sui tornei ITF, possibilità preclusa da regolamento soltanto alle top-10, ma una top-100 o una giocatrice nella situazione della Errani, attualmente al numero 142 WTA, che se ne fa dei punti in palio nei tornei ITF? I 15mila alla vincitrice ne danno 12, i 25mila ne fruttano 50: raccoglierne 50 non sarebbe neanche male, ma nel caso specifico dell’azzurra – giusto per fare un esempio – vorrebbe dire finire di giocare domenica a Chieti, prendere un volo intercontinentale al lunedì verso l’Arizona o l’Australia, sperare di poter giocare al mercoledì, e ovviamente vincere il torneo. Si tratta di uno scenario a dir poco complesso, senza dimenticare che andrebbe contro a uno degli obiettivi perseguiti dall’ITF col nuovo Transition Tour in arrivo nel 2019: evitare che giocatori di una determinata classifica giochino “sotto livello” per raccogliere punti facili, strappandoli ai più giovani.
L'IMPORTANZA DEI CHALLENGERTrova le differenze.
— Sara Errani (@SaraErrani) 5 febbraio 2018
Men’s week vs. Women’s week. pic.twitter.com/7fYbO9Xnq7
La differenza principale presente fra Tour maschile e Tour femminile è una e ben chiara: la presenza di un circuito di mezzo fra i tornei maggiori e gli appuntamenti governati dall’ITF. Per gli uomini c’è l’ATP Challenger Tour, che negli ultimi anni ha compiuto progressi importanti a livello di visibilità e organizzazione. Lanciato addirittura 42 anni fa, conta su oltre 150 tornei sparsi in tutto il mondo con montepremi che vanno dai 150.000 ai 50.000 dollari, e lascia all’ITF solamente gli appuntamenti “Futures”, da 25.000 e 15.000 dollari. A livello WTA, invece, tutto ciò che non fa parte del circuito maggiore – eccetto i pochissimi WTA 125 – è sotto l’egida dell’ITF, dai 15.000 dollari, che dal 2019 andranno a comporre il Transition Tour, ai 100.000 dollari, i più ricchi sia in termini economici sia a livello di punti distribuiti. Così facendo, è tutto mischiato in una sorta di calderone che non fa bene a nessuno. Lo dicono i numeri: nel 2017 i tornei da 60.000, 80.000 e 100.000 dollari sono stati in tutto una settantina, meno della metà dei 155 Challenger. È indubbio che il tennis maschile generi un interesse superiore (e quindi faccia girare più soldi), ma la differenza non è tale da giustificare una simile disuguaglianza.
MAGGIORI POSSIBILITÀ E PIÙ DIGNITÀ
Da qui nasce una riflessione: non è il caso che la WTA lavori alla creazione di un Challenger Tour al femminile? L’esperimento dei WTA 125, lanciati nel 2012 ma non ancora decollati (nel 2017 ne sono stati disputati solo otto) suggerirebbe il contrario, ma va fatta una distinzione: si tratta di tornei che richiedono comunque un montepremi di 125.000 dollari e degli standard importanti. Staccando dall’ITF gli appuntamenti da 60, 80 e 100.000 dollari si potrebbe inglobarli in un nuovo circuito, con due obiettivi. Il primo è quello di organizzare il calendario in maniera più attenta e in sinergia col circuito maggiore, assicurando alle giocatrici dei tornei di buon livello nelle settimane (tipo la prossima) in cui le opportunità nel Tour scarseggiano; il secondo è quello di dare maggiore dignità ai tornei del cosiddetto circuito minore. In questo senso l’ATP può fare da esempio: da circa tre anni ha avviato un attento lavoro di promozione, con una piattaforma streaming che permette di vedere gratuitamente tutti i Challenger o quasi, una sezione dedicata sul sito con news e approfondimenti, e tanti altri piccoli dettagli studiati per dar lustro anche a quei giocatori (e a quegli organizzatori) che nel Tour non riescono ad arrivare. Il lavoro da fare è ancora tanto, ma è indubbio che oggi abbia molta più visibilità un torneo Challenger da 64.000 euro piuttosto che un ITF femminile da 60.000 dollari. Se la WTA desidera reggere il confronto col Tour maschile, e garantire alle proprie giocatrici le stesse possibilità degli uomini, è il momento di pensarci. Dimenticando per un attimo il business e i soldi dell’Oriente nell'ottica di una maggiore credibilità.