WIMBLEDON – Finalmente Murray! Il Centrale di Wimbledon gode e il Primo Ministro scozzese sventola la bandiera con la croce di Sant’Andrea. Una festa tutta british in un clima tutt’altro che british. 
Ivan Lendl ha finalmente vinto, da coach, il titolo che gli era sempre sfuggito da giocatore

Di Riccardo Bisti – 8 luglio 2013


Come on Andy, Andy Murray
sing Caledonia wild frontier
Come on Andy, Andy Murray
One day you can have no fear
You’ll be King of the Centre Court bathed in cheers 
(Volley Highway, Rock Salt & Nails, 2009)

Due anni fa ha aveva goduto Boris Tadic, Primo Ministro serbo. Cavalcando l’onda dei successi di Novak Djokovic, si presentò nel Royal Box di Wimbledon per godersi la finale contro Rafa Nadal e associare la sua immagine a quella di “Nole”. Mossa astuta, da politico consumato. Stavolta, più che David Cameron (che pure è un grande appassionato di tennis), la ribalta se la prende Alex Salmond, Primo Ministro scozzese. Ha guardato la partita insieme al collega, tenendosi in tasca la bandiera con la croce di Sant’Andrea. Avesse potuto, in un impeto di nazionalismo, avrebbe indossato il kilt e suonato la cornamusa quando Novak Djokovic ha messo in rete l’ultimo rovescio e ha regalato ad Andy Murray il trionfo a Wimbledon, primo britannico (e sottolineiamo: britannico) a vincere Wimbledon dopo Fred Perry, che finalmente potrà riposare in pace. 77 anni fa, in pieno regime nazista, battè in finale il barone Gottfried Von Cramm. Anche allora, politica e sport avevano un legame ancor più stretto. Anzi, il regime lo aveva intensificato. Nell’anno delle Olimpiadi di Berlino, Adolf Hitler non deve aver preso bene la sconfitta di Von Cramm. Oltre alla vittoria di Jesse Owens nei 100 metri, deve essere stata la sua peggiore delusione di quell’anno. Anche per questo, forse, 12 mesi dopo pensò bene di chiamare Von Cramm durante il match di Davis contro Donald Budge. E non si fece scrupoli a farlo arrestare accusandolo di omosessualità. Ricordare quella finale serve anche per capire che il mondo, in qualche modo, è migliorato. Né Djokovic né Murray avrebbero rischiato la gogna in caso di sconfitta, e non solo perché si accompagnano a due splendide fidanzate. Il 7 luglio 2013 era il giorno di Murray, ed è giusto così. Perché ha chiuso un cerchio aperto 12 mesi fa, quando fu sconfitto da Federer e pianse in mondovisione. Lo ha disegnato un mese dopo, vincendo l’oro olimpico su questo stesso campo, incredulo, abbracciando un bambino che lo aveva disperatamente rincorso dopo il saluto al suo clan.
 
Lo ha chiuso definitivamente in un pomeriggio di sole, in cui è stato semplicemente più bravo di Djokovic, meraviglioso nell’accettare la sconfitta e nel fare i complimenti al rivale. Forse gli è stato più facile perché i due si conoscono da quando avevano 11 anni, o forse perché ha già vinto Wimbledon. Ma accettare le sconfitte non è sempre facile, e Nole lo sa fare meglio di altri. Complimenti anche al suo clan, che non ha esitato a fare i complimenti al team di Murray dopo il 6-4 7-5 6-4 che ha spedito nella storia il figlio di Dunblane, i cui pub sono impazziti di gioia e hanno finalmente dimenticato (per sempre?) l’orribile episodio di cronaca nera del 1996, quando Andy e il fratello Jamie scamparono miracolosamente alla furia omicida di Thomas Hamilton. Nel mondo, Dunblane, era soltanto quella tragedia. Adesso è la città del grande Andy, come Basilea, come Manacor, come Bruhl, come Leimen, e come speriamo possa diventare Porto San Giorgio. Murray è grande perché ha vinto da favorito, quando è molto più facile farlo da underdog. I bookmakers lo avevano collocato alle spalle di Djokovic, ma era chiaro che fosse più fresco e che l’erba gli sia più amica. La scelta di non giocare al Roland Garros si è rivelata vincente. 23 anni fa, Ivan Lendl lasciò perdere un torneo che probabilmente avrebbe vinto (trionfò la “Piovra delle Galapagos” Andres Gomez) per andare a Londra con Tony Roche a provare il serve and volley. Fallì. Anche per questo, la BBC gli ha regalato tante inquadrature quante Judy Murray e Kim Sears, le donne più importanti nella vita di Murray. Dietro gli occhiali da sole c’era la smorfia, ma anche la commozione. Quel trofeo che avrebbe tanto voluto è finalmente arrivato. E nel suo volto è comparso un timido sorriso. Andy lo sa: “Questo trofeo è anche per Ivan. Lui ha fatto tutto il possibile per vincerlo, adesso è nelle mie mani con lui al mio fianco”.
 
La partita? C’è poco da raccontare, almeno senza cadere negli sbadigli. Djokovic e Murray hanno un tennis troppo simile per poter esaltare. E allora dovremmo raccontare di decine di palleggi (o schiaffeggi?) da fondocampo. Un tennis muscolare e geometrico, in cui Murray aveva qualcosa in più. Il serbo aveva meno benzina in corpo, e si è visto nei suoi tentativi di accorciare lo scambio con discese a rete e continue palle corte. Ogni tanto vinceva il punto, ma era tutto combustibile psicologico per Murray. Lo scozzese sapeva di avere più birra in corpo e che – minuto dopo minuto – il match sarebbe stato sempre più in discesa. Specie dopo aver vinto il primo set e un secondo in cui è stato in svantaggio 4-1. Un mortifero doppio fallo di Djokovic gli ha consegnato il controbreak, poi sul 5-5 una chiamata contestata ha mandato su tutte le furie il serbo (che peraltro aveva torto) e gli ha fatto perdere anche il secondo. Sullo slancio, Murray è salito 2-0 nel terzo prima di provare un pizzico di vertigini. Djokovic si è aggiudicato quattro game consecutivi, dando il là a un accenno di rimonta. Murray ha capito che era il momento di dare gas, e lo ha fatto. C’è stato un po’ di dramma nell’ultimo game, in cui si è fatto riprendere da 40-0 e ha dovuto cancellare un paio di palle break che avrebbero potuto (davvero) riaprire il match. E poi c’è stata l’esultanza, quasi rabbiosa, meno intima di 11 mesi fa. Allora c’era più emozione, oggi c’era il sollievo. Dopo il matchpoint, Andy sembrava il capo ultrà dei Glasgow Rangers, la sua squadra del cuore (per i quali aveva anche fatto un provino), pronto ad aizzare il pubblico. Il Centrale di Wimbledon è casa sua. Kim saltava come una bambina, Lendl si commuoveva sotto gli occhiali scuri, mamma Judy piangeva come una fontana, gli altri esultavano…un delirio british con uno stile tutt’altro che british, a partire dal simpatico Alex Salmond che sventolava il vessillo scozzese. Nel vederlo ci è scappato da ridere. Forse perché abbiamo avuto un flash: Enrico Letta che tira fuori il tricolore dopo un successo di Gianluigi Quinzi. Concedetecelo, in un giorno così.

WIMBLEDON 2013 – UOMINI
Finale

Andy Murray (GBR) b. Novak Djokovic (SRB) 6-4 7-5 6-4

Alex Salmond, Primo Ministro scozzese (a dx), applaude insieme a David Cameron