Federer gioca un’ottima partita ma si spegne nel finale. Non è bastata nemmeno la venerazione del pubblico londinese, che rende una cerimonia laica ogni suo match.
Quello di ieri è stato il 31esimo match ufficiale tra Roger Federer e Novak Djokovic
Di Riccardo Bisti – 6 novembre 2013
La O2 Arena ama Roger Federer alla follia. Ok, la St. Jakobshalle di Basilea è casa sua, i tornei del Grande Slam sono il salotto e i Masters 1000 il giardino. Ma in questo impianto futuristico, dove le sovrimpressioni elettroniche avvisano il pubblico che è stato tirato un ace, la passione per Federer diventa mito. Forse perchè è l’unico ad aver vinto due volte da quando il Masters si gioca a Londra, più probabilmente perchè il pubblico arriva da ogni parte del mondo. E Federer, svizzero di passaporto, è una bandiera globale. Tutti lo amano, senza distinzioni di sesso, razza, età e religione. E’ un catalizzatore di amore tennistico, un mito che non conosce limiti. Si era capito 12 mesi fa, durante la surreale semifinale contro Andy Murray. Quattro mesi prima, lo scozzese lo aveva battuto nella finale olimpica in un delirio di folla e di bandiere. Nella stessa città, a casa di Andy, il pubblico era sfacciatamente a favore di Roger e della sua mistica. Per batterlo sulle rive del Tamigi ci vuole qualcuno che gli tenga testa sul piano mentale, ancor prima che su quello tecnico. Uno dei pochi a poterlo fare è Novak Djokovic. Da quando ha perso la vetta, il serbo è imbattibile. Ha portato la Serbia in finale di Coppa Davis, poi ha vinto Pechino, Shanghai e Parigi Bercy. Non ha risparmiato nessuno, da Nadal a Federer, passando per Del Potro e Ferrer. E non ha nessuna intenzione di fermarsi: lo ha dimostrato martedì notte, schiantando alla distanza Federer in un replay della finale dell’anno scorso. Lo svizzero ha giocato benissimo, ha regalato al pubblico attimi di commozione tennistica, ma a un certo punto è finita la benzina. Ha compiuto uno sforzo enorme per aggiudicarsi il secondo set. Uno sforzo talmente grande da non regalare nemmeno un po’ di pathos nel terzo, in cui ha esordito subendo un break a zero. Un altro strappo al quinto game ha allargato il divario, firmando il 6-4 6-7 6-2 finale.
E’ difficile raccontare il momento dello svizzero senza cadere in banalità, o senza ripetere quanto già scritto: la schiena, l’età che avanza, l’addio a coach Annacone…tutti fattori che influiscono, in positivo o in negativo. Ma la verità, per quanto (stra)conosciuta è una sola. Il corpo umano è come un computer, o un’automobile: a furia di usarla, si consuma e cala di prestazione. Se la tieni bene, dura di più. Ma non è eterna. Altrimenti i megastore e i concessionari avrebbero già chiuso. Si era visto 72 ore prima a Parigi Bercy, quando Roger si era spento come una candela, si è visto ancora meglio a Londra. Lo svizzero gioca meglio di tutti, tiene ritmi impensabili, ma non riesce più a farlo per troppo tempo. Deve essere orgoglioso di patire questi problemi soltanto con i primissimi, mentre riesce ancora a gestire il 95% dei giocatori. E sul cemento indoor, il gap con chi gli sta davanti si riduce, a volte si azzera. Si è visto nel secondo set di una partita godibilissima. Dopo aver perso il primo con qualche rimpianto (sul 4-4 aveva avuto una palla break prima di cedere il servizio nel game successivo), Federer si è ricordato le chiavi tattiche che gli avevano fatto vincere il primo set nella semifinale di Bercy. Attaccando a più non posso, anche con rischiosi chip&charge, si è esposto ai passanti di Djokovic ma gli ha messo addosso una pressione incredibile. Non è un caso che gli abbia strappato il servizio per due volte di fila. Il serbo, nervi saldi e mente d’acciaio, non si è mai disunito. Quando Roger è andato a servire sul 5-4, gli ha annullato un setpoint e ha allungato la pugna. Anche nel game successivo annullava una palla break e saliva 6-5. Sembrava finita, invece Roger aveva ancora un po’ di benzina. Ha estratto una piccola tanica, l’ha infilata nel serbatoio e ha giocato un super tie-break. Memorabile il punto del 4-2, in cui s è presentato a rete e ha giocato due volèe di difficoltà 10 nella Scala Mercalli del tennis: con la prima ha contenuto il passante velenoso di Djokovic, con la seconda ha ottenuto il punto. Da inginocchiarsi.
Ma non c’era combustibile sufficiente per il terzo set. Djokovic ha preso il largo, ha servito sempre meglio (alla fine tirerà 9 ace contro i 5 dello svizzero) e ha dominato in lungo e in largo, raccogliendo i cocci di un Roger generoso ma senza più forza. Secondo le statistiche ufficiali, Djokovic ha portato a 15-16 il bilancio contro lo svizzero, ma in realtà l’aggancio è già avvenuto perchè c'è anche l’esibizione (molto) agonisticia di Abu Dhabi, quando il serbo gli lasciò tre giochi all’alba del 2012. Al di là di questo, anche senza considerare quel match, il serbo ha vinto 9 degli ultimi 12 scontri diretti. Segno di una superiorità sempre più evidente, che Federer è riuscito a interrompere solo nella storica semifinale del Roland Garros 2011 e in due episodi della scorsa estate (semifinale di Wimbledon e finale di Cincinnati). Una vittoria di Djokovic su Federer non fa notizia. In fondo, la notizia è questa. E dopo l’ennesimo servizio vincente, Nole non ha esultato più di tanto. Ha ugualmente salutato il pubblico, lo stesso che gli ha tifato contro come 12 mesi fa. Ma lui c’è abituato, anzi, si carica. In questo ricorda Lleyton Hewitt, che si esaltava quando il pubblico gli dava contro. Giovedì ripartirà da Juan Martin Del Potro e pare nettamente favorito, viste le grandi difficoltà con cui l’argentino ha superato Gasquet. Il francese sarà il prossimo avversario di Federer in un match per palati fini. Se Roger mantiene lo stato di forma mostrato nelle ultime due settimane, è il favorito e può puntare a un posto in semifinale. In fondo, quando si accendono le luci della 02 Arena, il Re è ancora lui. Per certi versi, lo sarà per sempre.
ATP WORLD TOUR FINALS
Gruppo B
Juan Martin Del Potro (ARG) b. Richard Gasquet (FRA) 6-7 6-3 7-5
Novak Djokovic (SRB) b Roger Federer (SUI) 6-4 6-7 6-2
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