Da Londra Federico Mariani – foto Getty Images
Nessuno può nulla, nessuno può avvicinarsi, nessuno può scalfire Novak Djokovic. Il serbo batte nettamente, forse ancor più di quanto dica il 6-3 6-4 finale colto in ottanta minuti di match, Roger Federer e conquista per la quinta volta il titolo di Maestro tra i maestri, il quarto successo consecutivo (mai nessuno come lui nelle quarantasei edizioni del Master di fine annno) raggiungendo leggende quali Lendl e Sampras, e mettendo nel mirino lo stesso Federer che, alla decima finale, resta fermo a quota sei. La sfida titanica, riedizio della finale 2014 che in realtà mai si disputò, con ben dieci titoli da Maestro in campo è a senso unico, merito di un Djokovic ai limiti della perfezione che merita appieno l'ennessimo trionfo di un'annata meravigliosa, con ogni probabilità la migliore dell'Era Open.
Come preventivabile, l’estemporanea vittoria di Federer martedì nella seconda tornata del round robin è risultata essere niente di più di una passeggera illusione di lotta ed incertezza, componenti che quando Djokovic è centrato al 100% oggi non possono esistere. Il numero uno del mondo è una macchina perfetta e, come tale, sa gestirsi, rallentare, centellinare le energie per poi accelerare fino a stritolare qualunque avversario. Federer – che peraltro ha il merito di essere l’unico in grado di aver stoppato il serbo più di una volta nel 2015 (tre successi elvetici su otto sfide) – non è un’eccezione, neanche indoor, neanche in condizioni apparentemente favorevoli.
Tra i round robin e le ultime due partite Djokovic mette in atto una radicale trasformazione tornando a vestire i panni dell’invincibile. E’ piuttosto chiaro il piede sul gas pigiato nel momento giusto, contro Nadal prima e Federer poi per un totale di quattro set incassati senza mai cedere il servizio con appena due palle break concesse in semifinale e finale. Passano in secondo piano i 31 errori gratuiti coi quali Federer macchia la sua performance, così come non ha capitale importanza lo scarso 57% di prime messo in campo dallo svizzero nel primo set e la complessiva resa della seconda abbondantemente sotto il 50%. Djokovic risponde in modo spaventoso per tutto l’arco del match, blocca sul nascere quasi la totalità delle velleità offensive del diciassette volte campione Slam e, soprattutto, mette a referto un clamoroso 84% di successo con la seconda in campo con un irreale 11/12 nel solo secondo set, una statistica forse inedita per incontri di tale blasone.
Il capitolo 44 della seconda rivalità più longeva dell’Era Open (dopo quella dello stesso Djokovic con Nadal) parte in modo contratto per entrambi: Nole sciupa una palla break in avvio seppellendo in mezzo alla rete la risposta di dritto, così come Roger manca la sua chance nel secondo game dove a tradirlo è il dritto anch’esso terminato a rete. Nel terzo game arriva la prima spallata al match col serbo che si procura un’ulteriore chance grazie ad un fantastico passante di rovescio incrociato che fulmina Federer , il quale con un errore gratuito successivo si arrende al primo break della finale. Non è un Djokovic perfetto alla battuta: il belgradese viene salvato da una coppia di ace nel quarto gioco, deve cancellare una palla break nel sesto gioco (rovescio in rete di Federer) e sono nuovamente due assi a toglierlo dai guai nell’ottavo gioco. Ogni qualvolta Nole riesce a far partire lo scambio, tuttavia, è brillante ad inchiodare Federer nella diagonale sinistra dove l’elvetico è in totale disarmo. Da laggiù Roger può ben poco se non inventarsi estemporanei quanto rischiosi soluzioni in lungolinea che, però, lasciano il tempo che trovano e non possono costituire certamente una chiave tattica. Chiamato per allungare quantomeno il set, Federer concede due setpoint consecutivi, sul primo la veronica è vincente, mentre nella seconda circostanza il medesimo colpo si trasforma in un gratuito che consegna il set a Djokovic per 6-3 dopo 39 minuti.
Nella seconda frazione c’è più partita, merito di Federer che innalza il 57% di prime trasformandolo in un egregio 72% col quale incassa tre punti su tre. Il trentaquattrenne di Basilea prova a rendersi più offensivo, a prendere più volte la via della rete (a fine match saranno 21 le discese, 14 delle quali premiate col punto), ma in risposta non riesce a pungere, a marcare la differenza, grazie ad un Djokovic eccezionalmente attento e centrato. Avanti 4-3 Nole prova l’affondo deciso e con prepotenza si issa 0-40 guadagnando le prime palle break del set. Federer è perfetto nella circostanza e si salva grazie a tre servizi vincenti accompagnati dall’ace numero cinque ed impatta sul 4-4 facendo esplodere in un fragoroso boato un’O2 Arena tutta schierata dalla sua parte con un incessante “let’s go Roger let’s go” in sottofondo. E’ solo un’illusione perché il serbo non si disunisce, difende a zero il nono game e sul 5-4 trova nuovamente le palle break, che ora sono matchpoint. Se sul primo è ancora il servizio a tenere a galla Roger, sul secondo un clamoroso doppio fallo (il numero due della partita) affossa l’elvetico e spedisce la coppa sulla via di Belgrado per la quinta volta. Con questo successo, tra i mille altri record, Djokovic opera il nuovo aggancio a Federer nel computo degli head to head (22-22) dopo aver pareggiato i conti ieri con Rafa Nadal (23-23).
Son terminati ormai gli aggettivi per definire la stagione di Novak Djokovic, molto probabilmente la migliore che l’Era Open ricordi. Bastano, forse, i numeri a rendere giusto merito al campionissimo serbo che chiude con undici titoli in bacheca, tra cui tre Slam, sei Masters 1000 ed appunto le Finals per un totale di 82 vittorie a fronte di appena 6 sconfitte e quindici finali conquistate su sedici tornei disputati, cui va aggiunto l’altro record dell’Era Open di 31 top-ten battuti in uno stesso anno. Chapeau!