di Federico Mariani – foto Getty Images
Ci si può chiamare Rafael Nadal, giocare bene e raccogliere quattro giochi? Sì, si può. Come solo le leggende di questo sport hanno saputo fare, Novak Djokovic sta toccando nuove dimensioni. Torneo dopo torneo, il serbo alza il livello andando in un posto dove nessuno può competere, nessuno può intralciare quella macchina perfetta che è il suo gioco, nessuno può essere più d’un semplice fastidio.
Con la ventinovesima (!) vittoria pechinese Djokovic timbra il sesto successo nella cittadina cinese, la vittoria numero 22, oggi impreziosita da un severo 6-2 6-2, contro l’avversario di sempre, Rafa Nadal, col quale condivide la più longeva rivalità dell’era Open con quarantacinque capitoli griffati, l’ottavo sigillo nella dodicesima finale consecutiva di una stagione semplicemente straordinaria. Numeri da mascella spalancata, quella che deve aver avuto immaginariamente Nadal, costretto a rastrellare la miseria di quattro giochi pur giocando paradossalmente uno dei migliori match di un infausto 2015.
Il numero uno del mondo parte forte col break strappato nel game inaugurale dell’incontro. Lo spagnolo prova e riesce a rimanere quantomeno aggrappato nello score fino al 3-2, mancando peraltro due chance di aggancio per il 3-3. Da questo momento il serbo ingrana le marce alte e scappa via fino a sigillare per 6-2 la prima frazione con tanto di secondo break messo a segno rimontando uno svantaggio di 40-0.
Nella seconda frazione il break sempre di fattura serba arriva nel terzo gioco, un game giocato a due riprese perché il mancino di Manacor sullo 0-30 richiede l’intervento del fisioterapista per un problemino al piede. Non cala la concentrazione di Nole che, anzi, piazza il break e vola leggiadro verso la vittoria che diventa, nello score, un’avvilente stesa nel 6-2 finale dopo un’ora accompagnata da trenta minuti di ingiocabilità. Un punteggio inevitabile ma, se vogliamo, di eccessiva severità per il maiorchino tornato ad esprimersi su livelli più che discreti. I sette ace (in appena otto turni di battuta) e l’82% di prime tenute in campo sono la prova numerica dell’impossibilità per il quattordici volte campione Slam di poter anche solo pensare di far partita pari
Djokovic trasmette agli archivi un torneo pericolosamente vicino alla perfezione con solo due break subiti e la miseria di diciotto giochi lasciati per strada in cinque incontri. Numeri che sono fedeli polaroid di una dittatura pressoché totale, di un giocatore che sostanzialmente pratica al momento un altro sport rispetto al resto della compagnia, di un numero uno mai così solo e così in alto.