Australiano di base in Texas, è entrato nel team Djokovic come Strategy Analyst. In buona sostanza, grazie al programma Dartfish, seleziona ogni aspetto tattico di migliaia di match ed è in grado di aiutare un giocatore a sviluppare la tattica ideale. «E se Federer avesse lavorato con me, ora sarebbe avanti nei confronti diretti con Nadal»Craig O’Shannessy è un tizio che mutua il tennis con la lente d’ingrandimento dei numeri. È australiano ma vive a Austin, Texas: coach e giornalista, a osservarlo pare un filo svitato. Stats, le chiamano gli anglofoni e le maneggiano con rispetto oracolistico, pressoché sconosciuto fino a poco tempo fa nel tennis. Eppure, il gioco si presterebbe assai al mondo statistico: basti pensare che si parte sempre da un colpo giocato da fermo – il servizio – e si sviluppa quasi sempre con degli schemi fissi. Chiedere, ad esempio, a Rafa Nadal che dell’angolo esterno da sinistra ne ha fatto una maledetta condanna, per gli altri s’intende. In una palla break l’avversario è certo del tipo di esecuzione che lo attende, eppure il più delle volte rimane inerme.

Quello di Rafa, tuttavia, è un caso raro così come il suo talento: quando si ha una base dati sufficientemente ampia, si è in grado di sfruttarla a proprio favore limitandosi – si fa per dire – alla mera osservazione del passato. «Bisogna conoscere il passato per capire il presente e orientare il futuro» diceva Tucidide prima di Cristo, mentre il mago delle stats O’Shannessy, rilancia con un altro Cristo, quello del tennis: «Se avesse lavorato con me, Federer sarebbe avanti nei confronti diretti con Nadal, di questo sono sicuro al 200%». Il nome di questo australiano è diventato mainstream nel dicembre scorso, ovverosia da quando niente meno che Novak Djokovic ha reso nota la collaborazione che O’Shannessy tiene a precisare essere «esclusiva, al momento». Oltre a ciò che fa – ormai quasi tutto scribacchiato da quando è spuntato il suo nome accanto a quello del campionissimo serbo – è piuttosto interessante tratteggiare il tipo di personaggio, addirittura caricaturale.
Un nerd prestato al tennis. E così uno se lo immagina con gli occhiali spessi e le lenti che deformano il viso, il fisico ingobbito di chi si prona sul pc per una decina d’ore al giorno e l’aria un po’ da sfigatello cucita addosso – secondo cliché – a ogni smanettone informatico. Macché! Nulla di tutto ciò. Craig ha la pelle bruciacchiata dal sole, le gambe pallide fino a metà polpaccio – nell’ambiente segno inequivocabile di chi trascorre tante ore sul campo – e gli occhi quasi costantemente spalancati a metà tra lo stralunato e la presa in giro. Già, perché acchiapparlo in momenti di serietà mentre si aggira con passo molleggiato in sala stampa è impresa ardua. Sembra che per lui la vita sia un perpetuo prendersi alla leggera: scherza, ride, irride, a volte esagera col vino e questo a volte è un avverbio gentilmente democristiano.
«Sono cresciuto in Australia dove giocavo a tennis, poi mi sono trasferito negli Stati Uniti, alla Baylor University in Texas. Dopo essermi laureato in giornalismo, mi sono trovato a un bivio: fare il giornalista o il coach di tennis. Si può dire che ho percorso entrambe le strade e anche nessuna delle due», dice O’Shannessy. Poi nel 2005 è arrivato Dartfish, un sistema integrato di videoanalisi che gli ha cambiato la carriera e, quindi, la vita. Craig non ha inventato Dartfish ma è si è fatto pioniere di tale sistema applicandolo al mondo del tennis: «Sono stato il primo a creare i tag per il tennis su Dartfish – afferma con fierezza –. Creavo dei report completi dei match e da lì potevo estrarre ciò che volevo: errori di rovescio, dritti vincenti, prime di servizio al centro, a uscire». Quello creato da O’Shannessy è un metodo vincente – parola sua – e lo è su tutti i palcoscenici perché se è facile verificare quante seconde di servizio di Federer sono esterne, un po’ meno lo è a bassi livelli o addirittura quando giocano i bambini. «Il concetto è il medesimo, i risultati che si possono trarre e le strategie da adottare pure. I professionisti hanno altri numeri, imprimono diverso spin, raggiungono velocità molto più elevate, ma il fine da perseguire è esattamente lo stesso. Lavoravo coi bambini piazzando una telecamera a fondocampo e, terminata la partita, tutto ciò che dovevo sapere era sul mio pc».

Il successo bussa sette anni dopo l’incontro con Dartfish – che O’Shannessy tratteggia come fosse un essere umano – e in parte lo deve a quel Master in giornalismo conseguito all’università. «Nel 2012 il New York Times mi ha chiesto delle informazioni sulla tattica del servizio per una preview in vista dello US Open. Lì ho unito le due strade di cui parlavo prima: il giornalismo da una parte e l’attività di coach dall’altra. È lì che sono arrivato al grande pubblico perché ho detto al NYT che avrei fornito le informazioni che avevo, ma loro avrebbero dovuto farmi scrivere la mia storia. E io ho scritto che capivo chi avrebbe vinto e soprattutto perché avrebbe vinto».
Nella sala stampa di Monte-Carlo che si sviluppa in verticale, come fosse una piccola aula universitaria, O’Shannessy siede in prima fila, ma è tutt’altro che un secchione. Tutti lo conoscono e si aspettano faccia qualcosa di strambo, attese quasi sempre premiate. Cambia espressione facciale a ritmi bipolari, un po’ come quegli artisti di strada che sorridono e poi, passandosi la mano davanti al viso, tengono il broncio. Beve sempre qualcosa: che sia caffè, una bevanda in cui scioglie vitamine o altro che è meglio non domandare. Vicino a lui c’è il fido collaboratore, Andy Miller: alto, occhi di ghiaccio e una somiglianza sinistra con Johnny Sins, il pornoattore noto come Il Pelato di Brazzers. Andy viene spedito da O’Shannessy direttamente sul campo ad appuntarsi il report del match e, al suo ritorno, entrambi infarciscono il pc di statistiche. È fantastico vederli all’opera: dopo aver battuto Lajovic, Djokovic attendeva Coric al secondo turno e i due si stavano occupando di sezionare ogni punto della partita tra il croato e Benneteau, terminata con un’agevola vittoria di Borna. Alla richiesta di un esempio per testare la profondità del suo archivio digitale, Craig va sulla barra di ricerca interna e digita Schwartzman: già alla w si aprono una quindicina di file divisi per superficie, vittorie o sconfitte, migliori scambi ed errori gratuiti. Uno spettacolo. «Ci si deve preparare analizzando innanzitutto le partite del torneo in corso, e poi a ritroso quelle della settimana prima, gli incontri passati e i confronti diretti» continua O’Shannessy.

Il rapporto con Djokovic si è ufficializzato nel dicembre dell’anno scorso, ma come spesso accade le basi sono state gettate tempo prima: «A inizio 2017, Nole stava cercando uno strategy analyst e ha provato con me. Quando non posso essere fisicamente al torneo, lavoro da casa e gli passo le informazioni necessarie per attuare la strategia giusta. Non mi serve comunicare molto con Novak, parlo più spesso con Vajda». Ora Craig lavora in esclusiva col campione serbo, ma ciò che lo tiene maggiormente occupato è la gestione del suo sito – Brain Tennis Game – dove tra le altre cose vende otto differenti pacchetti: dal «#1 tennis strategy expert in the world»: le lezioni variano dal Game Plan a come giocare i primi quattro colpi di uno scambio, fino a cosa fare tra un punto e l’altro. Il costo varia dai 50 ai 150 dollari, ma per i consigli del numero uno possono considerarsi un buon investimento, anche per il giocatore di club.

Ma per fargli illuminare gli occhi, bisogna spostare la conversazione sulla famiglia: spesso in Europa per i tornei, è un costante andirivieni col suo nido a Austin dove ad attenderlo ha una «splendida moglie», un figlio di undici anni e una bambina di sette. In questi momenti diventa serio, quasi pacato. Ma subito dopo, torna a prendere la vita con leggerezza, sventolando il suo Rolex Submariner d’acciaio con quadrante blu, evidentemente farlocco, con il quadrante troppo grande e la ghiera non proprio di ceramica: «Guarda che bello, solo 100 dollari da un cinese». Però, quando provo a chiedergli di mostrarci una tipica strategia studiata per un match di Djokovic, diventa intransigente: «Vuoi sapere troppo, fuckin’ italian!» mostrandomi il dito medio. Un ultimo sguardo e al medio si è aggiunto l’indice: «Peace, love and happiness». Craig O’Shannessy, il guru della strategy analysis applicata al tennis è fatto così.

Craig O’Shannessy è giornalista e coach australiano. Vive ad Austin, Texas, è sposato con due figli. Da allenatore ha seguito ottimi giocatori come Kevin Anderson, Amer Delic, Rajeev Ram, Melinda Czink, Jesse Levine, Brendan Evans e Marcel Ilhan. Poi ha scoperto il programma Dartfish e ha cominciato i suoi studi di match analysis. Dall’anno scorso lavora nel team di Novak Djokovic come Strategy Analyst. Nel suo archivio ha migliaia di match analizzati in ogni aspetto tattico. Inoltre ha un Master in giornalismo e collabora, tra gli altri, con il New York Times. Da non perdere il suo sito braingametennis.com