Per l'Argentina, la sfida di Coppa Davis contro l'Italia doveva essere anche l'occasione per festeggiare la storica conquista dell'Insalatiera. Invece l'amaro in bocca non è solamente per il risultato finale. Fra assenze, organizzazione superficiale e prezzi dei biglietti troppo elevati, il week-end lungo del Parque Sarmiento si è rivelato un mezzo flop.
Non l’avevano di certo immaginata così, la loro prima da campioni in carica in Coppa Davis. In meno di due mesi e mezzo l’Argentina passa dal paradiso di una vittoria inseguita per anni come una religione, con pianti, cortei e giorni di festa, all’inferno dei play-off di settembre, per evitare la retrocessione nel Gruppo 1. Ma se la sconfitta fa parte del gioco, ed era già capitato altre nove volte che i difensori del titolo perdessero all’esordio, ciò che lascia tanto amaro in bocca è una gestione molto superficiale di un week-end che si sperava potesse trasformarsi in una festa per il tennis albiceleste. L’attesa possibilità di giocare in casa (e pure nella capitale) dopo un 2015 di trasferte sembrava l’occasione ideale per festeggiare il titolo dello scorso anno e contribuire alla diffusione del tennis, anche senza la stella Juan Martin Del Potro. Dopotutto la nazionale è sempre la nazionale. Potevano inventarsi mille iniziative: invitare i campioni del passato, organizzare qualche evento di contorno, portare la cerimonia del sorteggio in qualche punto noto della città, fare in modo che – vittoria o sconfitta – la serie lasciasse qualcosa di tangibile. Invece non solo non hanno saputo andare oltre a un Kids Day alla vigilia della sfida (peraltro con ospiti il solo Guido Pella e lo sparring Federico Coria), ma hanno anche tirato troppo la corda con i prezzi dei biglietti, privando un sacco di gente della possibilità di assistere agli incontri. Si notava benissimo anche da casa: ci si aspettava una bolgia, invece le tribune dello stadio allestito al Parque Sarmiento hanno registrato il tutto esaurito solamente al lunedì, il giorno extra offerto dalla pioggia di domenica. E gli organizzatori devono fare il mea culpa: hanno annusato la possibilità di monetizzare la sfida il più possibile, credendo che malgrado un team rimaneggiato la fame di tennis generata dal titolo di novembre fosse tale da riempire gli spalti anche con cifre da capogiro. Invece hanno fatto male i conti.
UN ERRORE DA NON RIPETERE
L’abbonamento per i tre giorni andava da 1500 a 3800 pesos (da 90 a 225 euro), mentre l’entrata per la singola giornata ne costava 500 (30 euro). Se si considera che in Argentina lo stipendio medio si aggira intorno ai 3.000 pesos (180 euro), diventa facile capire la situazione. Per fare un esempio, se la sfida si fosse giocata in Italia, è come se il costo minimo per assistere alla tre giorni fosse oscillato fra i 700 e gli 800 euro. Per vedere un primo turno di Davis, senza i migliori del Paese e senza un giocatore fra i primi 40 del mondo.  Chi sarebbe disposto a pagare una cifra simile? Per non parlare dei prezzi (altissimi) dei punti di ristoro all’interno di un impianto che si è rivelato un’altra nota dolente. Malgrado 70 ettari e spazi larghissimi ha mostrato grandi limiti strutturali, sia nell’allestimento di uno stadio con struttura tubolare senza “curve”, che dava un’idea un tantino dispersiva, sia nel lunghissimo percorso che separava il campo dagli spogliatoi, allestiti nella palestra del centro multi sportivo. Nel complesso la risposta del pubblico è stata molto deludente: al venerdì lo stadio da 7.200 posti era pieno per metà, al sabato per tre quarti, la domenica – complice la pioggia che ha scoraggiato gli appassionati – quando Carlos Berlocq ha chiuso il match contro Lorenzi ha festeggiato davanti a non più di duemila persone. Pochissime. Al lunedì invece, per riparare agli errori del week-end, gli organizzatori hanno deciso di aprire i cancelli a tutti, finendo per dover respingere fiumi di gente perché fra ragazzi in vacanza (in Argentina è fine estate), persone in ferie e l’odore dell’impresa dopo la vittoria di Berlocq, i posti vuoti sono andati a ruba in un batter d’occhio. Segno che di voglia di tennis ce n’era eccome, anche con in campo Guido Pella. Ciò che mancava sono le risorse economiche per sborsare certe cifre per degli incontri di tennis, in un momento non proprio felice per l’economia del paese. Ed è questo che dovrebbe far riflettere i vertici dell’AAT.