L’INTERVISTA – Senza perdere la diplomazia, Corrado Barazzutti ha parlato degli argomenti più delicati del presente, del futuro…e anche del passato. “Chiedo scusa per quella volta che…”.

Da Umago, Riccardo Bisti – 30 luglio 2014

 
Non si smette mai di imparare. Corrado Barazzutti l’ha capito a 48 anni di età, quando lo hanno nominato capitano di Coppa Davis (e l’anno dopo di Fed Cup). Sono stati anni intensi, tra polemiche, litigi, sconfitte brucianti che però si sono lentamente trasformate in vittorie, prima tra le donne e poi anche tra gli uomini. Se è vero che in campo ci vanno i giocatori, è innegabile che capitan “Barazza” abbia meriti importanti nella costruzione di un progetto che si è rivelato vincente. Si è preso tante critiche, alcune condivisibili (l’eccessivo attaccamento alla terra battuta, che un paio di volte gli si è rivoltato contro, in certe occasioni una scarsa indipendenza che lo ha portato a sposare le posizioni della FIT piuttosto che quelle dei giocatori), ma se da giocatore lo chiamavano “soldatino” c’era un motivo. Con pazienza, ha rimesso in sesto il puzzle e oggi ha un buon rapporto con tutti, compresi i coach dei giocatori nell'orbita della nazionale. Ascoltando le voci nell’ambiente, capita sempre più spesso di sentire la frase: “Corrado è sempre stato molto corretto”. Dopo quattro titoli in Fed Cup, adesso può finalmente godersi una semifinale anche in Davis. L’avvicinamento a Svizzera-Italia è stata l’occasione per fare il punto sul presente, il futuro e alcune chicche del passato…fino alle scuse per una frase vecchia di 40 anni che continuano a rinfacciargli ancora oggi.
 
Barazzutti, mancano 45 giorni a Svizzera-Italia. Troppo presto per parlare di formazioni e/o favorite, ma che sfida sarà?
Comunque ci avvicineremo sarà difficile, perchè Federer e Wawrinka sono due dei più forti al mondo. Giochiamo a casa loro, hanno scelto la superficie, si giocherà indoor…sarà un incontro pieno di difficoltà. Detto questo, noi andiamo per provare a vincere e fare tutto il possibile. Credo che arriveremo ben preparati: Fabio viene da un periodo senza grandi risultati, ma non potrà che giocare meglio. Poi arriverà preparato anche Andreas. Inoltre abbiamo un Bolelli in gran recupero, che sta giocando bene sia in singolare che in doppio. Questo è un grande conforto. Penso che avremo una squadra in perfetto ordine contro avversari molto forti.
 
Per vincere bisogna portare a casa tre partite: puntiamo ai due singolari su Wawrinka più il doppio?
Credo che ogni incontro sia buono. Giochiamo contro un mostro sacro come Federer, ma i punti potrebbero arrivare da qualsiasi parte. Più che altro speriamo che vengano! Quando la Svizzera giocò contro gli Stati Uniti, in casa, nessuno pensava che Federer potesse perdere, invece…Giocheremo tutti i match, i ragazzi daranno il meglio, e speriamo che possano venire fuori delle sorprese.
 
Detto che scopriremo i singolaristi azzurri solo durante il sorteggio, se Bolelli continua a giocare così può essere un fattore anche per il singolare?
Vedremo. C’è ancora tempo per pensarci, conterà la forma del momento e la capacità di giocare bene in base alla superficie e alle condizioni. Io mi auguro che Bolelli arrivi al meglio, ma lo stesso vale anche per Seppi. Abbiamo bisogno di un tennis di altissimo livello: non basta giocare bene o essere in forma, ci vorrà una performance sopra le loro possibilità. Speriamo che Fabio, Simone e Andreas stiano bene. Quest’ultimo, in particolare, ha già dimostrato di potersi esprimere ad altissimi livelli. Ed è quello che servirà.
 
Una domanda su Fognini, visto che negli ultimi giorni lo ha seguito da vicino. Nessuno le chiede di sostituirsi a Josè Perlas, ma sul piano tecnico cosa le piace e cosa non l’ha convinta dell’ultimo Fognini?
Ci sono delle cose vorrei facesse di più. Ad esempio, che cercasse più spesso il punto con la prima di servizio. O che giocasse una seconda palla più robusta, anche a costo di commettere qualche doppio fallo in più. Mi piacerebbe che curasse un po’ di più la posizione al momento di colpire il diritto, e che lo curasse di più in generale. Potrebbe fare più attenzione al posizionamento e all’ordine con cui si mette sulla palla, in modo da evitare un buon numero di errori. Secondo me tanti sbagli derivano da un pizzico di pigrizia. Inoltre mi piacerebbe vederlo giocare più vicino alla riga di fondo. Ma presumo che Perlas gli dica le stesse cose.
 
 

14 anni di capitanato in Coppa Davis, 13 tra le donne. Qual è la vittoria che l’ha emozionata di più? E la sconfitta di cui ancora oggi porta i segni?
Parlando di sconfitte, non posso dimenticare la retrocessione in Serie C. Ancora prima, perdemmo una partita bruttissima contro la Finlandia in casa. Fu inaspettata. Il biennio 2002-2003 fu pesante, con tre sconfitte cocenti. Prima la Finlandia, poi la sconfitta in Marocco dopo essere stati avanti 2-1. Nell’ultima giornata, El Aynaoui battè Sanguinetti e Volandri perse in modo un po’ troppo secco contro Arazi. E dopo ci fu la brutta sconfitta in Zimbabwe. Era un periodo di contestazioni e polemiche, non c’era un ambiente molto sereno. Dopo le contestazioni, Gaudenzi venne in Marocco ma non giocò. Tornò anche Sanguinetti, vinse una bella partita in Marocco ma poi ci furono alcune sconfitte inattese come quella con Tillikainen o in Zimbabwe. Sono cose che succedono, ma era un periodo di “lavori in corso”. Fu un periodo molto difficile. Vittorie? Penso subito alla Fed Cup e alla bella vittoria in Francia nel 2006, quando ci fu per la prima volta il sentore di poter fare qualcosa di importante, infatti vincemmo il titolo contro il Belgio. Con la Fed Cup ci sono state grandi soddisfazioni, niente da dire. Tornando alla Davis, se escludiamo il periodo appena descritto, ci siamo piano piano assestati e abbiamo trovato una colonna come Starace, la cui epopea è nata nella partita contro la Polonia, in cui tornammo in B correndo un rischio enorme. Quella sfida mi ha lasciato il segno, ma ce la siamo cavata. Da allora ci sono state buone vittorie: l’Olanda fuori casa, il ritorno in Serie A, il successo con la Croazia…questa semifinale è un bel punto d’arrivo di un progetto partito tanto tempo fa e che si è finalmente realizzato. Mi ricordo quando facevamo le riunioni tecniche, a cui era presente anche Riccardo Piatti, in cui si parlava degli obiettivi: vincere una Fed Cup, tornare in Serie A in Davis, vincere uno Slam in singolare….direi che alla fine è andata bene.
 
Abbiamo realizzato un’inchiesta per fare luce sul dopo-Barazzutti. Parlando con i papabili diretti interessati, alcuni nomi sono emersi più di altri. Crede sia possibile che i nuovi capitani possano emergere tra Renzo Furlan, Davide Sanguinetti, Giorgio Galimberti e Silvia Farina?
Vi dico questo: io finirò il mio incarico tra due anni. Dovrei arrivare alle Olimpiadi di Rio de Janeiro. Terminate quelle, se mi chiederanno un parere e io non farò più il capitano, cercherò di dare delle indicazioni che però in questo momento non hanno valenza: mancano più di due anni. Al di là di quello che posso pensare, avete fatto nomi di giocatori che hanno buone possibilità. Lavorano tutti nel mondo del tennis, facendosi un’esperienza dopo il ritiro. Hanno tutti le stesse possibilità. Non so da cosa possa dipendere la decisione: magari tra qualche anno può esserci qualche giocatore o giocatrice appena ritirato/a che potrebbe usufruire dell’impatto emotivo del momento, chi lo sa…
 
L’Italia è uno dei pochi paesi ad avere lo stesso capitano sia per la Davis sia per la Fed Cup. Nel dopo-Barazzutti, pensa sia meglio restare così o tornare all’antico, con due capitani?
E' una valutazione che spetta al Consiglio Federale. Sarà molto importante trovare una figura che sia in grado di seguire con la stessa competenza entrambe le competizioni. Fino ad oggi hanno ritenuto di averla trovata in me, e magari potrebbe succedere di nuovo. Ma penso che dipenda da tante cose che andranno valutate sul momento.
 
La novità dell’anno, in Fed Cup, è stata l’esordio di Camila Giorgi. Come si è inserita nel gruppo? Qualche spiffero sostiene che non abbia legato granchè con le senatrici…
Camila è una giocatrice importantissima per il futuro, ma anche per il presente. Puntiamo moltissimo su di lei. E’ già tra le più forti al mondo e mi pare che si sia inserita bene nel gruppo, non ci sono stati problemi. Poi è chiaro che nel circuito ha il suo staff e fa riferimento a quello, ma è così un po’ per tutte le giocatrici.
 
Per effettuare l’ultimo salto di qualità, le consiglierebbe di affidarsi a un coach d’esperienza piuttosto che a papà Sergio, comunque autore di un buon lavoro?
I risultati parlano per lui. E poi non è detto che un coach di nome possa ottenere chissà quali risultati. Immagino che Sergio Giorgi possa non piacere a qualcuno per il suo modo così “vivace” di esprimere le emozioni, ma ha portato la figlia ad altissimi livelli. L’ultima parola spetta a lui: se un giorno dovesse pensare di non essere più utile, si farà da parte e lascerà spazio a qualcun altro.
 
Ma non dovrebbe essere la figlia ad avere l’ultima parola?
Loro sono una squadra. Dovesse presentarsi l’argomento, l’affronteranno insieme e prenderanno le eventuali decisioni, sempre insieme.
 
Facciamo un passo indietro. Subito dopo il ritiro, negli anni 80, lei ha avuto problemi di salute anche piuttosto gravi. In una vecchia intervista ha dichiarato: “Avrei anche potuto morire e non sarebbe importato niente a nessuno”. Sono passati 30 anni, è giunto il momento di raccontare cosa successe?
Non voglio aprire polemiche su questo argomento. Posso dire di essere stato male, molto male. Qualcuno ha anche temuto che potessi morire. Per fortuna non sono morto ed anzi sto benissimo. Di certo fu un periodo molto brutto e complicato. Avevo appena smesso di giocare e mi sono sentito abbandonato da un mondo che era sempre stato il mio: il mondo del tennis.
 
Arriviamo agli anni 90. Nel 1997, dopo le dimissioni di Panatta, Paolo Galgani le chiese di fare il capitano di Davis ma lei rifiutò per lealtà nei confronti di Adriano. Come andarono le cose? Non pensa che quel rifiuto, col senno di poi, fu la sua fortuna in virtù di quel che è successo dopo?
Era una bega personale tra Galgani e Panatta, in cui non volevo entrare. Di sicuro Galgani voleva fare fuori Adriano e pensava di eliminarlo del tutto anche con la mia nomina. Io rifiutai perchè non volevo avere a che fare con Galgani, poi avevo un progetto con Adriano che poi si concretizzò dopo le dimissioni di Galgani e il commissariamento della FIT. L’incarico fu preso da Paolo Bertolucci e io entrai in federazione con altri ruoli perchè lui aveva un contratto. Alla scadenza, e con l’arrivo di Binaghi dopo le dimissioni di Ricci Bitti fui nominato capitano.
 
Spesso le rinfacciano una sua vecchia frase: “I giornalisti possono viaggiare grazie a noi e ai nostri successi”. Oggi la direbbe di nuovo?
No. Ma d’altra parte nessuno è perfetto. Fu una frase infelice, profondamente sbagliata. Ma ero giovane e a volte c’era un clima molto pesante. Erano gli anni 70, all’epoca c’erano alcuni giornalisti non esattamente simpatici che spesso esageravano nell’attaccarci. Una volta qualcuno scrisse che eravamo “uomini di cartone”. In un contesto del genere, feci quella uscita. Non avrei ammesso l’errore cinque anni dopo, e nemmeno dieci. Ma adesso lo posso fare e dire di essere pentito.