Dopo l’esordio vincente contro Nshioka, un Grigor Dimitrov sereno e soddisfatto riflette sul particolare momento della sua carriera  (foto Ray Giubilo)

ROMA – Baby Federer, alias Grigor Dimitrov, non esiste più. Al suo posto c’è un tennista maturo (33 anni il 16 maggio) dal gioco sempre classicamente spettacolare a cui però non interessa più ripensare alle occasioni mancate, alla continuità che sempre gli ha fatto difetto e che forse gli avrebbe consentito di reggere meglio l’urto con i Big Four. Figlio di due ex pallavolisti (il padre Dimitar vinse la medaglia d’argento alle Olimpiadi di Mosca del 1980), Grigor Dimitrov, autentico predestinato della racchetta (campione juniores a Wimbledon e Us Open nel 2008) con il suo magico rovescio a una mano sembrava lanciato a conquistare il regno del tennis, a essere l’erede del grande Roger, appunto, e invece si è dovuto “accontentare” di una gran bella carriera senza acuti clamorosi, a eccezione del trionfo nelle Atp Finals del 2017 – negli Slam tre semifinali, gli manca solo il Roland Garros – e di collezionare più fidanzate (una su tutte, Maria Sharapova) che tornei vinti (9).

Neanche essere tornato tra i Top Ten, a marzo scorso, dopo una bella sfilza di splendidi risultati – quest’anno ha vinto a Brisbane ed è stato finalista a Marsiglia e soprattutto a Miami, dove ha perso con Sinner – sembra scuoterlo più di tanto. «Quando ero giovane era diverso, adesso per me la classifica conta poco, non sento di dover dimostrare niente a nessuno. E’ bello essere tra i primi dieci del mondo, certo, ma a questo punto della carriera mi interessa maggiormente interrogarmi sulla persona che sono diventato, e vi garantisco che il critico più esigente sono io. Potevo fare di più? Io sono orgoglioso di avere giocato nell’era dei grandissimi, i Big Four mi hanno spinto a dare il meglio, a cercare continui progressi».

 

A Roma Dimitrov è spesso uscito troppo presto, solo dieci anni fa è riuscito a issarsi almeno fino alle semifinali. E questo malgrado il popolo di Roma gli abbia dimostrato più volte il suo affetto. «Amo il pubblico di questo torneo, ne sento l’energia, mi sembra di giocare in casa. Quando sono entrato in campo (il numero 12, ndc) c’era una fila incredibile, e poi per me solo applausi. E’ vero, qui ho ottenuto pochi risultati ma mi ricordo tante partite perse sul filo, una 7-6 al terzo set (con Tsitsipas due anni fa, ndc). Certo, spero di arrivare in fondo ma senza mettermi pressione, è inutile. Con Nishioka sono contento di aver vinto in due set, ma ci sono delle cose su cui devo ancora lavorare, lo farò nel giorno di riposo. Nelle ultime settimane non ho giocato molto bene sulla terra (ottavi a Monte Carlo, subito fuori a Madrid, ndc) ma sono fiducioso, sento di stare un po’ meglio in campo. So di avere fatto un bel passo in avanti negli ultimi mesi, soprattutto dal punto di vista mentale, sono consapevole del fatto che se faccio le cose giuste ho le mie chance di vincere ogni partita. Non conosco il mio prossimo avversario, Atmane. E’ giovane, vero? Beh, dopo 15 anni sul circuito mi piace incrociare volti nuovi…», e giù una bella risata.