I primi 10 giocatori in classifica Atp provengono da nove paesi diversi. Non sono più i alcune nazioni elette a dominare ma contano le Academy (foto Brigitte Grassotti)
Strano sport il tennis! Nel momento esatto in cui la leadership mondiale appare spalmata equamente su una decina di paesi, gli 81mi Internazionali d’Italia hanno rischiato una finale tutta cilena. Un’abbondanza che avrebbe indotto l’immaginario collettivo a vedere nel paese andino una sorta di eldorado tennistico, una nuova frontiera dell’insegnamento che avrebbe attratto giovani di belle speranze in cerca di certezze. Naturalmente sarebbero fiorite tante Academy, con una ‘c’ sola, e il resto del tennis avrebbe guardato a Santiago piuttosto che a Val Paraiso o Vigna del Mar con malcelata invidia. Insomma l’abbiamo scampata grossa dal farci prendere la mano da nuove mitizzazioni che già in passato avevano generato confusione nella maturazione dei giocatori.
Passati sono i tempi in cui grandi santuari come Australia e Stati Uniti tracciavano linee guida per tutti e poco appeal suscitano ormai il modello svedese alla Bjorn Borg o quello spagnolo alla Rafa Nadal. Oggi i primi 10 tennisti del mondo provengono da nove paesi diversi e la loro crescita non fa leva sul paese d’origine ma su metodologie avanzate disponibili in tutto il pianeta adattate alle qualità di ogni singolo atleta. Ecco dunque che anche la Danimarca può vantare un tennista come Rune e la Norvegia uno come Ruud. Per non parlare della Finlandia di Ruussuvuori o della a Grecia di Tsitsipas.
Ciò che conta oggigiorno nella formazione delle giovani leve è la bontà della metodologia e la consapevolezza di chi la applica.
Vista in quest’ottica, anche una finale tutta cilena poteva starci, e sicuramente avrebbe reso giustizia al torneo capitolino.