Decimo titolo stagionale per Novak Djokovic. Gli è bastata una partita attenta per tenere a distanza Murray, KO per la decima volta negli ultimi undici scontri diretti, e stabilire un altro paio di record. E ha trovato un dritto in crosso che fa male. 

Novak Djokovic è talmente abituato a vincere che un “millino” in più non gli cambia niente. Nemmeno se lo fa battendo il suo diretto inseguitore e infila un paio di record in una volta sola. Ormai la vittoria è diventata routine. Il bello (per lui) e il brutto (per gli avversari) è che non gli basta mai. Nessuno aveva vinto a Parigi Bercy più di tre volte: il serbo condivideva il primato con coach Boris Becker e con Marat Safin. Entrambi superati. E nessuno aveva mai vinto sei Masters 1000 in una singola stagione: Djokovic ha fatto anche questo, in una stagione esagerata per qualità e costanza. Ha giocato otto Masters 1000 e per otto volte ha raggiunto la finale. Ha saltato Madrid nel tentativo di arrivare al top al Roland Garros (lo stesso Roland Garros che ha citato anche durante la premiazione, ormai ne è ossessionato), mentre ha avuto un piccolo appannamento in estate. Di quel momento hanno approfittato Andy Murray (a Montreal) e Roger Federer (a Cincinnati). Negli altri tornei è stato un Nole-Dominio, certificato anche nella nuova AccorHotels Arena di Bercy, dove ha tenuto a bada un Murray discreto e nulla più. Lo scozzese è numero 2 ATP e merita la posizione, ma diventa sempre più difficile parlare di rivalità. I due sono amici, hanno un approccio simile al tennis e – in parte – anche alla vita. Ma Djokovic ha avuto quel che è mancato a Murray: la forza di migliorare, sempre, anche dopo aver raggiunto la maturità. Non si spiega altrimenti il 21-9 negli scontri diretti, maturato vincendo dieci degli ultimi undici. E' come se Djokovic avesse effettuato un pit-stop, cambiando gomme e facendo un bel rifornimento. Da par suo, Murray continua a girare con il medesimo assetto.


LA COPERTA CORTA DI MURRAY

Si è visto nel 6-2 6-4 di Bercy, partita discreta ma non esaltante. I match tra Djokovic e Murray offrono uno schema tattico molto simile, senza guizzi né fantasia. Si ammira il meglio di un certo tipo di tennis, ma da lì non si esce. Per divertirsi sul serio ci vuole un match equilibrato, incerto, vivace. Stavolta non è andata così. La percentuale di prime palle di Murray è spesso la chiave. Se riesce a tenerla mediamente alta può far partita, altrimenti è dura. Ma la coperta è corta: se che Djokovic risponde alla grande, allora rischia la prima più del dovuto. Ovviamente la percentuale si abbassa e il serbo ha vita ancora più facile. A parte il gioco d'apertura, il primo set è stato un calvario per Murray: brekkato al terzo e al settimo game, ha lottato disperatamente (con tanto di tre palle break annullate) per aggiudicarsi il quinto. Un altro break nel terzo game del secondo set sembrava decisivo, invece è arrivato l'unico momento di distrazione di Djokovic. Dal niente, senza avvisaglie, si è infilato in un pericoloso passaggio a vuoto. Sul 2-1 ha perso a zero il servizio, consentendo a Murray di riacciuffarlo, salire 3-2 e addirittura portarsi sullo 0-30 nel sesto game. Un paio di segnali avevano fatto pensare al ribaltone: in primis, il clamoroso errore di valutazione di Djokovic sul punto che ha dato lo 0-40 a Murray. Pensava con uno slice dello scozzese finisse fuori di metri, invece gli è rimbalzato sotto il naso ed è rimasto così, come un baccalà. Nel game successivo, dopo un colpo vincente, Murray ha esclamato "Fire Up!”, accenditi. Lo ha fatto per qualche game, ma del momento del bisogno Djokovic ha vinto otto punti su nove e si è rimesso al comando. Così, come se fosse un gioco da ragazzi. E sul matchpoint ha mandato appena un saluto e un bacio al suo clan, in cui trovava posto anche il fratellino Djordje, classe 1996, accompagnato dalla splendida fidanzata. 


NOVITA' TECNICO-TATTICHE

A ben vedere, si è visto qualcosa di interessante anche sul piano tecnico. Ad esempio, la mano di Jonas Bjorkman è sempre più evidente nel gioco di Murray. A 28 anni sta provando a diventare più aggressivo, anche perché l' ottima fase difensiva non può durare in eterno. In particolare, il rovescio incrociato sembra il colpo prescelto per scivolare verso la rete. In slice, certo, ma anche in topspin, in avanzamento. Non è un colpo facile, ma quando lo impatta bene porta spesso a casa il punto. “L'anno prossimo spero di arrivare il più vicino possibile a Novak” ha detto durante la premiazione. Da parte sua, Djokovic sembra aver aggiunto qualcosa al dritto. Sarà sempre il fondamentale meno sicuro, ma adesso riesce a tirare un buon numero di vincenti anche con la soluzione incrociata. Sampras e Federer erano un'altra cosa, ma con questo colpo ha sorpreso Murray un paio di volte. E' un tassello in più per il suo bagaglio tattico. Intanto ha festeggiato il titolo numero 59, il 26esimo in un Masters 1000. Ormai è ad un passo dal record di Rafael Nadal e il sorpasso sembra scontato. Da oggi in poi, ogni vittoria di Nole andrà vista in prospettiva storica.

 

ATP MASTERS 1000 PARIGI BERCY – Finale

Novak Djokovic (SRB) b. Andy Murray (GBR) 6-2 6-4