Dove i campioni arrivano in affanno, i fuoriclasse trovano la chiave per salire ancora di livello

foto Ray Giubilo

«Quando penso di essere al massimo», diceva Ayrton Senna, «sento anche di poter andare oltre». Parole uniche, adatte a dipingere perfettamente il fresco vincitore degli Us Open. Sembrerebbero l’uovo di Colombo, se non riflettessero fedelmente il pizzico di follia che assale i fuoriclasse lí dove campioni, anche incalliti, arrivano in affanno.
Eccola, la vera forza di Jannik Sinner: saper salire in cattedra nell’attimo stesso in cui noi normali pensiamo che i margini di crescita siano ridottissimi. Frangenti in cui, invece, esce nell’atesino l’aquila che è in lui, capace di salire lì dove spiritelli spennacchiati tirano il freno ancor prima di incontrare il rischio, o vanno troppo oltre affidandosi alla clemenza della dea bendata.
Nel felice epilogo di questo major newyorkese, il campione che il tennis ci ha regalato in sorte non ha esitato a mettere in gioco i propri limiti, per abbatterli di volta in volta e scoprire che oltre lo steccato ci sono sempre cose nuove da provare. Una mentalità coi fiocchi, riconosciuta a un leader conclamato, capace di carpire l’attimo fuggente con accelerazioni lungolinea o diagonali disegnate sul campo alla velocità del suono.
«Vincere senza rischi è come trionfare senza gloria», diceva ancora il pilota brasiliano. Parole sante, che evocano quanto di meglio ha saputo mostrare l’asso della Val Pusteria in questo slam nordamericano, condotto con l’audacia giusta per pensare a un plauso postumo dello sfortunato asso della Formula Uno.