Amante degli animali, aspirante chef, Alex ha sempre avuto fama di tennista un po’ pazzo, ma quest’anno sembra aver trovato la chiave giusta. E contro Tsitsipas, nella sua prima grande finale, è in caccia di rivincita.

Il segreto è nella mente

La Spagna del tennis è una catena di montaggio, da Santana a Nadal una filiera quasi ininterrotta, ma alzi la mano chi a Monte Carlo si aspettava che la rivelazione sarebbe stato Alejandro Davidovich, n.46 del mondo prima del torneo (ma n.27 virtuale da oggi e top 20 in caso di vittoria) che dopo aver battuto al primo turno il numero 1 del mondo Novak Djokovic ha superato anche Taylor Friz, il rinato Grigor Dimitrov e domani incontrerà nella sua prima grande finale Stefanos Tsitsipas. Con cui proprio a Monte Carlo ha perso l’anno scorso nei quarti di finale. Da dicembre Alex sta lavorando molto di vista mentale, e i risultati si vedono. «Dall’inizio di questa stagione ho perso un sacco di partite che avrei dovuto vincere», racconta. «La chiave è continuare a credere in me, continuare a spingere. Non importa il risultato. Non importa se salgo o scendo in classifica. Devo solo godermi ogni momento e giocare ogni palla. Tsitsipas? Qui l’anno scorso forse non era il mio momento. A Rotterdam ci sono andato vicino. Ho avuto le mie chance. Dopo questa settimana sono davvero pronto e mi godrò ogni momento. Non importa chi vince».

Alex è nato a Malaga, in Andalusia, e da quando aveva 10 anni si allena con Jorge Aguirre, titolare della Academia Just Tennis che si trova all’interno del complesso Don Carlos Tennis & Sport Club di Marbella. In apparenza uno spagnolo atipico, a partire dall’aspetto, frutto dei cromosomi russo-svedesi, per arrivare al tipo di gioco, che però si sente spagnolo al 100 per cento.

« I miei genitori sono russi e svedesi (mamma Tatiana russa, papà Edvard russo-svedese, si sopo separati quando Alex aveva 10 anni, ndr). Io parlo il russo… ma lo svedese no. Sono nato in Spagna, non mi sono mai mosso da lì. Mio padre è stato un pugile professionista. Non voleva che facessi boxe anch’io: aveva paura che mi picchiassero. Così mi ha insegnato a giocare a tennis, ed è stato il mio primo allenatore. Ho iniziato che avevo due anni, e la racchetta era più grande di me…».

Di animo gentilissimo, adora gli animali e ha anzi lanciato un sito (adoptas.org) e una campagna per contrastare il fenomeno dell’abbandono degli animali domestici. Questo non gli impedisce di coltivare un granno di follia. «Di carattere sono iperattivo, mi piace fare tante cose, e quindi in campo sì, sono un po’ pazzo. Anche nello stile di gioco, non assomiglio agli altri spagnoli, che sono più solidi e giocano soprattutto da fondo, io sono più aggressivo, mi piace andare a rete. Forse è il mio lato russo…».

Un tatuaggio misterioso

Nel 2018, dopo aver vinto Wimbledon under 18 e aver raggiunto il n.2 del mondo fra gli juniores, ha rischiato di perdersi poi l’ingresso nei top-100 gli ha regalato serenità. Numero 32 in carriera nel 2021, l’anno in cui ha sconfitto Berrettini proprio qui a Monte Carlo raggiungendo per la prima volta nei quarti, bissati poi da quelli al Roland Garros, è stato due volte in semifinale all’Estoril. Prima di batterlo, con Djokovic si è spesso allenato con Djokovic, specie durante la pandemia quando il n.1 del mondo ha preso casa a Marbella. «Amo giocare sui campi importanti, contro avversari forti: più gente c’è a vedermi, più mi esalto. E quando faccio un bel colpo mi piace che tutti si alzino in piedi e applaudano come matti. Djokovic mi ha fatto imparare tantissimo nelle due ore che facevamo ogni giorno, durissime, colpendo tutte le palle al massimo. Allenarmi con lui mi ha aiutato a capire a che punto era il mio tennis». In Italia ha giocato spesso, anche se all’inizio il rapporto sembrava stregato: «Ho giocato molti Challenger in Italia, ma all’inizio non ingranavo: non vincevo mai una partta da voi, così avevo fatto una croce sopra all’Italia. Ma era colpa mia. Da quando nel 2019 in finale con Lorenzo Sonego nel Challenger di Genova le cose sono migliorate ». Di Sonego, fra l’altro, è amico:«Sì, nella finale del Challenger di Genova, Io avevo quasi vinto, poi lui ha rimontato, insomma siamo stati in campo tantissimo. Alla fine ero distrutto, sia per la stanchezza sia per la delusione, Lorenzo è venuto da me per rincuorarmi e da lì è iniziata la nostra amicizia». Tifoso del Real Madrid, è anche un appassionato di cucina: «Non seguo Master Chef o gli altri programmi simili in tv, mi piace più che altro sperimentare di persona. Ho anche sperimentato il sushi. E’ un hobby che mi rilassa, mi aiuta a sconnettermi con il resto». Sul braccio, infine, ha un tatuaggio misterioso che rappresenta uno Tsunami, e al centro la scritta «Vacet». «Nessuno sa cosa. Ogni lettera è l’iniziale di una parola, e tutte insieme formano una frase. Ma è un segreto, la conosco solo io…».