Per la prima volta da quando nel 1973 è stato inventato il ranking ATP come lo conosciamo oggi, non era mai capitato che a fine anno ci fossero dieci top ten di dieci nazioni diverse. Una netta inversione di tendenza rispetto alle “scuole” del passato. Piangono gli USA: a fine ’79 avevano sette dei primi dieci del mondo, oggi per trovare uno statunitense bisogna scendere fino a Isner (n.19).Il finale in volata ha messo la ciliegina sulla torta a forma di 2016 del circuito ATP, premiando un Andy Murray che ha reso possibile l’impossibile, spodestando Re Djokovic dalla prima poltrona della classifica mondiale. Eppure, udite udite, non è il cambio al vertice la più grossa novità nel ranking ATP di fine stagione. Per la prima volta dal 1973, da quando a diramare settimana dopo settimana la classifica mondiale ci pensa il computer, non era mai capitato che nella top ten di fine anno fossero rappresentate dieci nazioni diverse. Il record non era nemmeno di nove, bensì di otto, raggiunto in otto occasioni nella storia (1993, 1996, 1999, 2007-2010 e 2014) ma mai superato fino a lunedì. Il vento di cambiamento si era percepito già alle ATP Finals, con un’edizione con otto Paesi diversi che non si vedeva dal 1974 (e sarebbero poi diventati nove grazie all’innesto di David Goffin al posto di Gael Monfils), e ora ecco il ranking dei record, da consegnare alla storia. Dieci su dieci: da Gran Bretagna e Serbia fino a Spagna e Repubblica Ceca, passando per Canada, Svizzera, Giappone, Croazia, Francia e Austria. Ma anche undici su undici, visto che immediatamente alle spalle dei primi dieci c’è la bandiera belga, sventolata da David Goffin. E se Nick Kyrgios, numero 13, non avesse buttato via qualche match di troppo, oggi davanti a Jo-Wilfried Tsonga ci sarebbe lui, a rendere ancor più difficile da replicare il risultato raggiunto per la prima volta il 7 novembre – data dell’uscita dai primi dieci di Roger Federer dopo 14 anni e della promozione di Murray a numero uno – e confermato nelle due settimane successive.
 
Al di là dei freddi numeri, il dato statistico è utile per sottolineare la netta inversione di tendenza rispetto alle classifiche di una volta: non ci sono più le varie “scuole” a piazzare tanti giocatori fra i primissimi, come quella australiana, gli statunitensi, gli svedesi degli Anni ‘90, la mitica “legiòn” argentina di una dozzina d’anni fa o gli spagnoli del passato più recente. Il caso più eclatante di cambiamento rispetto al passato è quello degli Stati Uniti: hanno avuto almeno quattro giocatori fra i top ten di fine stagione per vent’anni, dal 1976 al 1995, con il record assoluto firmato nel ’79, quando sette (!) dei dieci migliori al mondo erano statunitensi: Jimmy Connors, John McEnroe, Vitas Gerulaitis, Roscoe Tanner, Arthur Ashe, Harold Solomon ed Eddie Dibbis. Ma poi, anno dopo anno, le bandiere a stelle e strisce hanno iniziato a calare. Prima il solo Pete Sampras, che per un po’ ha nascosto il problema dominando il Tour, e Agassi, poi Agassi e Roddick, quindi appena Roddick, poi un anno Fish (2011) e poi ancora l’addio definitivo alla top ten nel 2012, per la prima in quasi quarant’anni di storia. Gli americani sono comunque terzi in un ipotetico ranking per nazioni, calcolato sommando le classifiche dei primi tre giocatori del Paese, e addirittura primi nel combined fra maschi e femmine, grazie al primo posto nelle femminile garantito dai piazzamenti delle sorelle Williams e di Madison Keys. Ma per trovare il primo connazionale a livello ATP devono scendere fino alla diciannovesima posizione di John Isner.
 
Per non parlare della Svezia: negli anni d’oro è arrivata anche a contare su tre top-ten, mentre oggi il primo svedese è un… africano: Elias Ymer, ventenne numero 161 ATP, figlio di un ex podista etiope emigrato al nord, e fortunato a incontrare Magnus Norman. Da quando Robin Soderling ha detto basta non è più una novità, ma vale la pena rimarcarlo: la Svezia, che negli Anni ’90 sfornava campioni su campioni, non fa parte delle 36 nazioni rappresentate fra i primi 100 del mondo. Lussemburgo, Cipro, Tunisia, Lituania, Kazakhstan, Moldavia e Georgia sì, loro no, relegati fra gli altri 54 Paesi a vantare almeno uno dei 2.107 giocatori presenti nell’attuale ranking ATP. Chi c’è in testa lo sanno tutti, chi c’è in fondo se lo chiedono in tanti: la risposta è Yurii Dzhavakian, 23 anni, ucraino. Condivide un solo punto ATP con altri 460 giocatori, ma a parità di punti fa fede il numero di tornei disputati nel tabellone principale e lui ne ha giocati più di tutti, conquistando un solo incontro in sedici (!) apparizioni. Poco? Già. Ma c’è anche chi non ne ha vinto nemmeno uno.

LA CLASSIFICA ATP DI FINE STAGIONE
LA PRIMA CLASSIFICA ATP: 23-08-1973