La finale di Vienna fra Sinner e Medvedev ha diviso gli appassionati fra chi apprezza l’intensità degli scambi e chi rimpiange le ‘finezze’ d’altri tempi. Abbiamo chiesto ad Alessandro Merli e Riccardo Crivelli di illustrare i due punti di vista. E voi, che ne pensate?

Non lamentiamoci, sono grandi campioni

di Alessandro Merli*

Un numero 4 del mondo italiano batte due volte di fila il numero 3 ed è in vantaggio 4-3 negli head to head contro il numero 2. Sogno, o son desto? Lasciamo pur stare i confronti con i record di Panatta e Barazzutti e con l’epica di Nicola Pietrangeli (che altrimenti s’arrabbia).

Qui vogliamo parlare del gioco. E allora si sente dire: «Eh, ma questo picchia e basta». «Eh, ma il tennis è un’altra cosa» (detto di solito da commentatori, diciamo, un po’ avanti con gli anni, e mi ci metto in mezzo anch’io). E’ ovvio a tutti che Jannik Sinner non è, e non sarà mai, la reincarnazione del talento di Federer, del tocco di McEnroe, o delle (sottovalutate) volée di Nadal.

Intanto però ha fatto enormi progressi anche tecnici (basti pensare alla prima di servizio) e poi picchia e picchia, ma sta anche provando a usare una maggior varietà di colpi e persino (con alterno successo) ad andare a rete. E poi Sinner gioca il tennis di oggi, con gli attrezzi di oggi, la preparazione fisica di oggi e gli avversari di oggi. Certe nostalgie per il “vero tennis” di ieri, o dell’altro ieri, per non parlare di quello del passato remoto, spesso vengono anche a me, ma proprio non reggono e non sarebbero giuste verso lo stesso Sinner.

Gli ultimi risultati dimostrano che un grande salto di qualità l’ha fatto. Il prossimo sarà quello da fare negli Slam, e, chissà, già nelle Finals di quest’anno. Nel frattempo, però, cerchiamo di non lamentarci troppo del brodo grasso.

*Alessandro Merli è stato a lungo inviato del Sole 24 Ore e ha seguito Wimbledon dal 1986

E’ un tennis moderno, ma freddo

di Riccardo Crivelli*

Sinner ha trionfato a Vienna, evviva Sinner. Ma l’ebbrezza per la vittoria e la consapevolezza di aver finalmente trovato un campione con prospettive Slam non dipana il quesito esistenziale che attanaglia l’appassionato: davvero una finale come quella tra Jannik e Medvedev, un braccio di ferro di tre ore a chi tira più forte, un’esibizione muscolare più che di talento, può scaldare i cuori?

Premesso che il tennis, tra nuove attrezzature, omogeneizzazione delle superfici, atletismo sempre più esasperato, è ormai direzionato verso un destino da tiro al bersaglio e che in ogni caso meritano ammirazione due campioni capaci di giocare colpi a dieci centimetri dalle righe a velocità supersoniche e per un tempo prolungato, un’esercitazione al poligono non rappresenta esattamente la prestazione sportiva che ti tiene avvinghiato alla poltrona.

Non si tratta, ovviamente, di rimpiangere le carezze al volo di McEnroe o ancor di più gli inimitabili gesti bianchi di Federer: piuttosto, si rimane sconfortati dall’assenza quasi totale di un piano di riserva. Ovvero, o sfondi l’avversario o non ottieni il punto in altro modo, salvo qualche estemporanea palla corta per non dire qualche sporadica soluzione a rete. E un tennis che offre ormai solo sparuti eroi della soluzione alternativa, sarà moderno ma certamente freddo come il ghiaccio.

*Riccardo Crivelli è un giornalista della Gazzetta dello Sport e segue da inviato diversi sport tra i quali il tennis