di Daniele Rossi – foto Getty Images
Era il 1989, il numero uno del mondo era Ivan Lendl, che vinceva in Australia contro Mecir e perdeva da Becker a New York, che a luglio aveva vinto Wimbledon su Edberg, mentre Michelino Chang aveva scioccato tutti, trionfando a Parigi. Federer aveva 8 anni, Nadal appena 3 e un francese dalla stazza minuta, ma dal tennis spettacolare e imprevedibile, diventava professionista.
Dopo 20 anni, Fabrice Santoro ha detto basta, lo ha fatto domenica, sul centrale dell’impianto di Parigi Bercy, dopo aver perso contro un altro veterano del circuito, James Blake. Una “bella sconfitta” per 6-4 6-3 pone fine all’eterna carriera di “The Magician” (il primo a chiamarlo così fu Sampras, dopo una sconfitta patita a Indian Wells nel 2002), uno dei giocatori più divertenti, talentuosi e ben voluti della storia del tennis.
Santoro, nato a Tahiti il 9 dicembre del 1972, viene indirizzato sin da giovanissimo alla racchetta e si dimostra subito un talento precoce: nel 1989 vince il Roland Garros junior e diventa numero due della categoria. A 18 anni è già Top 50, raggiunge il quarto turno a Parigi e fa parte della squadra di Coppa Davis che batte la Jugoslavia in semifinale. Talento e professionalità non mancano a Fabrice, che però deve pagare un gap fisico con i nuovi colpitori del tennis moderno; il suo genio non basta e il francese non riesce a mantenere quanto promesso in gioventù. Il primo titolo ATP arriva solo nel 1997 a Lione, il secondo sempre in patria, a Marsiglia, due anni dopo; nel 2000 vince a Doha, nel 2002 a Dubai, completa il suo palmares la doppietta a Newport nel biennio 2007-2008. Ancora più avaro il suo bottino negli Slam, il cui miglior risulato rimangono i quarti agli Australian Open del 2006. Vanta comunque il dato importante di essere stato nei primi 100 ininterrottamente dal 1997 e un best ranking numero 17 nel 2001. Troppo poco per un giocatore dal tennis tutto tocco e talento, capace di far impazzire chiunque con i suoi colpi bimani, le sue palle corte, i suoi back e i suoi improvvisi cambi di ritmo.
Ma Santoro è anche un gentiluomo e un perfetto uomo di sport, ne sa qualcosa Ivan Ljubicic. Quest’anno a Eastbourne, un piccolo torneo pre-Wimbledon, il francese sta giocando contro il croato nei quarti di finale, Ljubicic durante una discesa a rete scivola e si storta una caviglia; Santoro lascia subito la racchetta, corre a prendere del ghiaccio e si fionda a soccorrere il suo avversario, che aiuta anche ad uscire dal campo. Un episodio esemplificativo dellla correttezza e la sportività, che hanno contraddistinto tutta la carriera del piccolo Fabrice.
Il 2009 era l’anno della passerella, ovunque è stato salutato e applaudito con simpatia e affetto e ad aprile si è tolto la soddisfazione di vincere il Challenge di Johannesburg.
Avesse deciso di andare in Australia, sarebbe diventato l’unico giocatore a disputare uno Slam in quattro decadi diverse, ma ha preferito porre fine alla sua carriera a Parigi, davanti al suo pubblico, piuttosto che su un campetto periferico di Melbourne. “Un lutto e un sollievo”, ha così definito il suo addio alla racchetta Fabrice Santoro, che ha dichiarato anche di avere già molti progetti per la sua vita dopo il tennis, a partire dal commentatore televisivo, all’organizzatore di tornei, all’allenatore.
Di sicuro ci mancherà, perché di giocatori come Santoro ormai, non ce ne sono più. Adieu Fabrice.
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