A sorpresa, Gianluigi Quinzi torna a giocare eventi junior. Sarà a disposizione nell’eventuale fase finale di Coppa Valerio e lo vedremo allo Us Open junior. Come mai questa decisione? all’università.
Di Alessandro Mastroluca – 25 luglio 2014
Il limbo di Quinzi. Mentre Alexander Zverev si gode i benefici del primo grande exploit nella sua Amburgo, mentre Coric si illumina dei primi raggi di gloria a Umag, mentre Kyle Edmund, battuto da Quinzi sulla strada del trionfo a Wimbledon, raggiunge la semifinale al challenger di Astana, l'azzurro aiuterà l'Italia a difendere il titolo in Coppa Valerio, una sorta di Coppa Davis europea a squadre. Nel girone di semifinale di La Rochelle (30 luglio-1 agosto), oltre all'Italia, partecipano anche Francia, Grecia, Islanda, Romania, Israele e Ucraina. Il capitano Mosè Navarra porterà Filippo Baldi, il romano Matteo Berrettini e il pugliese Andrea Pellegrino. Ma in caso di passaggio alle finali, al Lido di Venezia dal 4 al 6 agosto, avrà a disposizione anche il n.1 ITF d'Italia, che figura anche nell'entry list dello Us Open junior. Al netto dei possibili ritiri, al via a Flushing Meadows mancheranno solo 6 dei primi 48 nel ranking ITF: spiccano le assenze proprio di Alexander Zverev e dello spagnolo Jaume Munar, n.4 under-18. Presenti invece Elias Ymer (n.286 del mondo) e l'americano Jared Donaldson (n.333) che ad oggi sarebbero come Quinzi tra le prime 4 teste di serie, oltre al numero 1 ITF Andrey Rublev, vincitore del Roland Garros junior, e alla “next big thing” del tennis made in Usa, Stefan Kozlov.
TRANSIZIONE COMPLESSA
È una scelta di programmazione, quella di Quinzi, che evidenzia la difficoltà di bilanciare spinte e motivazioni contrastanti in un momento delicato della sua carriera. Quinzi non è più uno junior, non ha più niente da dare o da chiedere a quel mondo, ma preferisce giocarsi le sue ultime carte, i suoi ultimi preziosi tentativi di stupire anche in competizioni di portata ridotta rispetto agli Slam, non ce ne vogliano gli organizzatori della Coppa Valerio: perché? Il trionfo londinese ha esacerbato la discrasia tra la forma e la sostanza, tra le aspettative e la realtà, anche oltre il dovuto. Così adesso i primi inciampi finiscono per apparire come segnali pericolosi. Non c'è dubbio che aver raggiunto un best ranking di numero 301 a 18 anni, nel tennis maschile moderno, non è un traguardo da sottovalutare, ma è altrettanto vero che i progressi tecnici, tattici e di prestazioni non sono ancora all'altezza del lavoro e dei proclami. E se ora non solo Zverev, ma anche Ymer e Chung, che sconfisse in quell'assolato pomeriggio di un anno fa ai Championships, gli sono davanti in classifica, ci sarà un perché: e il cliché degli italiani che maturano tardi non può esaurire i termini della spiegazione. Quest'anno, a livello Challenger, quali comprese, ha vinto 2 partite su 9. Ha perso spesso, anche nei Futures, da avversari meno quotati di lui: 60 62 dal tedesco Richard Becker (n.397) a Kyoto, 61 75 dall'irlandese Sorensen all'ITF di Guangzhou, 76 76 dal cinese Zhe Li (n.643) al Future di Yuxi. Mentre Tatlot e Kokkinakis (più giovani rispettivamente di uno e due mesi) tentavano le qualificazioni al Roland Garros, ha cercato punti e fiducia andando a vincere tre Futures tra Romania e Marocco in cui ha affrontato un solo top-300, il francese Martin Vaisse (n.297). A Wimbledon gli sarebbe spettata una wild card per le qualificazioni, ma si è fermato un mese per sostenere gli esami di maturità. Le ultime settimane parlando di una sconfitta da Dzhumur a San Benedetto dopo aver vinto il primo set, dal serbo Zekic, numero 674 del mondo, al secondo turno di quali al challenger di Poznan, e da Nieminen a Tampere. Una sconfitta, quest'ultima, che può aiutarlo a crescere più di altre, perché gli fornisce la dimensione del lavoro per colmare il gap tra la sua attuale situazione e l'immagine che il pubblico ha di lui, percezione eteroindotta in grado però di influire sugli standard che un giocatore si pone e di generare effetti indesiderati in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi.
UNA RONDINE FA PRIMAVERA?
Il contesto si è complicato ulteriormente, in queste ultime settimane, e si è trasformato in una potenziale fonte di deprivazione relativa, quanto meno percepita così all'esterno: un senso di insoddisfazione che non deriva dal valore dei risultati di Quinzi, ma dal confronto con un gruppo di giovani che per ora gli stanno davanti. Quest'anno l'azzurro non ha mai vinto due partite di fila tra qualificazioni ATP e challenger, e non c'è dubbio che la semifinale ad Amburgo di Zverev (già il più precoce di sempre a raggiungere un quarto ATP dopo Hewitt, Nadal e Federer), o il quarto di Coric a Umag siano risultati incomparabilmente migliori. Sono, però, punte di rendimento ancora isolate, agevolate da una wild card concessa dagli organizzatori, privilegio su cui Quinzi non può contare semplicemente perché a parte Roma l'Italia non ha più tornei del circuito ATP. Ma non si vive solo di inizi, di eccitazioni da prima volta, di quei momenti in cui tutto ti sorprende e niente ti appartiene ancora. E in ogni caso la precocità non è l'unico criterio con cui giudicare le carriere, come insegnano gli inizi di Federer che ha impiegato più anni del previsto a rispettare i pronostici e ottenere successi in linea con le aspettative. Quinzi può, deve, rimanere sereno, deve continuare a lavorare con lo stesso spirito di sacrificio, e non farsi condizionare da pressioni esterne. Ma non basta. Dovrebbe tornare sul percorso di crescita che l'ha portato fino a qui. Gianluigi ha sempre cercato test impegnativi, è andato a giocare ai quattro angoli del globo per sfidare giocatori più forti, più esperti, con la consapevolezza di dover accettare sconfitte formative. Allora perché adesso rinnega questa strada?
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