Tanto vincente tra i giocatori di club, quanto bistrattato da pubblico e tv. Il doppio è a un bivio: servono idee e nuove proposte per riportarlo ai fasti che merita
foto Ray Giubilo
Il doppio vive due realtà: quella a livello professionistico, in crisi, e quella dei giocatori di club, un successo assoluto, perché tutti amano giocare il doppio. Come è possibile?
Se guardo indietro, a quando giocavo io, vedo grossi cambiamenti. Trent’anni fa tutti giocavamo entrambe le discipline. Al mio primo Masters a New York, c’erano giocatori come McEnroe, Fleming, Wilander, Nystrom, Noah, Leconte, Gomez, Gildemeister, Edberg, Taroczy, Gunthardt, Jarryd. I primi due che si sono messi in evidenza soprattutto come doppisti sono stati Ken Flach e Robert Seguso ma, come anche il sottoscritto e Sergio (Casal, suo storico compagno di doppio, ndr), erano comunque top 50 anche in singolare.
Oggi i doppisti sono tutti specialisti che giocano solo quella competizione. Anche se dieci anni fa una modifica alle regole ha permesso ai singolaristi di giocare il doppio con il ranking del singolare, spesso quelle partite a loro servono solo per allenarsi: quasi mai vanno avanti nel torneo.
Uno dei problemi principali è il considerevole impegno fisico che comporta giocare entrambe le gare. Chi ci prova non ha il tempo di recuperare, il programma li mette in campo sempre tardi, sottraendo tempo al recupero. Quindi i loro team, i preparatori, i fisio, i dottori, gli consigliano di dedicarsi unicamente al singolo per poter essere al 100 per cento. Diverso è il discorso per le ragazze, che anche negli Slam giocano tutti e due i tabelloni, come ha fatto Coco Gauff nel recente Australian Open.
Per me è un errore: i giovani dovrebbero giocare più doppi, molto utili per trovare la forma, per migliorare tanti aspetti del gioco e per accelerare il processo di crescita. Nel mio caso è stato fondamentale, perché mi ha reso più aggressivo. Stare di più a rete e capire meglio come gestirmi in singolare, mi ha fatto diventare il giocatore che sono stato: sicuramente migliore di come avrei potuto essere senza il doppio.
Dato che i migliori non lo frequentano, il doppio si è trasformato negli anni in un circuito parallelo, come può essere la Formula 2 o la 250 nella MotoGp, anche se in questi sport le piste sono le stesse, mentre nel tennis singolare e doppio sono due sport diversi.
Per me Atp e Itf dovrebbero inventarsi qualcosa, studiare nuove proposte di marketing per richiamare un numero maggiore di giocatori per stimolare gli ascolti tv, nei quali il calo è evidente.
E il circuito Atp, che direzione sta prendendo? Si dice che nel 2026 ci saranno 12 tornei Masters 1000 di due settimane, più 4 Slam, anch’essi di due settimane. Non si sa nemmeno se gli Atp 250 e 500 troveranno spazio, così come i doppisti, forse con tabelloni ridotti. Insomma, il doppio è veramente in pericolo. A meno che non si sfrutti l’opportunità di coinvolgere i giocatori più forti, dato che i grandi potrebbero giocare un giorno il singolare e l’altro il doppio, e fare in modo che i risultati del doppio contino anche per il singolare, forzando i migliori a giocare, reinventando un po’ tutto come è stato fatto con i Masters 1000.
Bisognerebbe convincere tutti a giocare il doppio, come è successo in Coppa Davis, dopo la decisione di passare da 5 a 3 punti e da 5 a 3 set. Come si è visto a Malaga, questo cambiamento ha dato molta più importanza alla specialità: in campo abbiamo visto Sinner e Djokovic e questo ha alzato tantissimo l’interesse. Sinner e Sonego inoltre alle Final 8 hanno superato due specialisti olandesi, con Jannik a fare da leader assecondato da un grande Lorenzo.
Mi sono goduto quella partita molto più dei singolari: per la coppia, per l’Italia, per il feeling che si era creato. Vedere che la vittoria più importante della storia recente del tennis italiano è arrivata grazie a dei doppi, una specialità che Jannik non ha quasi mai praticato nel circuito, la dice lunga sulle potenzialità di questa disciplina.
L’Itf ha avuto fortuna: grazie alla decisione di rendere tutto più veloce, ha ottenuto una delle migliori finali possibili. Sono i più forti, con la loro presenza e personalità, che devono essere protagonisti di quei momenti chiave. Devono essere un modello. Come possiamo rendere quindi più attraente il doppio nei Masters 1000 e 500 per il pubblico e per la tv?
Con i big. I migliori del mondo hanno sempre trovato il tempo per vincere la Davis. Borg lo ha fatto quasi da solo, McEnroe tante volte, anche a fianco di Fleming, che era bravissimo pure in singolare. Becker e Stich, che non si parlavano, come pure Vilas e Clerc, hanno vinto le Olimpiadi e la Davis giocando insieme. Noi abbiamo perso la medaglia a Barcellona contro Boris e Michael in 5 set, una partita da pazzi. La giornata prima avevamo battuto Sampras e Courier: certo che allora avrei preferito giocare contro due ‘doppisti’!
Anche i grandi singolaristi in alcuni momenti si sono ripresi dalle sconfitte grazie al doppio. Penso a Federer, che nel 2008 vincendo con Wawrinka l’oro a Pechino ha recuperato fiducia dopo le sconfitte con Nadal al Roland Garros e a Wimbledon. Lo stesso Rafa, vincendo l’oro a Rio de Janeiro con Marc Lopez, ha ricavato tanta energia da quella vittoria.
Jannik è stato grande a Malaga: come singolarista, come doppista, come leader. Ma se facessimo un sondaggio tra il pubblico italiano, la gente ricorderebbe quel doppio magico, ecco perché si deve lavorare per reinventarlo nel circuito, abbiamo bisogno dei top coinvolti al 100% o il doppio morirà lentamente, come sta accadendo.
Al contrario, nei circoli di tutto il mondo si gioca il doppio: è più divertente, meno esigente fisicamente, più sociale, più facile per i giocatori un po’ avanti con l’età. Questa contraddizione è paradossale: in tv non trasmettono doppi, ma è la disciplina che si gioca di più. Forse è il pubblico televisivo che dovrebbe contribuire ad alzare l’audience. Negli Stati Uniti – più di 40 milioni di tennisti – il 70 % di loro gioca più spesso il doppio del singolo.
Ma come possiamo convincere i big? Occorre consentire loro di recuperare per essere al 100% in singolo. Chi organizza gli orari dovrebbe valutare lo sforzo, e non basarsi solo su poche partite notturne, perché Djokovic a Melbourne ha giocato quattro volte in serale nella prima settimana: come poteva giocare anche il doppio? La programmazione tv, gli orari notturni certo non aiutano la salute e il recupero. E chi gestisce la programmazione deve considerare quanto paga ogni paese per quella partita.
Ad esempio, nei tornei Masters 1000 l’ideale per un top 3 sarebbe giocare sempre tra le 12 e le 16 o le 17, e allo stesso modo il doppio il giorno dopo. Ma con quattro o cinque top player, pochi campi e meno orari, questo diventa un puzzle. Il campione non può riposarsi, e di conseguenza rinuncia al doppio, così gli specialisti ne approfittano. Il torneo non può esserne felice, ma non fa neppure nulla per trovare una soluzione.
Se i top player fossero coinvolti, se i punti dipendessero anche dal torneo di doppio, il tennis migliorerebbe, i giocatori aumenterebbero. Forse si potrebbero rendere alcuni Masters 1000 ‘mandatory’, cioè obbligatori anche per il doppio. Un giocatore come Kyrgios, che pure mi sta antipatico, quando voleva migliorare ha giocato il doppio. È stato uno degli ultimi grandi a farlo: bravo! Per colpa della programmazione però, un giorno l’hanno messo in campo tardi con il doppio e il giorno dopo ha perso in singolare. Dato che era l’unico singolarista che giocava in entrambi i tabelloni, perché non lo hanno aiutato?
Per concludere: sono molto contento di scrivere di doppio su Il Tennis Italiano. Se ne scrivessimo di più, se la tv mostrasse più partite, se si studiasse una programmazione migliore, la domanda crescerebbe. Al momento, purtroppo, non vedo una grande volontà di cambiare le cose.