WIMBLEDON – Come spesso accade nei primi turni, il serbo infila una grande prestazione e annulla Tsonga. E' il 21esimo quarto di fila in uno Slam, ma i veri esami arrivano ora. Il prossimo avversario è Marin Cilic.
Di Alessandro Mastroluca – 1 luglio 2014
“21 vittoria, grande baldoria”. È la frase ricorrente di “Ventuno”, commedia leggera su un gruppo di studenti che trova il modo di contare le carte a blackjack. Una frase che sarebbe un'ottima chiosa per accompagnare il successo di Novak Djokovic su Tsonga, una delle sue vittime preferite, foriera del 21esimo quarto di finale consecutivo in uno Slam, traguardo che lo pone al terzo posto nell'era Open dietro Federer (36) e Connors (27). Due anni fa, Tsonga ha avuto quattro match point per battere Novak Djokovic sulla terra del Roland Garros. Adesso non riesce a farci partita né sul rosso né sull'erba. Non può essere un caso che abbia perso gli ultimi undici confronti diretti. Non può essere un caso se, dopo il 6-3 6-4 7-6 di oggi, in sei set tra Parigi e Londra abbia raccolto la miseria di 19 game. “Nel terzo set ha iniziato a servire molto bene – ha detto il serbo – ed è stato difficile tenere la palla in campo alla risposta. Ho salvato un paio di palle break, poi sul 6-5 nel tiebreak ho avuto una chance e l'ho sfruttata. È stato un gran match. Sono contento, è positivo aver vinto in tre set contro un avversario così”.
VERSO IL DERBY DEI BALCANI
Le maratone contro Melzer e Querrey, prolungate e spalmate su più giorni per la pioggia e l'oscurità, si sono fatte sentire sulle gambe di JWT. Ma di più han pesato la debolezza ormai cronica dalla parte sinistra e la poca continuità in risposta. In meno di due ore, Djokovic si assicura il 21esimo quarto di finale consecutivo in uno Slam. Il sesto quarto di fila a Wimbledon sarà un altro déjà-vu per Nole che ritrova, come al Roland Garros, Marin Cilic. Un amico che Djokovic ha difeso nel periodo della squalifica per positività alla coramina (anche se nell'organismo hanno riscontrato solo la presenza del suo metabolita, la nicotinamide), ma che ha anche battuto 9 volte su 9. Un avversario, però, che da tanto tempo non sfoderava una prestazione autorevole, finanche autoritaria, come quella che gli ha permesso di dominare Tomas Berdych al terzo turno. “Il fatto che abbia sempre perso contro di me può andare a mio vantaggio dal punto di vista mentale – ha ammesso Djokovic – ma adesso Marin sta lavorando benissimo con Ivanisevic e sta migliorando tantissimo, soprattutto al servizio, che è fondamentale su questa superficie”. Un lavoro che ha pagato anche nell'ottavo contro Jeremy Chardy, battuto 7-6 6-4 6-4, preludio di una giornata in cui i Bleus hanno festeggiato solo per il gol di Pogba alla Nigeria ma hanno perso subito ogni speranza di ripetere il 1991, unico anno con due francesi ai quarti a Wimbledon (Thierry Champion e Guy Forget). Si è visto nei 33 ace totali che il croato ha rifilato al francese, compreso quello di seconda con cui ha cancellato un set point nel primo parziale, nei 59 vincenti a fronte di soli 15 gratuiti, in una gestione mentale della partita molto più solida e serena. Al contrario, Chardy si è incartato in un doppio fallo nel punto che ha chiuso il tiebreak, e poi ha perso il servizio al terzo gioco sia nel secondo che nel terzo set. Nel finale, inoltre, non ha sfruttato due palle break quando Cilic è andato a servire per il match.
DJOKER D'AUTORITÀ
Ogni residua preoccupazione per il dolore alla spalla, conseguenza del “tuffo” contro Simon, svanisce in 25 minuti: tanto basta a Djokovic per chiudere il primo set. Nel secondo Tsonga regge per sei game, poi subisce il break a zero e Nole si invola verso il 6-4 sull'onda di 16 vincenti e appena 3 gratuiti. Se non del tutto giusto, dunque, quasi niente sbagliato (cit.). L'unica timida illusione si materializza e svanisce nel giro di pochi punti nell'ottavo game. Tsonga, avanti 4-3, sale 15-40 ma Djokovic chiude la porta sullo spiraglio di rimonta con un ace e un rovescio dei suoi a seguire un servizio più che robusto. Il pugno alzato verso un pubblico freddino accompagna il punto del 4-4 e racconta di un senso di rivalsa mai del tutto sopito verso i tifosi inglesi che non lo amano a fondo e che, in ogni caso, tifano per il francese perché vogliono almeno un quarto set. Tsonga prova ad accontentarli, tiene a zero nel game successivo, ma gli occhi, il body language non sono gli stessi del 2010, il fuoco che ha condannato Federer a subire la prima rimonta da due set a zero sopra, è sopito, è spento. Non bastano nemmeno i tre ace stampati nel tiebreak. i tifosi devono accontentarsi del brivido finale. La risposta di Djokovic sul match point, sul 6-5, è fulminante. Gli spettatori sul Centrale sotto il tetto già applaudono, la testa di serie numero 1 ha già assunto la posa ieratica dei festeggiamenti, lo sguardo fisso e le braccia aperte, le telecamere indugiano su Boris Becker che si concede un “Wow” tra un battito di mani e l'altro. Ma andando verso la rete, Djokovic si rende conto che Carlos Ramos ha chiamato la palla fuori. La festa, però, è solo rimandata di qualche secondo, il tempo di vedere il verdetto dell'Occhio di Falco che smentisce l'arbitro portoghese. Non ha rimpianti, Tsonga, per l'andamento di un match che l'ha visto sempre nello scomodo ruolo di comparsa. “Djokovic ha servito benissimo e non mi ha lasciato la possibilità di ribattere al meglio – ha detto in conferenza stampa – nel terzo ha cominciato a calare, soprattutto al servizio. Naturalmente sono un po’ deluso per la sconfitta ma ci sono cose positive, sono contento di ritrovare buone sensazioni”. Buone sensazioni che non gli hanno evitato la quarta sconfitta di fila in uno Slam contro il suo peggior nemico.
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