Era il 2006 quando lo Us Open, primo Slam di sempre, ha implementato la tecnologia per verificare l’esatto punto di rimbalzo della palla. Non sempre viene utilizzato nel modo giusto, però resta uno strumento indispensabile per garantire la regolarità delle partite. I “challenge” vincenti oscillano intorno al 30%.Tutto è cominciato 25 anni fa, quando John McEnroe ha tuonato una frase che è entrata nella leggenda. “You cannot be serious!” dopo che un suo servizio, sul Campo 1 di Wimbledon, era stato (erroneamente) chiamato out. Una ventina d’anni dopo, proprio lo Us Open era stato teatro di una brutta pagina, con alcune “rapine” ai danni di Serena Williams in una storica sessione serale contro Jennifer Capriati. Adesso è cambiato tutto: l’avvento di occhio di falco ha rivoluzionato il modo di intendere la partita da tennis. Dieci anni fa, lo Us Open è stato il primo a garantire la possibilità di una verifica elettronica del punto, che però a New York vengono chiamati “Chase Review” per far felice uno sponsor. La prima chiamata è stata effettuata da Mardy Fish il 28 agosto 2006 durante un match contro Simon Greul…e aveva torto! Più in generale, i giocatori hanno avuto ragione nel 29,9% dei casi. Come a dire che hanno torto sette volte su dieci. Il dato non sorprende, visto che la possibilità viene spesso usata per disperazione, per riprendere fiato, o magari nella speranza di un errore della macchina (è stato stabilito, infatti, che esiste un margine d’errore di 3,7 millimetri).
LE SFIDE (PERSE) DI ANDY MURRAY
In questi dieci anni c’è stata una serie di passaggi: nel 2008, il numero di challenge (sbagliati) consentiti è passato da 2 a 3, dopodiché la tecnologia è stata implementata su sempre più campi: inizialmente disponibile sull’Arthur Ashe e sul Louis Armstrong, l’hanno aggiunta sul Grandstand (2009), sul Campo 17 (2011) e sul Campo 5 (2014). E’ curioso che il tempo non abbia migliorato l’efficacia delle richieste dei giocatori: l’anno peggiore è stato proprio l’ultimo, il 2015, con un 26,9% di chiamate corrette. La cifra esatta: alla vigilia dello Us Open 2016, ormai giunto al giro di boa, ci sono stati 4935 challenger, di cui soltanto 1477 corretti. La qualità delle richieste rimane sostanzialmente uguale se consideriamo anche i doppi: su 6999 chiamate, 2134 sono andare a buon fine (30,4%). Il giocatore più “capriccioso” è Andy Murray, nel senso che è lui ad aver chiesto più verifiche. Tuttavia, Andy è assolutamente in linea con le statistiche generali: ha azzeccato soltanto il 25,4% delle chiamate. Nel complesso, la possibilità dei “challenge” si è insinuata nelle abitudini di una partita, ma non sempre ha la funzione per cui era stata pensata. Un utilizzo “tattico”, tuttavia, non ne inficia l’utilità. Ad oggi è molto, molto difficile che un match possa essere condizionato da una valutazione sbagliata.
US OPEN – DIECI ANNI DI “CHALLENGE”
2006 – 72 su 226 (31,9%)
2007 – 98 su 320 (30,6%)
2008 – 155 su 481 (32,2%)
2009 – 190 su 650 (29,2%)
2010 – 201 su 724 (27,8%)
2011 – 232 su 775 (29,9%)
2012 – 261 su 865 (30,2%)
2013 – 268 su 894 (30%)
2014 – 277 su 1025 (27%)
2015 – 280 su 1039 (26,9%)
TOTALE – 1477 su 4935 (29,9%)
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