Anni fa, Venus Williams prendeva un ingaggio per giocare a Dubai. Oggi è lei a chiedere una wild card
Di Riccardo Bisti – 18 febbraio 2014
Non avrà la tradizione degli Slam o di tante tappe storiche, ma il Dubai Tennis Championships è ormai un classico della stagione tennistica. Ogni febbraio, si prende due settimane di calendario. Alle 14 locali (le 11 italiane), scatta il programma che poi si sviluppa soprattutto di sera per rispettare i dettami della religione musulmana. Sono passati più di 20 anni e il torneo ha saputo crescere, resistere alla crisi economica e alla concorrenza. Attualmente è diretto da Salah Talak, le cui spalle sono decisamente coperte. Le saranno fino a quando Shaikh Mohammad Bin Rashid Al Maktoum (vicepresidente e Primo Minsitro degli Emirati Arabi, nonchè Governatore di Dubai) continuerà a patrocinare l’evento. L’edizione del 2014 si presenta decisamente interessante: tra le donne, hanno convinto in extremis Serena Williams (mai vincitrice da quelle parti), mentre in campo maschile ci saranno Novak Djokovic e Roger Federer. Lo svizzero gioca quasi sempre, anche perchè trascorre buona parte del suo tempo proprio a Dubai, dove ha una casa. L’opinione di Talak è interessante, perchè permette di capire come si è evoluto il rapporto tra il torneo e i giocatori. O meglio, se c’è ancora bisogno di ingaggi. “Quel periodo è passato – racconta Talak – quest’anno è capitato che una giocatrice come Venus Williams ci chiedesse una wild card, mentre in passato eravamo noi a cercarla”. Il miglioramento è evidente e certificato dalle cifre. Nell’anno della prima edizione (1993) il vincitore fu il numero 23 ATP Karel Novacek, mentre quest’anno la prova WTA ha un “taglio” impressionante: oltre la 24esima posizione WTA, le tenniste hanno giocato le qualificazioni. “Abbiamo smesso di pagare le giocatrici nel 2010, quando Larry Scott, ex capo della WTA, lanciò la Raod Map. Tra gli uomini, invece, dobbiamo ancora versare qualche gettone di presenza, ma è un fenomeno limitato ai migliori. Tra le donne, posso assicurare che non sborsiamo più un dollaro. E’ uno degli effetti benefici dell’ottimizzazione dei calendari ATP e WTA”.
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21 anni fa, la realtà sociale di Dubai era completamente diversa. Spesso i le tribune erano vuote, mostrando un colpo d’occhio desolante. Poi ci sono i problemi culturali che obbligano a giocare quasi sempre di sera, fino all’estremo di qualche anno fa, quando non fu ammessa l’israeliana Shahar Peer, mentre l’anno successivo giocò in condizioni da incubo, protetta da uomini armati. Eppure giunse in semifinale, tanto da obbligare a programmare tutti i match su un campo secondario. Adesso il torneo è entrato nel tessuto sociale della zona, e tutti vogliono farne parte. “E’ difficile accontentare le richieste di tutti – dice il direttore – gli sponsor dicono che i tagliandi sono troppo a buon mercato e dovremmo elevare i prezzi. Quest’anno abbiamo effettuato un piccolo tritocco, ma sono convinto che la gente verrà ugualmente. E se qualcuno si lamenterà, in quanti saranno? Noi abbiamo tanti servizi gratuiti, come il servizio navetta e il parcheggio. Se andate a vedere qualsiasi altro torneo, vedrete che questi servizi sono a pagamento”. I costi dei biglietti non sono popolarissimi, ma tutto sommato sono relazionati alla ricchezza della zona. Un biglietto per la finale costa 500 dirham (poco meno di 100 euro), mentre l’abbonamento per entrambe le settimane si trova a 2900 dirham, meno di 600 euro. Persino a Dubai si è sviluppato il fenomeno dei bagarini, segno che l’evento interessa sempre di più. Sono sempre più lontani i tempi in cui Dubai era soltanto una tappa esotica. Ai petrodollari, si sono aggiunti un pizzico di storia, tradizione e fascino. Gli ingredienti giusti per resistere all’avanzata americana.