La Bosnia è entrata nella geografia del tennis grazie a Damir Dzumhur, orgoglioso 23enne che ha acciuffato il terzo turno a Parigi e adesso sfida lo svizzero. Nel suo paese ci sono pochi campi e ancor meno soldi. “Grazie a mio padre e ad Alberto Castellani”. 

Per la prima volta nella storia, un giocatore con il passaporto bosniaco acciuffa il terzo turno del Roland Garros. Non sarà la prima in assoluto in uno Slam, poiché Damir Dzumhur aveva ottenuto lo stesso risultato 18 mesi fa in Australia, quando arrivò a Tomas Berdych e incassò i complimenti di Novak Djokovic. Ma a Parigi sarà un'altra storia, perchè oggi sfiderà Roger Federer sul Campo Chatrier. Il suo idolo, sulla sua superficie preferita. Damir adora lo svizzero da tempi non sospetti, da quando lo vide battere Andy Roddick nella semifinale di Wimbledon 2003. Da allora, una fede senza pause. “Probabilmente è il più grande di sempre, sono davvero contento di poterlo affrontare” ha detto il ragazzo di Sarajevo, il cui legame con la Bosnia va oltre il passaporto e i colori della bandiera. Oggi ha 23 anni ed è numero 88 ATP, ma ha dovuto fronteggiare più ostacoli di tanti colleghi. Prendiamo Marin Cilic: nato a Medjugorie, la città delle apparizioni della Madonna in territorio bosniaco, gioca fieramente per la Croazia. Così come Ivan Dodig. C'è poi Amer Delic, che ha sentito il richiamo della patria solo dopo aver rappresentato gli Stati Uniti per mezza carriera. Ed era americano nel 2009, quando colse il terzo turno allo Us Open. Dzumhur è nato nel maggio 1992 a Sarajevo, in un ospedale pediatrico non troppo distante dalla Zetra Olympic Hall. Otto anni prima, Sarajevo aveva ospitato una bella edizione dei Giochi Invernali, ma in quei giorni era l'epicentro della Guerra dei Balcani, da cui è partita la disgregazione della ex Jugoslavia. Quando Damir è venuto al mondo, l'impianto olimpico era distrutto. Ma l'hanno rimesso in piedi ed è lì che ha iniziato a giocare sotto la guida di papà Nerfid. Non è stato facile, non lo è nemmeno oggi, ma lui è fiero delle sue origini. “Sono felice di provenire da un paese così piccolo ed essere tra i top-100 ATP. Credo che la Bosnia abbia attraversato un periodo durissimo, ma ne sono venuto fuori. E oggi è bellissimo portarmi dietro la bandiera nei grandi tornei”. Quando era un junior (peraltro bravo: vanta i quarti a Wimbledon Under 18) gli è arrivata un'offerta dalla Croazia. “Ma non sono andato perchè ho sempre sperato che un giorno la situazione migliorasse in Bosnia. E non credo che riuscirei a giocare per un altro Paese”.


QUEL CONTRATTO FIRMATO IN ITALIA

Ancora oggi non ha una vera base dove allenarsi, anche se ha sviluppato un importante legame con l'Italia. E' normale: ha attraversato l'Adriatico tanti anni fa per giocare e vincere il Lemon Bowl, maxi-evento giovanile di inizio anno, mentre adesso fa base a Roma con Alberto Castellani, il coach-filosofo che ha saputo creare tanti ottimi giocatori. Purtroppo per noi, quasi soltanto stranieri. Damir non esclude di trovarsi una base in Croazia o in Serbia, dove il tennis è molto popolare. A suo dire, in Bosnia ci sono tanti talenti ma lo sport non è la priorità del governo e delle istituzioni. “Sfortunatamente non c'è nessuno dietro di me che possa ottenere gli stessi risultati. Spero che possa emergere qualcuno”. Il grosso problema è che nessuno supporta il tennis. Gli aspiranti campioni devono fare tutto per conto loro, se sono fortunati con l'aiuto della famiglia. Ed è per questo che Damir ringrazia a vita il padre, che ancora oggi definisce il suo “primo coach” mentre Castellani è il “secondo”. Ma poco importa. Semmai l'Italia è stata importante anni fa, quando un soggetto della nostra federazione lo avvicinò e gli offrì un contratto con Wilson. Lui era un ragazzino e accettò: per questo, ancora oggi, utilizza il marchio americano. “Non perchè è la stessa marca di Federer”. Per qualche tempo è stato sponsorizzato da un'azienda farmaceutica americana, ma l'hanno lasciato a piedi. Per sua fortuna, adesso c'è BH Telecom, la principale compagnia telefonica del suo paese. “Sono stati gli unici ad avermi davvero dato una mano negli ultimi tre anni. E non mi aspetto che adesso ci sia la coda per sponsorizzarmi. Ma va bene così, sono abituato a fare tutto da solo”. Come quando, da piccolo e con il solo aiuto del padre, si pagavano le ore di allenamento e hanno messo il piede fuori dal paese senza un briciolo d'esperienza. “Mio padre era stato un buon coach, ma soltanto in Bosnia, quindi abbiamo imparato insieme come funzionano le cose”. Di certo meglio che a Sarajevo, dove a fine aprile i vari campi da tennis avevano ancora i palloni pressostatici e non trovava un posto dove giocare all'aperto. E ci sono quasi esclusivamente campi in cemento.


FIGLIO DELLA GLOBALIZZAZIONE

Eppure Damir ha saputo fronteggiare ogni difficoltà, forte di un talento fuori dal comune e tanta voglia di crescere, giorno dopo giorno. “Il talento è una piccola cosa da cui partire, ma poi devi costruirti tutto il resto”. Campione Europeo under 16 e under 18, ha portato avanti il suo progetto fino a diventare un ottimo giocatore. Forse non ha trovato il supporto delle istituzioni, ma ha quello della gente. Il tennis è diventato molto popolare in Bosnia, e spesso trova i suoi connazionali in giro per il mondo, pronti a sostenerlo. E' successo l'anno scorso in Australia, quando hanno creato un clima da stadio nel derby balcanico contro Dodig, che peraltro “è un buon amico e mi ha aiutato nei miei primi passi nel tour”. Anche Roger Federer, che oggi punta a tenerlo a distanza, gli ha dato il benvenuto. “Negli ultimi anni abbiamo visto diversi giocatori provenire da piccoli paesi: prima Svizzera e Serbia, adesso Bosnia e Cipro. E' una buona cosa, ha permesso alla classifica di essere più varia. E' un fenomeno interessante, il mondo è diventato sempre più globale e mi fa piacere che il tennis abbia raggiunto piccoli paesi. Non conosco molto bene Dzumhur, potrei dire di non averlo mai visto giocare”. Chissà se almeno Edberg o Luthi gli hanno dato qualche dritta. Perchè Federer è (molto) più forte, ma contro un ragazzo così orgoglioso dovrà stare attento. Chi è cresciuto alla scuola della fatica va sempre preso sul serio.