In tanti possono farci partita pari, specialmente questa settimana, ma a vincere è sempre Novak Djokovic. Arranca a lungo contro Nishikori sprecando un sacco di chance, poi svolta e sembra aver vinto, invece deve lottare fino al tie-break del terzo, ma ce la fa comunque, dopo oltre 3 ore. – Falloso, nervoso al punto da beccarsi un warning per una palla scagliata nei pressi del seggiolone, preoccupato per una caviglia urtata accidentalmente con la racchetta nel primo game dell’incontro, quasi irriconoscibile nel mancare le prime nove palle-break, sorprendente quando si fa riacciuffare nel terzo set e va sotto nel tie-break finale, ma di nuovo vincente. È la legge di Novak Djokovic, ed è l’unica cosa che conta. Per fermarlo ci vuole una beffarda allergia agli occhi, oppure un match da incubo come quello di Monte Carlo, altrimenti porte chiuse, divieto d’accesso, la sconfitta non è contemplata. Nemmeno in un match per lunghi tratti giocato meglio da Kei Nishikori, con anticipo, carattere e intensità. Per vincere ci vogliono due set, e il giapponese si è fermato due volte a uno e tre quarti. Ci ha sperato, si è illuso e probabilmente ha tenuto sveglio più di un connazionale fino all’alba (Tokio è otto ore avanti a Roma), ma ha perso di nuovo come già sette giorni prima a Madrid, per 2-6 6-4 7-6. Il set che stavolta si è preso e in Spagna gli era sfuggito diventa solo una magra consolazione, o un punto da cui ripartire in vista di Parigi, ma il problema sono gli altri, o l’altro, non il suo tennis. È stato onesto di recente Roger Federer, quando ha spiegato che la sua principale difficoltà al Roland Garros era Nadal, mica la terra. Lo stesso discorso vale per tutti adesso, contro un Djokovic che detesta fallire, e l’ha già fatto una volta di troppo, nel 2015. La cronaca della semifinale serale degli Internazionali d’Italia si potrebbe riassumere in un solo passaggio, lungo quattro game: dal 5-4 Djokovic nel secondo, al 3-0 al terzo. Fino al decimo game del secondo parziale, il serbo aveva mancato tutte le chance a sua disposizione per strappare il servizio a Nishikori: tre in due game diversi del primo, quattro sull’1-0 al secondo, altre due sul 4-3. Nulla da fare, sembrava una maledizione. E quando è svanita? Guarda caso quando la palla-break si è trasformata in set-point. Mica si diventa numero uno al mondo per caso.
APPLAUSI PER NISHIKORI, MA QUEL DOPPIO FALLO…
È vero che quella decima palla-break gliel’ha offerta il nastro, accomodandogli una palla perfetta per la smorzata, ma a convertirla è stato lui, rispondendo nei piedi del giapponese a una prima a due dita dalla riga. Con un solo “quindici” si è preso punto, break, set e (sembrava) anche la partita. Era l’impressione di tutti, ancor prima di vedergli scippare un altro servizio al rivale nel secondo game del secondo set. Da zero su nove a due su due. I famosi “punti importanti”. Come si fa? Ricetta segreta. Dopo il 2-0 è arrivato il 3-0, con un paio di palle-break cancellate a rendere tutto più gustoso, oppure a far ancora più male al povero Nishikori. Al cambio di campo il nipponico si è seduto esausto e ha avvolto la testa nell’asciugamano: una scena pareva valer più di mille parole. E invece la fine era ancora lontana, anche quando Djokovic ha avuto due palle del 5-1, perché si è fatto riprendere sul 4-4 e l’incontro più lungo del torneo ha dovuto andare a vincerselo al tie-break, dopo aver mancato un match-point sul 5-4. Anche nel game decisivo ha arrancato, è andato sotto 3-1, ma per fermarlo ci vuole altro, o forse, semplicemente, non si può. Nishikori avrebbe meritato il successo tanto quanto lui, ma uno dei due deve perdere per forza, e un doppio fallo sul 3-3 al tie-break l’ha condannato. Da 3-1 a 3-6, poi di nuovo sotto fino al 5-6, prima del servizio vincente che ha permesso a “Nole” di passare all’arrivo, dopo 3 ore e 1 minuto. Non è l’ultimo traguardo, ma ci siamo vicini. Per quello con stampato il 5 del pokerissimo di titoli nella sua amata Roma dovrà aspettare ancora qualche ora, con Andy Murray a provare a mettergli i bastoni fra le ruote negli ultimi chilometri. Lo scozzese ce l’ha fatta 9 volte in 32 confronti, ma mai nei quattro sulla terra battuta: un dato che la dice piuttosto lunga. È vero che lo scozzese è giunto in finale senza perdere un set, è vero che sulla terra sta giocando come mai prima, ma se non gli è bastato a Madrid vien da chiedersi come gli possa bastare appena sette giorni più tardi.
MASTERS 1000 ROMA – Semifinale
Novak Djokovic (SRB) b. Kei Nishikori (JPN) 2-6 6-4 7-6
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