Nonostante la dolorosa sconfitta subita contro Rune al secondo turno del Roland Garros, Cobolli guarda il lato positivo della sua prestazione
«Be’, che sono ste facce tristi?».
Dopo la strepitosa maratona persa di un nulla, 10-7 al tie-break del quinto set, contro Holger Rune, Flavio Cobolli trova anche la forza di scherzarci su appena entra in sala stampa.
Cobolli ha perso, viva Cobolli: perché anche la partita di ieri, con un quinto set degno di un match fra top 10 (come è Rune è già stato e Cobolli punta a diventare) ha dimostrato che ormai può battersi con chiunque. La vittoria contro Jarry sul cemento australiano, il set strappato a Ruud, la vittoria contro Aliassime ad Acapulco, contro Shelton a Ginevra.
Flavio è amareggiato, ma lo nasconde benissimo, anche davanti al collega della tv danese che quasi si scusa di esistere, e di essere lì a interrogarlo dopo il match.
«Certo che mi rode, perché non meritavo di perdere, ma sono fiero di me, di come ho rimontato due set dopo l’intervallo per la pioggia, di come lottato, da guerriero, fino alla fine». Ha ragione, anche se le tre palle break consecutive sprecate sul 4 pari del quinto set sono una spina nella memoria, come pure il vantaggio di 5-0 e poi 6-2 nel supertiebreak finale. La differenza l’hanno fatta pochi colpi, e l’esperienza in più di Rune, «che è più giovane di me ma di partite così importanti e tirate ne avrà giocate almeno 20, mentre per me era la prima. Qualche trucchetto lo tira sempre fuori, io però non ho grandi cose da recriminarmi». Esaurito il catalogo dei rimpianti con i 32 errori di rovescio («di solito nel rovescio mi ci ci rifugio, stavolta proprio non lo sentivo») Flavio analizza i miglioramenti che hanno portato, come qualità di gioco, a un passo dai più forti. «Sicuramente c’è stata una crescita fisica importante, lo dimostra il fatto che dopo cinque set non ero affatto stanco, e non è affatto scontato». Poi c’è il lato tecnico: «sul servizio ho lavorato tanto, e si vedono i risultati. Poi ho curato i dettagli, ad esempio i colpi tagliati, volée e back. Prima ne sbagliavo tanti, ora invece mi riesce di far giocare un colpo più agli avversari, ed è importante».
Per gli appassionati di questioni tecniche, quelli del ‘ma non potevi variare di più?’, arriva poi una risposta circostanziata: «Anche il mio angolo mi diceva di usare più la smorzata, ma non me la sentivo: sulla sua palla piatta che va veloce è difficile eseguirla, e quando Holger rallenta e alza se l’aspetta, e parte prima. Ne ho provata qualcuna, ma ho perso troppi punti , quindi non ho insistito». Dove invece vale la pena perseverare è nel pensare in grande, ma tenendo sempre i piedi per terra. «Se contino a lavorare così», dice Flavio, «so di poter arrivare al livello dei più forti. Non so bene come e quando, ma posso farcela».