Non ci sono stati tornei extra nella programmazione di Novak Djokovic. A 31 anni di età, da persona estremamente scrupolosa nella gestione del fisico, ha ritenuto che giocare a Pechino o Vienna non sarebbe servito granché. In altre situazioni forse ne avrebbe giocato uno, ma ha comunque ottime chance di chiudere l'anno al numero 1 ATP. Vincere a Parigi Bercy gli garantirebbe il sorpasso su Nadal, poi ci saranno le ATP Finals: oggi, sembra più un'occasione per staccare la concorrenza che per una vera lotta. E allora si è potuto concedere un impegno a cuor leggero, nella nota trasmissione della TV serva “Da Mozda Ne” (“Sì, forse no”), una delle più seguite nel suo Paese. È stato ospite della prima puntata della nuova stagione, andata in onda lo scorso 11 ottobre e condotta da Olivera Kovacevic. Nole è autorizzato a fare gli scongiuri: l'ultima volta che gli avevano dedicato una puntata risaliva a dopo il successo al Roland Garros 2016 (ma lui non c'era, tra gli ospiti c'erano i genitori), poco prima che iniziasse la sua crisi di risultati. Scaramanzie a parte, stavolta era in studio e ha confermato di trovarsi particolarmente a suo agio sotto l'occhio delle telecamere. In quasi un'ora e mezza di trasmissione, Nole ha toccato diversi argomenti, non strettamente tennistici, oltre a cantare e provare a suonare il sax. I due temi che hanno permesso alla trasmissione di scavallare i confini hanno riguardato i suoi pensieri di ritiro in avvio di 2018 e il dichiarato sostegno alla Croazia durante i Mondiali di calcio. “Nei mesi dopo l'operazione al gomito ho avuto momenti e pensieri negativi. Un giorno, a marzo, mi sono seduto con il mio team e ho detto che non avrei più voluto giocare a tennis. Sono rimasti tutti scioccati. Non ero sicuro di quello che stavo dicendo, ma non me ne vergogno. Avevo i miei dubbi, ma dentro di me sapevo che sarebbe tornato il momento in cui sarei tornato a vincere gli Slam e mettermi nella posizione di diventare numero 1, ancora una volta”. Djokovic ha iniziato il 2018 con l'agghiacciante (per lui) bilancio di 6 vittorie e 6 sconfitte. Ma poi è rifiorito, con l'unico incidente di percorso al Roland Garros, quando si è arreso a Marco Cecchinato nei quarti di finale.
QUEL VIAGGIO CON JELENA
Quel giorno tornarono i pensieri negativi: durante la conferenza stampa, disse che non era sicuro di giocare i tornei sull'erba. Da allora, le tracce del Djokovic imbattibile sono via via riapparse nel tour. Per lui è stato fondamentale rimettere in piedi lo storico team. “Quest'anno, ad aprile, mi sono ritrovato con Marian Vajda e Gebhard Phil Gritsch. Abbiamo ragionato sulle strategie da prendere sul medio e sul lungo termine: l'idea era raggiungere il picco di forma per lo Us Open, ma è arrivato in anticipo. Fu un passaggio molto importante, perché nell'ultimo anno e mezzo avevo cercato di riscoprirmi come giocatore”. Difficilmente scopriremo se hanno influito soprattutto i problemi fisici o il mancato feeling con Andre Agassi e Radek Stepanek. Per sua fortuna, è tutto da declinare al passato. A ben vedere, la sconfitta a Parigi ha avuto un'appendice positiva: un viaggio in compagnia della moglie, da soli, come non accadeva da tempo. “Dopo essere diventata madre, non aveva avuto tempo da dedicare a se stessa. Sebbene non fosse allenata, ha scalato le montagne per più di 4 ore e in quel momento ci siamo avvicinati ancora di più, rafforzando la nostra relazione. Quei cinque giorni ci hanno dato forza e orgoglio. Non avevamo avuto momenti così da quando eravamo diventati genitori. Questo ha permesso che tutto tornasse al suo posto”. Djokovic è molto amato in Serbia, ma da quelle parti le ferite della Guerra dei Balcani sono ancora molto fresche. E lui, fiero rappresentante del suo Paese, aveva detto che avrebbe fatto il tifo per la Croazia nella finale del Mondiali di Calcio (peraltro persa contro la Francia).
IL RAPPORTO CON LA CROAZIA
“Tutti hanno il diritto a esprimere la loro opinione – ha detto Djokovic – io rispetto il pensiero di tutti. Il mio appoggio per la Croazia è venuto dal cuore, desidero il meglio per loro e ho tanti amici al di là del confine”. Djokovic aveva già dato segnali in questo senso diversi anni fa, dopo un match contro Ivan Ljubicic a Monte Carlo. Al momento della stretta di mano, i due si erano scambiati la maglia da gioco, in un gesto dal forte valore simbolico. Va detto che Djokovic – almeno tempo fa – non riservava al Kosovo la stessa simpatia che nutre per la Croazia. Nel 2008, dopo il primo successo all'Australian Open, un suo filmato in cui rivendicava la sovranità Serba sul Kosovo fu trasmesso in piazza, a Belgrado. Tornando all'attualità, Djokovic ha proseguito: “Sono perfettamente consapevole di quello che è successo durante la guerra. Non ho partecipato, ero troppo giovane, ma mi trovavo in Serbia e so che molte persone hanno perso i loro cari. È molto difficile parlare di questo argomento, è un tema delicato. Rimango colpito ogni volta che qualcuno ne parla con dolore. Mi spiace che ogni anno si getti sale sulla ferita. Serbi e croati condividono lingua, cultura e tradizione. Non voglio entrare in politica né aggiungere dolore alle ferita, però ho molti amici croati e li considero come se fossero la mia gente”. Il pubblico ha compreso il senso del messaggio e lo ha accompagnato con un bell'applauso. Tra pochi giorni, Djokovic tornerà a far parlare la racchetta: sarà il favorito al Masters 1000 di Parigi Bercy, già vinto quattro volte (2009, 2013, 2014 e 2015). Potrebbe essere il torneo del sorpasso.