AUSTRALIAN OPEN – Il serbo sfianca alla distanza un Murray travolto dalle vesciche. Per lui è il sesto Slam, il quarto in Australia. A parte l’ottavo contro Wawrinka, ha dominato.
Agassi consegna a Djokovic la Norman Brookes Challenge Cup
Di Riccardo Bisti – 27 gennaio 2013
Stavolta non c’è stata epica. Niente record di durata, niente scene da wrestling, niente magliette strappate. La vittoria di Novak Djokovic all’Australian Open è giunta così, ruscello più tranquillo tra i sei successi Slam del serbo. Ma fa ugualmente storia perché lo rende il primo tennista nell’Era Open (il terzo di tutti i tempi) e vincere per tre volte di fila l’Australian Open. Una vittoria Slam può essere considerata come successo di routine? Forse no, ma se non ci fosse stato l’incredibile ottavo di finale contro Wawrinka, per Djokovic sarebbe stato tutto facile. Murray l’ha tenuto in campo per oltre tre ore e mezza, ma il carrarmato britannico ha sparato tutte le munizioni nei primi due set. Quando ha perso il tie-break del secondo, si è sciolto nell’umidità di Melbourne e ha lasciato strada a un Djokovic sereno, tranquillo, consapevole dei propri mezzi. Non c’è dubbio che l’Australian Open sia il suo torneo preferito. Lo ha vinto per quattro volte, come capita ai grandissimi. L’ultimo a riuscirci era stato Roger Federer. Prima di lui Andre Agassi, presente in tribuna e ben felice di consegnargli il trofeo. E i grandissimi non si lasciano andare a chissà quali esultanze. Per questo ha esultato con un semplice balletto sotto il suo clan. Roba da poco, per uno come lui. E ha sollevato la Norman Brookes Challenge Cup con un sorriso consapevole e furbetto, forse perché pensava al premio accessorio: 2 milioni e 430 mila dollari. “E’ una sensazione incredibile vincere questo titolo ancora una volta. L’Australian Open è il mio torneo preferito, quello dove ho ottenuto più successi. Amo questo campo”. Non è stata una finale memorabile. Difficile che due grandi colpitori, coetanei e cresciuti insieme, possano offrire uno spettacolo memorabile. Può accadere se si gioca un match di tennis-pugilato, come accaduto a Melbourne dodici mesi fa e in finale a New York.
Il trionfo olimpico e la vittoria allo Us Open hanno cambiato Murray, ma non è mai capitato che chi vince il primo Slam abbia fatto il bis nel torneo successivo. Andy è andato in finale, ma non è mai stato davvero vicino a riuscirci. Eppure si era aggiudicato il primo set, grazie a un pessimo tie-break giocato da Djokovic. Lo ha iniziato con un doppio fallo, lo ha terminato con un brutto errore di dritto e non è mai stato capace di trovare la prima di servizio. Al contrario, Murray le aveva messe tutte in campo. L’altalena è proseguita in avvio di secondo set. Djokovic era sballottato, forse ancor più di quanto non gli fosse accaduto contro Wawrinka. Murray ne ha approfittato, vincendo i primi sette punti (e 14 degli ultimi 16). Ha avuto tre occasioni per prendere un break di vantaggio, ma Djokovic ha radunato le sue forze appena in tempo, invertendo la tendenza che vedeva un bilancio imbarazzante tra colpi vincenti ed errori gratuiti. Fino ad allora, Murray aveva avuto qualcosa in più grazie all’intelligente uso dei tagli e alle notevoli capacità di recupero. Scampato il pericolo, Djokovic ha ripreso contatto nel punteggio e fiducia nel cervello. Il secondo set è stato lo specchio del primo, ma a parti invertite. Si è visto nel tie-break, quando un doppio fallo dello scozzese ha consentito al serbo di pareggiare i conti. Nei precedenti incontri Slam tra Djokovic e Murray si erano visti 35 break. Nei primi due set non ce n’è stato neanche uno.
In avvio di terzo set, Murray ha chiamato il trainer per farsi curare un piede martoriato dalle vesciche. Il plexicushion è più confortevole del vecchio rebound ace, ma è pur sempre una superficie dura. E se giochi come Murray, mettendo a dura prova gli arti inferiori, è normale avere problemi di questo tipo. Ne sa qualcosa un altro maratoneta come Rafa Nadal. Un po’ di spray e una fasciatura lo hanno rimesso in sesto, ma gli equilibri erano ormai cambiati: dai e dai, all’ottavo gioco arrivava il break. Erano passate quasi tre ore, con Murray condizionato dal piede dolorante e Djokovic sempre più scatenato, come un leone che era stato liberato dalla gabbia. Il quarto set è stato un dolce planare verso la vittoria. Murray si era rassegnato, Djokovic era tranquillo al punto da giocare di fino. Un rovescio in rete ha messo fine all’ultima edizione dell’Australian Open. Come detto, per Djokovic è il sesto Slam in carriera. Ha raggiunto Jack Crawford, Tony Wilding, Don Budge (il primo a infilare il Grande Slam), Laurie Doherty, Boris Becker e Stefan Edberg. Nomi pesanti nella storia del tennis. L’impressione è che anche quello di Djokovic possa pesare sempre di più. Anno dopo anno, Slam dopo Slam.
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