A livello tecnico, la sconfitta con la Francia non è una sorpresa, né una particolare delusione: l’Italia è arrivata con le toppe, con una Pennetta ritiratasi sul più bello e la nostra attuale number one, Roberta Vinci, che ha in sostanza rifiutato la convocazione. Se a questo scenario aggiungiamo una Errani in notevole crisi tecnica, di motivazione e di gioco, era difficile che l’Italia uscisse vincitrice dal Velodrome di Marsiglia contro due giocatrici, Kristina Mladenovic e Caroline Garcia, sottostimate dalla loro attuale classica, ma entrambe con potenziale da top 10.
Non è dunque la sconfitta in sé ad essere allarmante, così come mi pare ridicolo chiedere la testa di un capitano capace di vincere quattro edizioni di Fed Cup in dieci anni. Vi sono però alcuni aspetti che vanno approfonditi, non fosse altro che per allontanare ragionevoli sospetti. In primis sull’assenza della Vinci.
Se a pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, è stato lecito supporre che una delle due protagoniste (oppure entrambe) avessero posto un veto sulla presenza dell’altra in squadra. Dall’entourage tecnico non è trapelata nessuna indiscrezione, al punto che siamo stati informati che della questione erano a conoscenza, oltre a Sara e Roberta, solo capitan Barazzutti (e riteniamo anche il Presidente Binaghi). Abbiamo dunque deciso di fare la cosa più semplice e chiamare proprio capitan Barazzutti, il quale ha voluto confermare che “non vi è stato alcun veto posto da nessuna giocatrice. Sara mi ha confermato che avrebbe tranquillamente accettato la convocazione di Roberta e che ci avrebbe giocato insieme in doppio, fosse stato necessario”. A conferma, un messaggio che abbiamo ricevuto da Davide Errani, fratello e manager di Sarita: “Sara non ha nessun problema, è a totale disposizione del capitano e avrebbe accettato la convocazione anche se ci fosse stata Roberta”. Bene, dunque nessun veto, nessuna imposizione che, quando c’è di mezzo la maglia azzurra, sarebbe stata ancora più antipatica.
Ma allora, perché Roberta Vinci era da Cattelan il giovedì e a San Pietroburgo il sabato ma non al Velodrome di Marsiglia a difendere i colori della Nazionale? Perché si è limitata ad un poco elegante messaggio di incoraggiamento alle sue compagne e non ha accettato la convocazione, per una volta che la sua presenza appariva fondamentale? La risposta, dobbiamo crederle, è quella che ha ufficialmente fornito Roberta, cioè che in questo momento preferisce concentrarsi in quello che dovrebbe essere il suo ultimo anno di attività, alla sua carriera individuale piuttosto che a quella di squadra.
Una scelta dettata da due motivi principali e che riteniamo di sostenere: 1. lo status di finalista Slam che ha interrotto il sogno di Grand Slam di Serena Williams, abbinato ad un tennis particolarmente affascinante, le garantisce degli ingaggi in tornei come quello russo, non indifferenti, per chi non è nata ricca e vorrebbe chiudere la carriera con risparmi sufficienti per una vita agiata; 2. il sogno di diventare la quarta italiana (dopo Pennetta, Schiavone ed Errani) ad entrare nella top 10, un obiettivo sicuramente più affascinante per chi la Fed Cup l’ha già conquistata quattro volte ma che ha un minimo di probabilità di riuscita solo se la Vinci saprà raggranellare punti nella prima metà della stagione, visto che poi la cambiale di New York sarà complicatissima da difendere. Parliamo di sogno perché parte dall’attuale 16esima posizione e davanti a lei, ma fuori dalle top 10, ci sono giocatrici come Belinda Bencic, Venus Williams e Victoria Azarenka. Tuttavia, un tentativo è doveroso farlo e i primi sei-sette mesi dell’anno sono fondamentali.
Per questo, nonostante capitan Barazzutti lasci aperta la porta per una eventuale convocazione nello spareggio di metà aprile, crediamo difficile che Roberta possa accettarlo, soprattutto se saremmo costretti ad una lunga trasferta e alla vigilia di un torneo importante come Stoccarda, su terra indoor. Una situazione che rischierebbe di privarci anche di Sara Errani, visto che la terra rossa è la sua superficie preferita e i tornei sul rosso già scarseggiano nel calendario WTA. L’ideale sarebbe giocare in casa, su terra indoor, così entrambe non avrebbero grandi scuse.
Anche perché qualche sospetto è tornato a galla quando abbiamo cominciato a parlare di Olimpiadi. A metà agosto, i giochi per un eventuale salto nella top 10 mondiale sarebbero già fatti per la Vinci, ed essendo suggestivo ma tecnicamente impensabile affidarsi ad una Pennetta che ha letteralmente appeso la racchetta al chiodo, ecco che la coppia Errani-Vinci (che non dimentichiamo, insieme hanno realizzato il Career Slam e sono diventate le prime giocatrici del mondo nella specialità) sarebbe la nostra migliore (unica?) speranza di medaglia ai prossimi Giochi Olimpici di Rio de Janeiro. Tuttavia, a precisa domanda, Barazzutti ha risposto che “mancano ancora tanti mesi alle Olimpiadi” e Davide Errani con un laconico “vedremo…”. Ecco dunque che si torna a sospettare che gli screzi nati dopo la sconfitta in Fed Cup proprio con la Francia a Genova l’anno scorso, non siano del tutto dimenticati e che nemmeno l’obiettivo di una medaglia olimpica assicuri una loro presenza, mentre la decisione della Vinci di allontanarsi dalla Fed Cup avrebbe risolto il problema da solo (volendo credere alle dichiarazioni di Barazzutti ed Errani, di cui non abbiamo motivo di dubitare). Inoltre, se qualcuno fosse obbligato a scegliere, mi pare saggio puntare su chi ha ancora diversi anni di carriera davanti a sé e non solo una manciata di mesi.
Insomma, considerando che non vi sono valide alternative, il prossimo spareggio di Fed Cup e ancor di più il torneo olimpico, dovrebbero dissipare i dubbi sui reali rapporti professionali tra Errani e Vinci. Quelli personali sembrano compromessi, ma ci interessano meno.
Post scriptum: capitan Barazzutti, col quale credo di avere un rapporto schietto quanto amichevole, mi è apparso un po’ irritato dalla telefonata, pensando volessi parlare dell’altra querelle nata in questo infausto week-end marsigliese. E cioè che volessi chiedergli del comportamento di Camila Giorgi nei suoi confronti. Dopo entrambi i match (quello vinto con la Mladenovic e quello perso con la Garcia), alla Giorgi è stato chiesto cosa Barazzutti le dicesse ai cambi di campo. Domanda senza troppa fantasia ma che non nascondeva alcuna insidia. Ebbene, la prima volta ha risposto che “dopo tanti anni passati sul campo col padre, non sono certo due parole dette ad un cambio di campo che possono cambiare la situazione”. Nel secondo caso è invece arrivato un “non capisco queste domande, non so cosa rispondere”, dichiarazione ben più allarmante e che trascende l’aspetto tecnico del gioco.
L’ottima capo ufficio stampa della Federazione Francese (e di Roland Garros), Dorothée Leconte ha voluto informare i dirigenti ITF dell’atteggiamento indisponente della Giorgi nei confronti dei media (non succederà nulla, ma la figuraccia istituzionale resta). Resta l’amarezza delle sue parole, rivolta ad una persona come Corrado Barazzutti, capace da giocatore di vincere una Coppa Davis ed entrare nella top 10 mondiale e, da capitano, di trascinare l’Italia a vincere quattro Fed Cup. Meriterebbe maggior rispetto da parte di chi, certi risultati, deve ancora avvicinarli. Barazzutti, che tra l’altro vede già l’ombra di Francesca Schiavone alle spalle come possibile prossima capitana, ha elegantemente detto che “quando si vince è giusto lasciare la scena alle protagoniste, cioè alle giocatrici, mentre quando si perde è il capitano che prende la m…. in faccia”.
Così come ha voluto sottolineare che “un ciclo come quello vissuto negli ultimi dieci anni non è normale e difficilmente ripetibile”. Verità innegabile che gli appassionati non accetteranno, soprattutto se la crisi dovesse assumere proporzioni importanti. Una possibilità da non escludere visto i prospetti che stanno uscendo da quello che dovrebbe essere il nostro centro tecnico di eccellenza di Tirrenia.