Neanche la provenienza di Marin Cilic e Ivan Dodig ha consentito ai padroni di casa di sfatare l'incubo di un palazzetto già fonte di atroci delusioni. Dopo pallamano e basket, anche il tennis è fonte di lacrime croate. Cilic resta con lo sguardo nel vuoto, Karlovic zittisce il suo account Twitter.

Mischiare sport e religione è sempre un'operazione ardita. Il weekend dell'Arena Zagreb, tuttavia, ha dato ottime argomentazioni agli atei. Il team croato di Coppa Davis era composto da un paio di ragazzi nati e cresciuti a Medjugorie: oggi è in Bosnia, ma negli anni 80 era ancora in Jugoslavia. Gli orrori della Guerra dei Balcani hanno spezzettato il paese del Maresciallo Tito in sei nazioni diverse: Slovenia, Croazia, Serbia, Montenegro, Macedonia e Bosnia Erzegovina. Sarebbero sette, tenendo conto del Kosovo e della sua unilaterale dichiarazione d'indipendenza, riconosciuta dalla NATO, dall'ITF…ma non dalla Serbia. Sulla questione, chiedete un parere a Novak Djokovic. Ma se i Balcani sono stati bagnati dal sangue, Medjugorie è il simbolo estremo dei fedeli, anche di chi ama mischiare sport e religione. E' così dal 1981, quando sei persone avrebbero visto la Beata Vergine Maria. Da allora, la località è diventata oggetto di pellegrinaggio di milioni di fedeli. In gran segreto, nel corso degli anni, si sono aggiunti al pellegrinaggio anche Zdenko e Kovilijka Cilic, genitori di Marin, per chiedere alla Madonna che il successo tennistico del figlio andasse avanti. Sono stati accontentati, specie quando Marin è uscito bene dalla faccenda-doping del 2013 (ricordate la zolletta di glucosio?) e ha addirittura vinto lo Us Open. Era stato il padre, quando Marin era un bambino, a far costruire un campo da tennis nel cortile di casa dopo che i suoi primi maestri (a Ljubuski, due passi da Medjugorie), gli avevano detto che il pupo aveva qualcosa di speciale. Marin avrebbe voluto ricambiare con un successo in casa, sotto gli occhi degli eroi del 2005 (Ancic e Ljubicic), ma il miracolo di Medjugorie si è scontrato con la maledizione dell'Arena Zagreb.

L'ARGENTINA COME IL PARTIZAN BELGRADO
Un palazzo tanto bello quanto maledetto per lo sport croato. Nel 2009 ospitò la finale dei mondiali di pallamano, vinta dalla Francia sui padroni di casa. L'anno dopo vissero un dramma ancora maggiore nella finale dell'ABA Liga, una delle più importanti manifestazioni cestistiche d'Europa. Nella finale contro gli odiati serbi del Partizan Belgrado, i padroni di casa del Cibona Zagabria avevano trovato il canestro decisivo a 0,6 secondi dalla fine. Il palazzo era venuto giù dalla gioia. Stavano esultando tutti, quando Dusan Kecman si inventò il tiro della disperazione, da oltre metà campo, a occhi chiusi, talmente veloce da sfuggire all'occhio delle telecamere. 75-74 per i serbi e disperazione croata. Stavolta l'agonia è stata lenta, forse ancor più dolorosa. Insieme all'altro figlio di Medjugorie, Ivan Dodig, Cilic aveva portato a casa l'importante punto del doppio e stava agilmente disponendo di Del Potro. Poi si è spento, accucciandosi in quegli occhi profondi da bravo ragazzo, forse un po' tristi. Stanchezza fisica, calo mentale…difficile capire cosa sia successo. La verità è che non aveva più benzina. Ed era attonito, quasi incapace di sostenere Karlovic nell'ultimo singolare. Due ore in cui la Croazia sportiva è franata nella disperazione. I 4.000 argentini avevano trasformato l'Arena Zagreb nella Bombonera, nel Monumental, o magari nel Nuevo Gasometro. Loro erano attoniti, incapaci di reagire. Lo sguardo di Karlovic era vietato ai minori. Dentro c'era paura, vergogna, qualsiasi sentimento negativo. E lui, uno dei personaggi più ironici e intelligenti del tour, si è ritrovato senza parole, persino vittima di qualche fischio durante la premiazione, dove il più applaudito è stato Ivan Dodig. Il suo account Twitter, solitamente fonte di sorrisi, è piombato in un gelido silenzio. L'ultima immagine è un filmato della figlioletta Jada, cinque anni, danzante durante il doppio. Adesso dovrà essere lei a consolare papà. Ma non sarà facile, non stavolta. “Questa è una vera squadra, ognuno vive in funzione degli altri – ha esalato Karlovic – prima o poi saprà vincere la Davis”. Se succederà, sarà senza di lui. L'aveva sognato diverso, l'addio all'Insalatiera.