Nel dopo-Federer ci sono sempre loro: Djokovic e Nadal. Maestri dell’unione fra mente e corpo, campioni nel saper vivere ogni istante come se fosse la sola cosa importante. E guardateli mentre affrontano un matchpoint
Proviamo a entrare finalmente nel dopo Roger, almeno per iscritto.
Il modo meno triste per cominciare a farlo mi pare quello di accompagnarci alle altre due persone della trinità tennistica degli ultimi due decenni: Rafa e Nole, ancora saldi protagonisti alle Finals di Torino, restii a lasciare il passo a giocatori ben più giovani. Ha scritto recentemente il Direttore: “Se Federer è stata l’Eleganza, Nadal e Djokovic hanno declinato un talento non inferiore con stili diversi, Grinta e Ritmo, regalando in maniera diversa un’anima al corpo: la forza del Cannibale, l’elasticità dell’Uomo di Gomma”.
Anima e corpo. Questo binomio, caro alla tradizione del pensiero occidentale fin da Platone, sui campi da tennis trova una raffigurazione plastica unica dal punto di vista sportivo. Corpo e anima-mente-spirito devono andare a braccetto: qualche distrazione seppur brevissima, in una delle due componenti finisce per incidere negativamente sull’intera partita, sul torneo, potenzialmente sulla stagione. Dunque sulla vita. Da sempre Nadal e Djokovic danno prova di enorme unificazione psico-fisica. Grazie a questa forza, hanno ribaltato partite già date per perse, incutendo timore reverenziale negli avversari (anche in Roger, ahimè!). E quando si sono trovati su uno stesso campo da gioco, hanno dato vita a battaglie infinite, dove l’uno rifiutava letteralmente di cedere all’altro. Un match per tutti, la finale degli Australian Open 2012: 5 set durati quasi 6 ore, dove i due hanno spinto la resistenza oltre i limiti umani, alle soglie dell’autolesionismo.
Nella tradizione spirituale ebraica, erede della riflessione biblica, brilla fulgido un piccolissimo capolavoro che tutti nella vita dovrebbero leggere almeno una volta (e a quel punto non lo si abbandona più…): Il cammino dell’uomo, del filosofo Martin Buber. Scrive l’autore a proposito di quella che, commentando una storiella di una corrente ebraica mistica (il chassidismo), definisce risolutezza: “Conoscete le leggi del gioco della dama? Primo: non è permesso fare due passi alla volta. Secondo: è permesso solo andare avanti e non tornare indietro. Terzo: quando si è arrivati in alto, si può andare dove si vuole. Ecco le basi dell’‘unificazione dell’anima’. L’anima è realmente unificata solo a condizione che tutte le forze, tutte le membra del corpo lo siano anch’esse: ecco l’uomo intero, corpo e spirito fusi insieme”.
Ma ciò vale anche nella vita quotidiana. Lascio a chi legge di trarre le conseguenze personali, ripensando ai tre passaggi, solo apparentemente banali, elencati da Buber. Mi permetto però di far osservare che questa risoluta unificazione, mai raggiunta una volta per tutte, è l’antidoto più efficace a un nefasto idolo del nostro tempo: il multitasking. Crediamo di guadagnare tempo dedicandoci a più cose contemporaneamente, e invece lo sprechiamo, perché facciamo male ciascuna di esse. In questo il tennis è maestro: impossibile pensare a qualcosa oltre il punto successivo, cioè a quello in cui sono immerso adesso. Anche in una forma crudele: se spreco troppi break point (a Nole è successo contro Rune nella finale di Parigi Bercy di inizio novembre) e soprattutto il match point, cioè un punto – magari, in caso di finale, immaginandomi con il trofeo in mano –, vanifico tutto. Tutto! A un solo punto dalla vittoria si può aprire il baratro della sconfitta.
Una cosa alla volta. Fare con tutto se stessi, con tutte le proprie forze, ciò che ci compete qui e ora. “Credo si debba vivere come se non ci fossero desideri né futuro, ed essere totalmente là dove siamo. È sorprendente allora come gli altri si rivolgano a noi e si lascino dire qualcosa” (D. Bonhoeffer). Guardate la postura fisica e in particolare gli occhi di Rafa e Nole quando si preparano a ricevere un servizio che per il loro avversario significa match point: forse qualcosa nel vostro approccio alla vita cambierà. Perché solo quando si è arrivati in alto, cioè si è imparato ad aderire con tutto se stessi alla realtà, si può andare dove si vuole.