OLIMPIADI – Di solito è complicato stilare la top-10 di un qualsiasi evento, ma i Giochi di Rio ci hanno letteralmente bombardato di storie da ricordare. Eccole, dai trionfi (diversi) di Murray e Puig fino alle lacrime abortite e quelle sgorgate per davvero. Passando per la rinascita agonistica di un commovente Juan Martin Del Potro.
L’articolo indeterminativo ha un grosso valore. Andy è grande da tempo, da quando ha vinto il suo primo Slam. Però a Rio ha mostrato una qualità che non gli si conosceva: soffrire, vincere anche quando gioca male, quando perde la misura del dritto e lo spara fuori di metri. Vale come un servizio vincente su una palla break. Se il tennis fosse pugilato, contro Fognini e Johnson avrebbe meritato di perdere ai punti. Ma il tennis è tennis (anche se lui ha provato la kickboxing): dopo aver scampato il pericolo, ha tirato fuori il meglio in semifinale e in finale. Oddio, a Wimbledon ci era piaciuto di più, ma in Brasile non c’era Ivan Lendl. Ha vinto 33 delle ultime 35 partite, è imbattuto da 18. E’ il giocatore del momento, non dell’anno: le uniche sconfitte sono arrivate contro Djokovic. E non è un caso.
IL CARNEVALE DI PORTO RICO
Fino a dieci giorni fa, Porto Rico era nota per le spiagge, il cibo…e Ricky Martin. I più attenti, forse, sanno che la popolazione si è espressa favorevolmente per un’annessione agli Stati Uniti. Adesso, Porto Rico significa Monica Puig. Ex fenomeno junior, è la tipica ragazza che in discoteca sarebbe oggetto di commenti contradditori da parte della fauna maschile. A Rio ha trovato un tennis da favola, talmente bello da sembrare finto. Il 6-1 6-1 con cui ha spazzato via la Muguruza vale parecchio, poi si è ripetuta con la Siegemund. Negli ultimi due match, contro giocatrici forti ed esperte, non ha mai tirato indietro il braccio. Le hanno insegnato a picchiare a occhi chiusi (e correre duro...) e la tattica ha pagato. E’ un secondo caso Massu? Il rischio c’è, ma è più giovane del cileno (che ad Atene aveva due anni in più) e vanta una migliore polivalenza. Chissà se sarà in grado di gestire l’improvvisa popolarità.
RAGAZZO D’ARGENTO
La canzone di Michele Zarrillo era declinata al femminile, ma il cantautore romano non si lamenterà di questa licenza: “Palito” è stato il protagonista assoluto del torneo maschile, ancor più di Murray, sin dal primo turno contro Djokovic. La vittoria sul serbo ha commosso per il carico di sofferenze che si portava dietro, tra operazioni e dubbi di vario genere. Qualcuno sostiene che un Del Potro senza infortuni avrebbe vinto almeno cinque Slam. Non sappiamo. Però sappiamo che il tennis ha ritrovato un grande protagonista, capace di emozionarsi e di arrampicarsi in tribuna per abbracciare i suoi amici. La sua avventura ha persino fatto passare in secondo piano la dolorosa assenza di Federer….
GLI OTTO GAME D’ORO DI FOGNINI
Se Fabio non si fosse fatto innervosire per quella chiamata sbagliata, sul punto che gli avrebbe dato il 4-1 nel terzo set contro Murray, oggi racconteremmo una storia diversa. E i musi lunghi dell’Italtennis, chissà, sarebbero sorrisi a 32 denti. Quando trova il suo livello, Fabio è uno spettacolo per gli occhi. Murray ha giocato col terrore negli occhi, chissà da quanto tempo non incassava quattro break di fila. Quando Fabio prende l’iniziativa col dritto in avanzamento e poi chiude la volèe, è uno spettacolo. La sconfitta resta dolorosa, anche per come è andata a finire, ma per mezz’oretta abbiamo goduto.
SERENA PIANGE IN CAMPO, POI SI CONTIENE
La Restaurazione di Wimbledon è durata poco: Serena Williams è uscita al terzo turno del singolare contro Elina Svitolina, una che dovrebbe “mangiarsi a colazione” (come peraltro dimostrato dalla Kvitova al turno successivo). E’ franata in un mare di errori e ha commesso la cifra record di cinque doppi falli in un game. La sua Olimpiade è stata un disastro, poiché è uscita anche al primo turno del doppio. Salvo problemi fisici a noi sconosciuti, un rendimento inspiegabile in virtù dell’importanza che rivestono, per lei, i Giochi Olimpici. La wild card accettata a Cincinnati è un segnale positivo: vuol dire che la motivazione è ancora alta. Contro la Svitolina ha piagnucolato sul campo, ma all’uscita si è contenuta: l’aveva già fatto Djokovic, non poteva imitarlo. Un po’ come McEnroe nel 1981, quando evitò in extremis di inginocchiarsi sul campo dopo aver battuto Borg: non poteva mica fare come il nemico…
ATMOSFERA COSI’ COSI’
Pare che parecchie sessioni fossero sold-out, ma l’atmosfera vissuta quattro anni fa a Londra era un’altra cosa. Fino alle fasi finali, gli spalti si sono riempiti soprattutto quando giocavano i brasiliani. I giocatori ci tenevano, ci mancherebbe, ma l’aria da grande evento è un’altra cosa. Troppi match in poco tempo (c’è chi doveva giocarne tre in un giorno) hanno allontanato la sensazione che ogni match fosse decisivo. Le assenze di cinque top-10 non hanno condizionato lo spettacolo, però hanno reso meno interessanti gli order of play: sono finiti sul Centrale diversi match che in altri tornei sarebbero rimasti in periferia. E il Centrale non era un granché: studiato con un vecchio design, era coperto solo da un lato e nel primo pomeriggio creava disastrosi effetti visivi tra luce e ombra. Insomma, non è stato un successo.
L’AMERICA SI SALVA IN CORNER
Nel tabellone più importante sono stati un disastro (non poteva essere altrimenti, visto che hanno concesso un viaggio premio, meritato, a Brian Baker), anche se Steve Johnson è stato bravissimo. Però gli americani hanno comunque portato a casa tre medaglie, di cui due con Jack Sock: il simpatico “calzino” ha vinto il bronzo nel doppio maschile (con Johnson) e addirittura l’oro in misto, insieme a Bethanie Mattek Sands. In finale hanno superato l’altra coppia tutta americana, composta da Rajeev Ram e Venus Williams. Volendo credere a quelli che vedono lo stesso valore per ogni medaglia, Sock è stato fin più bravo di Murray o della Puig. Ovviamente non è così, ma complimenti a Babolat che aveva pensato per lui una linea di attrezzatura totalmente a stelle e strisce. Sono stati ripagati da due medaglie.
LA RABBIA SILENZIOSA DI HORIA TECAU
Ha vinto un argento e lo ricorderà per sempre, ci mancherebbe. Però Horia Tecau avrebbe meritato di più, nella finale del doppio maschile. E’ stato il migliore in campo, ha provato a rimediare agli errori di Florin Mergea (che in piena erezione agonistica accettava lo scambio da fondo contro Rafa Nadal), ma quando il traguardo era ad appena due game, gli spagnoli hanno insistito sul suo compagno e hanno trovato un bancomat di errori gratuiti, fino a scippare l’oro al povero Horia, un tizio impeccabile, che parla poco e sorride ancora meno, ma che conosce l’arte del doppio come pochi altri. Per come ha giocato, l’oro lo avrebbe meritato lui. Nessuna consolazione nel misto, dove Irina Camelia Begu non è una compagna all’altezza. A Tokyo 2020 avrà 35 anni, forse ci sarà ancora, ma l’impressione è che il treno buono sia passato in Brasile.
ERRANI-VINCI, STAVOLTA E’ ANCHE UN PO’ COLPA VOSTRA
Erano il doppio più forte del mondo, di sicuro sono la coppia italiana più forte di sempre. Per questo, forse, Sara e Roberta hanno pensato che un solo torneo di preparazione fosse sufficiente per ritrovare alchimia e meccanismi. Purtroppo non è così, e i limiti sono emersi nei quarti contro Safarova-Strycova, coppia buona ma non certo imbattibile. Spiace dirlo, ma perdere dopo essere state avanti 6-4 3-0 è un harakiri agonistico. La delusione è ancora più grande dopo aver visto un buon feeling umano, sul quale si nutriva qualche dubbio. Niente affatto, è tutto ok. I guai sono arrivati sul campo, dove forse c’erano più certezze. Le lacrime di Sarita sono state un colpo al cuore. Per quello che hanno dato, avrebbero strameritato una medaglia. Ma allo stesso tempo – ed è un paradosso – meritano di non averla vinta per non aver approfittato del KO delle sorelle Williams.
QUALCUNO HA CAPITO CHE DJOKOVIC E’ UN ESSERE UMANO
Chi non ama Novak Djokovic trova due ragioni per criticarlo: in primis, un gioco non così esaltante (o perlomeno non spumeggiante come quello di Federer), in secundis un comportamento che secondo alcuni è finto, costruito, un po’ da “paraculo”. Magari non si sarà conquistato il tifo di tanti detrattori, ma almeno hanno capito che Nole ha dei sentimenti veri. Dopo la sconfitta contro Juan Martin Del Potro ha accettato il verdetto, tributando un bell’abbraccio all’argentino, però mentre usciva al campo ha realizzato ciò che aveva perso. Per lui, cresciuto nel mito dell’orgoglio serbo, dell’aquila, delle tre dita, l’oro olimpico aveva un significato ben più ampio che una casella gialla nel medagliere della Serbia. Nole ha fallito e, per la prima volta da quando è numero 1, affronta una mini-crisi. Per sua fortuna, lo Us Open arriverà tra poco.
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