La nostra Sara Montanelli ha avuto l’opportunità di lavorare come giudice di linea al “Djokovic & Friends”, evento organizzato dalla Novak Djokovic Foundation. Nell’arco di due serate milanesi si sono alternati cinque dei più forti giocatori al mondo; Novak Djokovic, Rafael Nadal, Serena Williams, Flavia Pennetta e Fabio Fognini. La sua esperienza, tra aneddoti ed emozioni.Un paio di mesi fa mi hanno chiesto se potesse interessarmi fare da giudice di linea all’evento “Djokovic & Friends”. Motivo? Essendo un evento benefico non erano necessari giudici professionisti. Terrorizzata dall’idea, ho detto che non mi era mai capitato di fare da giudice di linea per nessuna partita, neanche per il torneino dell’oratorio. “Sarà anche un evento di beneficenza, ma il rapporto di Fognini con i vari giudici l’ho ben impresso, sarà anche uno show ma la sfuriata di Serena Williams allo Us Open 2009, quando ha inveito contro la povera Shino Tsurubuchi, me la ricordo eccome” dicevo tra me e me. Ho preso il mio tempo e ho ragionato: tutto sommato la scelta non richiedeva grande coraggio, i cuor di leone sono altri, ma c’era qualcosa che mi frenava. Poi mi sono posta una domanda che mi pongo sempre quando mi piacerebbe fare qualcosa, ma una forza superiore mi frena: “Quante volte vivi?”. In effetti quante volte mi ricapiterà di stare in campo, a pochi metri da giocatori come Novak Djokovic, Rafael Nadal, Serena Williams, Flavia Pennetta e Fabio Fognini? La voglia di osare è stata più grande di quella di essere una semplice spettatrice, dunque ho accettato la sfida. Prima di entrare in campo ci è stata fatta una sola raccomandazione; il giudice di linea ha una parola d’ordine: urlare, e farsi vedere convinto anche nella più totale confusione.
PRIMO GIORNO – Mercoledì sera si sono giocate due partite: prima sono scese in campo Serena Williams e Flavia Pennetta, poi si è disputato un doppio al meglio di un solo set, data l’ora tarda, che vedeva le coppie formate da Serena Williams e Fabio Fognini contro Flavia Pennetta e Novak Djokovic. Capitanati dal grande Romano Grillotti, ex giudice di sedia del circuito professionistico, noi giudici siamo stati divisi per linee, a me è toccata quella del servizio (orizzontale), in breve quella che ti permette di capire se la palla è lunga. La difficoltà più grande, ovviamente, è riuscire a chiamare una palla vicino alla linea. Certi servizi di Serenona non li vedono i giudici professionisti, figuriamoci i dilettanti. Ma nel singolo e ancor di più nel doppio, il ritmo è stato abbastanza basso. Se l’evento è stato criticato dai media e molti spettatori si sono lamentati per il “molto show e poco agonismo”, io, giudice alle prime armi, li ho ringraziati per lo stesso motivo. Quando Djokovic, nel doppio, non era d’accordo con le nostre chiamate ci accusava di essere italiani, “ma anche io ho la compagna di doppio italiana quindi aiutate anche noi”. Le sue battute non sono mancate. Che fosse un ragazzo scherzoso l’aveva dimostrato parecchie volte, in primis negli spogliatoi di New York nel 2007, insieme a Potito Starace, in quel video virale in cui imitò molti giocatori. Imitazioni che ha ripreso durante l’evento scherzando sull’atteggiamento di Fognini, che butta la racchetta per terra nei momenti di tensione, inveisce contro il pubblico e con i giudici e mostra un linguaggio del corpo spesso “scazzato”. Djokovic, nel divertimento, è riuscito a mostrare anche il suo ruolo da padre, coinvolgendo anche i raccattapalle. Ne prendeva uno, gli metteva la racchetta in mano e gli diceva “dai gioca tu al mio posto che io sono stanco” Inoltre nella sua panchina si sono alternati alcuni bambini della sua fondazione.
SECONDO GIORNO – Il primo giorno l’evento è stato molto criticato; “prezzi dei biglietti troppo alti per una pagliacciata simile”, “poco agonismo”, “l’ho visto in TV e ho cambiato canale dopo cinque minuti”. La situazione non ci faceva piacere, non tanto per le critiche in sé, quelle non dipendevano da noi, più per il fatto che quella sera sarebbero scesi in campo il padrone di casa Novak Djokovic contro Rafael Nadal. Se il giorno precedente erano piovute critiche per il poco agonismo, la sfida con Nadal in campo poteva significare una cosa sola: saette o, detto in gergo tennistico, “comodini”. Per carità, bellissimo spettacolo, ma il nostro ruolo si sarebbe complicato. Il livello di gioco, in effetti, è stato nettamente superiore rispetto al giorno precedente. Da giudice di linea, il lato positivo è che due campioni di quel calibro sbagliano davvero poco. Il ruolo, paradossalmente, è stato anche piuttosto semplice. Ma se a inizio match Djokovic è andato da un giudice di linea per dirgli “le palle sulla riga chiamale fuori”, io non ero stata avvertita di questo cambio di regole. Sul 6-4 e 2-2, con Nadal al servizio sul 30-0, lo spagnolo ha fatto ace. Io non l’ho chiamata, Djokovic mi ha guardato amareggiato e si è avvicinato, sedendosi al mio fianco e facendo partire un siparietto. Mi ha chiesto con il suo ottimo italiano: “Ma sei sicura?”, “Certo, tu l’hai vista fuori?” gli ho risposto, “Secondo me era fuori di un po’” ha replicato. A quel punto ho chiesto a Grillotti il suo parere e il giudice di sedia mi ha dato ragione. Non c’era occhio di falco, ma Filippo Volandri, Fiorello ed Elena Pero, in telecronaca hanno chiesto di rivedere il servizio e la palla era nettamente buona. Djokovic, sconsolato, è tornato in campo con il capo chino. La pace è stata fatta dietro le quinte, quando l’ho aspettato mezz’ora fuori dagli spogliatoi per chiedergli una foto, come una quattordicenne. Del resto è il mio idolo da diversi anni e con gli idoli si diventa sempre un po’ quattordicenni. Fare il giudice di linea non è una mia ambizione: l’ho fatto per una volta e sono molto contenta del risultato. La tensione, nonostante il poco agonismo, è stata tanta. Farlo per la prima volta, con in campo i migliori giocatori del momento (e della storia) non è stata una sfida semplice; certe sensazioni, onestamente, pensavo di viverle solo prima di un esame universitario. Certe emozioni, come Djokovic che si siede vicino a me non le dimenticherò facilmente, tuttavia c’è qualcosa di cui sono fermamente convinta: su quella sedia, durante una finale Slam, non mi siederei mai.
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