Chi ha già scaricato l’app mobile di Wimbledon, per seguire il torneo sin dalle qualificazioni, si sarà accorto che appena l’applicazione si apre lo fa con un’immagine del mitico Centre Court e sopra, nel cielo, lo slogan “In pursuit of greatness”. Chi metterà piede all’All England Club ritroverà la frase stampata su un cartellone nei pressi del Campo 12, insieme a un testo che parlerà di onore, grazia e tradizioni. Sembra una banalità, invece lo slogan rappresenta un cambio significativo nella politica del torneo. Dalle parti di SW19, infatti, si sono sempre accontentati del tennis giocato, più che sufficiente per rendere il torneo uno dei simboli dello sport su scala globale, mentre pare che da quest’anno abbiano deciso di puntare anche sul marketing. Nulla di strano, per carità, ma vien da chiedersi il perché di tale scelta, per un evento che – nel massimo rispetto delle tradizioni – non ha mai visto di buon occhio i cambiamenti. Dentro ai Doherty Gates sembra tutto rimasto come 100 anni fa: niente sponsor ai lati del campo (e solo qualche “comparsa” di quelli tecnici: Rolex, Ralph Laurent, Slazanger), abiti bianchi, l’appellativo “miss” prima dei nomi delle donne anche quando l’arbitro recita il punteggio e tanti altri retaggi del passato, rimasti in vita quasi solamente ai Championships, a renderli ancor più unici. E allora, perché cambiare e avvicinarsi agli altri Major pur partendo da una posizione di favore? Pare che l’interesse sia quello di rafforzare la presenza del brand Wimbledon, e di tutto ciò che vi ruota attorno, negli Stati Uniti, “per rendere il torneo importante come il Super Bowl”, come ha riferito un insider (quelli che da noi chiameremmo “ben informati”) al microfono di Simon Briggs, l’inviato del “The Telegraph” nei tornei in giro per il mondo. Al di là dal paragone un po’ forzato, visto che la finale della National League di football è considerata l’evento più importante dell’anno e difficilmente un torneo straniero potrà superare anche solo gli Us Open, resta l’intenzione di far crescere il più possibile il brand in America, dove il passaggio delle dirette dalla NBC a ESPN ha fatto perdere la storica trasmissione “breakfast at Wimbledon”, nata addirittura nel 1979.
OBIETTIVO ASIA
Lo slogan “Tennis in an English garden”, coniato negli Anni ’80 dall’allora chairman John Curry, era ormai scaduto, meglio puntare su qualcosa di più vago ma anche più attraente. Da lì, dopo qualche mese di studio da parte dell’agenzia di marketing McCann, è nato “In pursuit of greatness”. In più, i responsabili marketing dell’All England Club si sono concentrati per capire qualche immagine del torneo arriva all’estero, e provare ad avvicinarla il più possibile alla realtà. Dopo alcune scoperte non proprio piacevoli – in Cina la gente non ha idea di quanto Wimbledon sia vicina al centro di Londra mentre in Brasile considerano il torneo qualcosa di antico nel senso meno buono del termine – hanno deciso di assumere dalla BBC Paul Davies, da oltre dieci anni produttore esecutivo del torneo, e metterlo a disposizione dei vari studi TV presenti sul posto, per uniformarli il più possibile. Secondo Mick Desmond, direttore commerciale del torneo, oltre un bilione di persone si imbattono televisivamente nel torneo, tra i 250 e i 300 milioni lo seguono assiduamente, altri 20 milioni lo fanno tramite i social network. Proprio parlando di social, è stata addirittura stipulata una partnership con una piattaforma di promozione su Twitter, che utilizza alcuni bloggers per promuovere determinati eventi, e verrà impiegata nell’ultimo week-end del torno per alzare il più possibile l’attenzione. Tutti aspetti poco familiari per un torneo che dalle 400.000 sterline di utili dei primi Anni ’80 è arrivato a raccogliere 56 milioni nell’ultima edizione, senza utilizzare alcun canale commerciale. Il grande obiettivo, ora, è quello di fare breccia in Asia, indubbiamente il mercato più importante. “È una sfida difficilissima – ha detto Desmond – ma l’obiettivo è di rendere Wimbledon un fenomeno noto quanto la World Cup di calcio, le Olimpiadi, il Masters di golf, Premier League, NFL e NBA”. Obiettivi tanto illustri quanto difficili, ma che cozzano un pochino con la tradizione di un torneo che ha sempre preferito far parlare (e bene) racchette e palline.
E anche Wimbledon aprì al marketing…
Svolta nella policy di Wimbledon: abbandonato il basso profilo, legato alle tradizioni, a favore di una campagna di marketing già visibile da più parti. “L’obiettivo è rendere il torneo importante come il SuperBowl”, raccontano. Ma i Championships ne han davvero bisogno?