Sparisce anche il torneo di Napoli: l’Italia resta con 17 challenger contro i 28 del 2010 e i 24 del 2011. La crisi è implacabile e gli investimenti calano. Calano anche i futures.
Giuliano Amato, ex Presidente del Consiglio, sostiene da sempre il challenger di Orbetello. Nel 2012, tuttavia, il montepremi si è più che dimezzato
(Foto Yuri Bianchi)

 
Di Riccardo Bisti – 17 agosto 2012

 
Ormai c’è da aver paura. Ogni volta che si apre il calendario c’è il timore di trovare la cancellazione di un torneo italiano. Fino a un paio d’anni fa, i challenger erano un vanto dello stivale tennistico. Eravamo arrivati ad organizzarne 28. Si, avete letto bene: ventotto. Praticamente ogni settimana c’era un torneo. Adesso stanno cadendo, come birilli, uno dopo l’altro. E l’applauso per chi tiene duro e va avanti è sempre più fragoroso. E’ notizia di poche ore fa la cancellazine del challenger settembrino di Napoli. Non quello primaverile del Tennis Club Napoli, ma quello del Green Park Posillipo. Un torneo che si era costruito una discreta tradizione, con cinque edizioni e alcuni vincitori di buon livello, su tutti Fabio Fognini (trionfatore nel 2010), ma anche Frederico Gil, Tomas Tenconi (nel suo anno d’oro), Yuri Schukin e il campione in carica Leonardo Mayer. Diretto da Enrico Rummo, nella scorsa edizione, tra main sponsor (Kimbo) e partner di vario livello, il torneo avevo messo insieme una cinquantina di sponsor. Purtroppo la crisi si acuita e anche a Napoli hanno dovuto alzare bandiera bianca, aggiungendosi ai defunti tornei di Courmayeur, Cremona, Alessandria, Torino, Trani e Manerbio. Per intenderci, se nel 2010 abbiamo organizzato 28 challenger (più San Marino, che però è a tutti gli effetti estero), quest’anno sono “appena” 17. In due anni, un calo terrificante, del 39,28%. Il trend negativo sta avendo un effetto devastante, almeno sul piano numerico. Siamo infatti tornati a organizzare meno challenger rispetto al 2004, quando ce n’erano 19. Il montepremi è leggermente superiore rispetto ad allora, ma solo perché si sono elevati gli standard richiesti dall’ATP. Oggi il minimo è 30.000 euro o 35.000 dollari, mentre all’epoca pullulava di torneo con un montepremi di 25.000 dollari. Il montepremi complessivo del 2004 era 575.000 dollari, mentre quello attuale è di 747.000 euro, quasi mezzo milione in meno rispetto al picco toccato nel 2009, quando i 25 challenger italiani misero in palio 1.232.000€.
 
La situazione non è rosea, perché diversi tornei fanno fatica ad andare avanti e già quest’anno hanno dovuto subire una riduzione del montepremi: è il caso di Barletta (passato da 42.500 a 30.000) e di Orbetello, più che dimezzato. Dei sette tornei perduti rispetto all’anno scorso, ce ne sono un paio di grande valore: Torino e Manerbio, insieme a Cordenons e Genova, erano gli unici a offrire un montepremi di 85.000€ e si spartivano il titolo di “torneo italiano più importante dopo gli Internazionali di Roma”. Invece sono spariti e difficilmente li rivedremo in calendario. Per fortuna ci sono alcune realtà in controtendenza: Caltanissetta e Monza si sono prese a braccetto ed hanno raddoppiato il montepremi, spostandosi entrambi a giugno. Monza, in particolare, sembra avere ambizioni importanti grazie all’energia di Ennio Barbera, presidente del Comitato Organizzatore. Un po’ come accade a Genova, che da quest’anno può definirsi senza dubbio il torneo italiano numero 2. Proprio in queste ore è uscita l’entry list dell’evento di Valletta Cambiaso e vi trovano posto sei top 100: Fognini, Goffin, Volandri, Bedene, Bolelli e Lorenzi. Il tutto al netto delle wild card, il che fa ben sperare per un torneo di altissimo livello. Genova è forse la realtà più solida, tanto che si era vociferato di un possibile passaggio a livello ATP. Ma il presidente del Comitato Organizzatore, Mauro Iguera, ha precisato che a Genova non c’è il bacino imprenditoriale per lanciarsi in un’avventura costosa e dai ritorni tutt’altro che certi: l’esperienza, infatti, insegna che il torneo “tira” se vanno avanti gli italiani. Altrimenti è più dura.
 
Nonostante la moria di tornei, l’Italia continua ad essere il paese che ne organizza di più. Con i nostri 17 tornei superiamo i 15 degli Stati Uniti, segno che la crisi si sente un po’ dappertutto. La tendenza è negativa anche nei tornei futures: nel 2011 ne abbiamo organizzati 31, mentre quest’anno il calendario ne prevede 28. Ci sono quattro paesi che ne organizzano più di noi: Turchia, Stati Uniti, Spagna e Brasile. Va detto che il Brasile ne ha persi ben 13 rispetto all’anno scorso, ma si rifarà con la nascita di un torneo ATP a Rio de Janeiro, senza contare i prossimi Mondiali di Calcio e le Olimpiadi del 2016. Tra l’altro si è parlato della possibilità di spostare proprio in Brasile anche le ATP World Tour Finals, il cui contratto con Londra scade nel 2013 (senza contare le gravi difficoltà del main sponsor, la banca Barclays). Insomma: i challenger sono operazioni territoriali, investimenti che con una certa oculatezza si possono fare (con 100.000 euro, tutto compreso, si riesce a mettere in piedi un torneo con gli standard minimi). Eppure gli sponsor continuano a calare e sempre più organizzatori sono costretti a lasciar perdere. In attesa che la tempesta passi e si possa riprendere a costruire.