Visti sedici anni di differenza difficilmente il serbo e lo spagnolo daranno vita ad una vera rivalità, ma lo scontro di oggi, al di là delle questioni generazionali, è davvero interessante anche sotto il piano mentale e tecnico

Dovremmo ricorrere a un bravo esegeta per guardare con giusto apprezzamento alla finale tra Djokovic e Alcaraz in programma domani sul Centre Court di Wimbledon. Un’edizione, quella in via di archiviazione, che ha il merito di aver proposto, seppure timidamente, valori nuovi come Christopher Eubanks, Roman Safiullin, Jiri Lehecka e qualcun’ altro di buon potenziale, maturo abbastanza per dire la sua nell’immediato futuro.
Tenendoci per mano, lo studioso ci condurrebbe poi verso il vero significato di un match clou che, in modo frettoloso, tira al seguito i tratti di quell’ avvicendamento generazionale da tempo strombazzato e ancora fortemente respinto da un campione integro di corpo e di mente che miete trionfi in barba alle trentasei primavere da poco suonate. Novak Djokovic, ex bimbo di Belgrado, nonché adulto più unico che raro, non sente ragione e una riflessione circa il suo lungimirante successo racconta di un professionista che trova forza nella cura maniacale della sua persona e che fa della visione di gioco un mantra imprescindibile. Un modo di intendere lo sport, il suo, che potrebbe spostare l’asticella dell’età competitiva dagli ‘enta’ abbondanti dei giorni nostri ai fatidici anta già sfiorati da Federer..
Esattamente il doppio dagli anni attribuiti a Carlos Alcaraz, teenager spagnolo che, forte di tanta giovinezza, mostra esuberanza da vendere ed esprime un tennis come se ne sono visti pochi nel panorama tennistico mondiale, passato o presente che sia. Una più breve esegesi del giovane iberico, racconta che in quel grande potenziale si rintracciano geometrie di Murray, gesti di Federer e tenacia di Nadal. A guardare bene si potrebbero anche scoprire spiccate doti di controllo emotivo e perfetta tenuta del campo, qualità inconfondibili tipiche del suo prossimo avversario.
Difficile pensare che tra i due potrà esserci dualismo, seppure la sfida tra futuro e presente riservi comunque incognite intriganti tutte da gustare. Quanto a risultati, il serbo non teme confronti come inespugnabile sembra il tennis dello spagnolo, pericoloso in ogni angolo del campo.
Solo un giorno sapremo chi dei due è stato il migliore e soltanto allora un’accurata esegesi saprà spiegare questo processo di osmosi in termini più esaustivi.