WIMBLEDON – Nole centra la semifinale ma non convince. Un calo di Marin Cilic gli consente di dominare al quinto, ma contro Dimitrov non basterà. Becker e quel body language sbagliato.

Di Riccardo Bisti – 2 luglio 2014

 
Meno male che tra serbi e croati non corre buon sangue. Se Novak Djokovic avesse trovato un avversario qualsiasi, avrebbe davvero rischiato di perdere. Il serbo ha centrato le semifinali di Wimbledon, ma lo ha fatto tra gli sbadigli (del pubblico neutrale) e la paura (dei suoi tifosi). Ci sono voluti cinque set per battere un Cilic in grande crescita, carico come non mai ma con limiti precisi, messi in evidenza dal gioco di Nole. Nonostante le nove vittorie su nove precedenti, c’erano le avvisaglie di qualche pericolo. Marin da Medjugorie, il bravo ragazzo per eccellenza (tanto che gli dedicarono un articolo persino sull’Eco di Medjugorie, giornale di forte ispirazione cattolica) ha trovato la giusta alchimia con Goran Ivanisevic, vincitore su questi prati nel 2001. Goran gli ha migliorato il servizio e sta lavorando sulla sua psiche. Lo vuole rendere uno sbruffone, convinto dei propri mezzi. Lo vuole portare tra i top-10 entro l’anno e tra i top-5 in assoluto. Non è semplice cambiare un’indole, e si è visto in un primo set in cui Marin non è sceso in campo. Poi è iniziato il dramma di Djokovic. Con la testa avvolta in un cappellino, sembrava che la visiera gli impedisse di esprimere idee, concetti, geometrie. Con un body language negativo ha concesso a Cilic il secondo set e ha commesso un pasticcio dopo l’altro nel terzo. Era sempre lui a comandare, tanto da procurarsi sei palle break. Non ne ha sfruttata neanche una e si è fatto beffare sul 5-5. Quando tutto gli stava scivolando di dosso, Cilic lo ha aiutato con un’ingenua invasione di campo su uno smash. L’ingenuità gli è servita per acciuffare il tie-break, perduto senza colpo ferire. L’allarme era rosso, peraltro contro un Cilic ruggente.
 
UN LIVELLO DA SISTEMARE
L’effetto-Ivanisevic è impressionante, ma non può oltrepassare i limiti strutturali. Ad esempio, una tenuta fisica ancora da rivedere e la scarsa abitudine a giocare certe partite. E così, a un set dal traguardo delle semifinali (le aveva raggiunte solo una volta, all’Australian Open 2010) si è totalmente disunito. Ha preso 6-2 nel quarto set e anche nel quinto. Djokovic non ha fatto nulla di speciale: semplicemente, ha mantenuto una velocità di crociera che oggi è stata sufficiente. E a fine partita, al momento di salutare il pubblico, non ha concesso i soliti balzi, le solite urla, e nemmeno la posizione da Incredibile Hulk. Adesso avrà 48 ore per riordinare le idee e capire se è stato soltanto un “bad day at the office”, oppure c’è qualcosa di più profondo. Magari si riprenderà alla grande, batterà Dimitrov in semifinale e conquisterà il suo secondo Wimbledon. Tuttavia, continua a non convincere la partnership con Boris Becker. Durante la partita, l’ex campione tedesco si guarda intorno con aria assertiva, quasi assente. E’ difficile capire cosa gli passi davvero per la testa. Un atteggiamento ben diverso da quello di Marian Vajda. Non sarebbe un male, non fosse che oggi Djokovic sembrava come risucchiato da un vortice di sonnolenza. Durante il match, per un attimo, è sembrato che pensasse quasi più all’imminente matrimonio con Jelena Ristic che alla partita. Contro Cilic è bastato, ma contro Dimitrov dovrà crescere, e molto. Oggi avrebbe perso. Contro il bulgaro vanta un buon 3-1 nei precedenti, ma ci ha perso lo scorso anno a Madrid. Ed era un “Grisha” ancora in fase di maturazione. Stavolta sarà favorito, ma non così tanto. Fossimo in lui, prima della partita, diremmo a Becker di prendersi un bel caffè.